L’accesso alle prestazioni sanitarie all’estero ai sensi dell’art. 49 Trattato CE: la sentenza “Kohll”
Quello del lavoratore non è però l’unico titolo che consente al cittadino comunitario di rivendicare l’accesso a prestazioni mediche in uno Stato diverso dal proprio.
Anche i trattamenti sanitari, se prestati dietro corrispettivo, costituiscono “servizi” ai sensi dell’art. 50 Trattato CE ed in quanto tali devono poter essere erogati liberamente all’interno del territorio della Comunità.
E d’altra parte la Corte di Giustizia ha avuto modo di chiarire che l’art. 49 Trattato CE, nel sancire il principio della libertà di prestare servizi nell’ambito del mercato interno, ha implicitamente riconosciuto anche il diritto di spostarsi in un altro Stato membro per ricevere un servizio.
Come destinatario di un servizio, il cittadino dell’UE potrebbe allora rivendicare il diritto a non essere discriminato o comunque ostacolato dallo Stato competente nell’accesso a cure all’estero, il che avverrebbe se per queste non fosse riconosciuto un rimborso di importo pari a quello previsto per le cure erogate dal sistema sanitario di appartenenza.
Il caso Kohll riguarda un cittadino del Lussemburgo, Paese nel quale le prestazioni sanitaria sono assicurate tramite un regime di iscrizione obbligatoria ad una Cassa malattie che provvede a rimborsare le spese mediche sostenute.
Al signor Kohll era stato negato il rimborso dell’importo cui avrebbe avuto diritto se le sue cure fossero state sostenute in Lussemburgo, in ragione del fatto che il trattamento orto-dentistico cui la figlia era stata sottoposta in Germania non era da considerarsi urgente e poteva essere ottenuto in Lussemburgo.
Da ciò la questione sollevata davanti alla Corte di Giustizia circa la possibile lesione da parte delle istituzioni sanitarie lussemburghesi della libertà di ricevere servizi in un altro Stato membro garantita dall’art. 49 Trattato CE.
Nella sentenza Kohll i giudici stabiliscono che un cittadino di uno Stato membro che si reca in un altro Stato membro per accedere ad una prestazione per la quale viene erogato un corrispettivo è a tutti gli effetti titolare della libertà economica garantita dall’art. 49 Trattato CE.
La Corte ammette in linea di principio che un regime di autorizzazione possa essere imposto qualora ciò sia funzionale a mantenere un adeguato controllo sulla spesa sanitaria ed a scongiurare un grave rischio di alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale.
Si accoglie in tal modo una deroga al generale principio per il quale ragioni economiche non possono giustificare lesioni delle libertà fondamentali del Trattato, riconoscendo che in materia di prestazioni sociali le “ragioni del bilancio” sono direttamente connesse con il perseguimento dell’interesse generale.
Tale importante riconoscimento perde però di rilievo nei casi in cui, oltre ad essere la prestazione erogata al di fuori di una struttura ospedaliera, il rimborso non è integrale ma copre solo quanto previsto dalle tariffe vigenti nello Stato competente.
Da ciò l’incompatibilità con le regole del mercato interno di una normativa che subordini ad una procedura di autorizzazione il rimborso per le cure prestate in un altro Stato membro, in base alle tariffe previste dallo Stato competente.
La Corte afferma l’esistenza di un diverso ed alternativo canale di accesso a prestazioni di cura all’estero per i cittadini comunitari, fondato direttamente sull’art. 49 Trattato CE; un canale meno “conveniente” sul piano economico, ma sottratto al controllo delle autorità sanitarie nazionali.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto del lavoro, a.a. 2007/2008
- Titolo del libro: "Diritto del Lavoro" di E. Ghera, "Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano" di S. Sciarra
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