L’orario di lavoro come criterio di commisurazione della retribuzione
L’ammontare della retribuzione deve essere determinato commisurandolo al quantum della prestazione lavorativa e perciò, direttamente o indirettamente, attraverso la misura del tempo lavorato: da qui la ricordata regola della post-numerazione.
Infatti, secondo l’art. 2099 c.c., la retribuzione va commisurata alla quantità della prestazione di lavoro e tale quantità si determina, direttamente, sulla base del tempo impiegato per l’erogazione della forza-lavoro offerta dal prestatore, oppure, indirettamente, sulla base del risultato produttivo ottenuto mediante l’erogazione della stessa forza-lavoro (cottimo).
Nel caso del cottimo, la distinzione tra risultato e tempo dell’attività lavorativa non è rilevante ai fini dell’incidenza del rischio dell’utilità del lavoro (e dunque dell’alternativa tra lavoro autonomo o subordinato), ma piuttosto ai fini del computo della retribuzione; essa rileva, cioè, in relazione al quantum e non all’an del corrispettivo cui è tenuto il datore.
La determinazione dell’orario normale di lavoro, funzionale a quella della retribuzione normale minima, è di competenza dell’autonomia privata collettiva o individuale.
Quest’ultima, peraltro, interviene sono eccezionalmente, in mancanza della prima oppure in sua deroga, per la determinazione di prestazioni di lavoro eventualmente convenute a tempo ridotto o inferiore all’orario normale.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto del lavoro, a.a. 2007/2008
- Titolo del libro: "Diritto del Lavoro" di E. Ghera, "Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano" di S. Sciarra
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