Secondo discorso di Rousseau sul diritto naturale e la proprietà
Secondo Discorso: Sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini
Il quesito dell’Accademia non faceva questione di “fondamenti”, ponendo invece una ulteriore domanda: se la disuguaglianza fosse autorizzata dal diritto naturale.
“Non nelle cose depravate, ma in quelle bene disposte secondo natura, dobbiamo esaminare ciò che è naturale.” (Aristotele, Politica)
- Contrapposizione tra l’UGUAGLIANZA che la NATURA ha messo fra gli uomini e la DISUGUAGLIANZA che essi hanno istituito.
Se avessi dovuto scegliere il luogo della mia nascita avrei scelto una società di grandezza limitata;in cui, essendo ciascuno sufficiente al proprio ufficio, nessuno fosse costretto ad affidare ad altri le funzioni delle quali sia incaricato: uno Stato dove conoscendosi fra loro tutti i privati, né le manovre subdole del vizio, né la modestia della virtù potessero sottrarsi agli sguardi e al giudizio pubblico. Avrei voluto nascere in un paese, dove il sovrano e il popolo non potessero avere che un solo e medesimo interesse; il che non potendosi fare, se non a patto che il popolo e il sovrano siano una stessa persona, ne consegue, che avrei voluto nascere sotto un GOVERNO DEMOCRATICO. Avrei voluto vivere e morire LIBERO, cioè talmente sottomesso alle leggi.
Avrei voluto che nessuno nello Stato potesse dirsi al di sopra della legge;perché quale che possa essere la costituzione di un governo, se vi si trovi un uomo solo, che non sia sottomesso alla legge, tutti gli altri sono necessariamente alla discrezione di quello.
I popoli, una volta abituati ai padroni, non sono più in grado di farne senza.
Avrei dunque cercato come mia patria, una REPUBBLICA felice e tranquilla; che non avesse provato se non gli urti adatti a palesare e a rafforzare, nei suoi abitanti, il CORAGGIO e l’AMORE di PATRIA; e dove i cittadini, avvezzi da lunga data a una SAGGIA INDIPENDENZA, fossero non solo liberi, ma DEGNI di essere tali.
Mi sarei voluto scegliere una patria distolta dal feroce amore delle conquiste; e protetta dal timore di diventare essa stessa conquista di altri Stati; una città libera, posta in mezzo a parecchi popoli, dei quali nessuno avesse interesse a invaderla, e ciascuno avesse interesse a impedire agli altri d’invaderla essi stessi.
Il vostro Stato è tranquillo; non avete a temere né guerre né conquistatori; non avete altri padroni che le SAVIE LEGGI che avete fatte, amministrate da magistrati integri scelti da voi stessi.
Sta a voi soli, ormai, non di fare la vostra felicità (perchè i vostri antenati ve ne hanno evitata la fatica), ma di renderla durevole con la SAGGEZZA del buon uso.
Nessuno di voi è tanto poco illuminato, da ignorare che, dove cessa il vigore delle leggi e l’autorità dei loro difensori, non vi può essere sicurezza né libertà per nessuno.
Potrei dimenticare quella preziosa metà della repubblica, che forma la felicità dell’altra, e con la sua dolcezza e saggezza vi mantiene la pace e i buoni costumi? Amabili e virtuose cittadine, la sorte del vostro sesso sarà sempre di governare il nostro.
Prefazione al Secondo discorso di Rousseau
"La più utile e meno progredita fra tutte le conoscenze umane mi sembra sia quella dell’uomo.Provvisti dalla natura di organi unicamente destinati alla nostra conservazione, non li adoperiamo che a ricevere le impressioni esterne.
Come conoscere la FONTE della disuguaglianza fra gli uomini, se non si cominci dal conoscere se stessi? E come potrà l’uomo svincolare ciò che deve alla propria ESSENZA INTIMA da ciò che le circostanze e i suoi progressi hanno aggiunto o mutato nel suo stato primitivo? L’anima umana, alterata in seno alla società da mille cause, dall’acquisto di una moltitudine di conoscenze ed errori, ha mutato d’aspetto, fino al punto di essere quasi irriconoscibile."
Gli uomini sono NATURALMENTE UGUALI fra loro.
Non è possibile che i primi cambiamenti abbiano alterato ad un tempo e nello stesso modo, tutti gli individui della specie; ma, essendosi gli uni perfezionati o peggiorati, e avendo acquistate diverse qualità, buone o cattive, che non erano affatto intrinseche alla loro natura, gi altri rimasero più a lungo nel loro stato originario; e tale fu tra gli uomini la PRIMA SORGENTE della disuguaglianza.
Non è lieve impresa districare ciò che v’è d’ORIGINARIO e d’ARTIFICIALE nella natura attuale dell’uomo, e conoscer bene uno stato che non esiste più, che forse non è mai esistito, che probabilmente non esisterà mai, di cui non pertanto è necessario aver nozioni giuste, per giudicar bene del nostro stato presente. Quali esperienze sarebbero necessarie per arrivare a conoscere l’uomo naturale; e quali sono i mezzi di far tali esperienze in seno alla società?
Questa ignoranza della natura dell’uomo getta tanta incertezza e oscurità sulla vera definizione del DIRITTO NATURALE, perché l’idea del diritto, e più ancora quella del diritto naturale sono evidentemente idee relative alla natura dell’uomo. Non senza sorpresa si rileva il disaccordo che regna su questa importante materia fra i diversi autori che ne hanno trattato.
Si deve cercare una BUONA DEFINIZIONE della LEGGE NATURALE. Tutte quelle che si trovano nei libri, oltre il difetto di non esser mai uniformi, hanno pure quello di esser tratte da una quantità di conoscenze, che gli uomini non hanno punto naturalmente, e da vantaggi di cui non possono concepir l’idea, se non dopo essere usciti dallo stato di natura. Tutto quello che possiamo veder con la massima chiarezza, a proposito di questa legge, è che non solo, perché sia legge, occorre che la volontà di colui che essa obbliga possa sottoporvisi con conoscenza ma che bisogna ancora, perché sia naturale, che parli immediatamente con la voce della natura.
- Lo stato di natura è uno stato che ormai non c’è più e che forse non è MAI esistito.
- RAPPORTO tra LEGGE di NATURA e DIRITTO NATURALE:sono pressoché contrapposti.
Legge di natura: per natura le cose sono ordinate in vista di un qualche bene relativo ad ogni specie particolare. La natura è ordinata, gerarchica. È presente una forma di TELEOLOGIA che ci dice “questo è il bene per gli uomini, etc…”
Diritto naturale: GIUSNATURALISMO: spiega i nostri diritti in quanto esseri umani. La natura è priva di ordine o comunque è dotata di un ordine che prescinde dal diritto naturale. Si tratta di un discorso esclusivamente politico basato sull’essenza dell’essere umano in contrapposizione agli altri enti e alla natura stessa. L’essere umano è inteso come INDIVIDUO LIBERO. Ne consegue che l’ambito umano è separato da tutti gli altri (naturale, metafisico).
Il diritto naturale si contrappone al diritto positivo (leggi che un determinato stato si dà).
Meditando sulle prime e più semplici operazioni dell’anima umana, credo di scorgervi DUE PRINCIPI ANTERIORI alla RAGIONE: uno dei quali ci interessa ardentemente al nostro benessere e alla conservazione di noi stessi, e l’altro c’ispira una ripugnanza naturale a veder perire o soffrire ogni essere sensibile, e principalmente i nostri simili. Dal concorso e dalla combinazione, che il nostro spirito sa fare di questi due principi, senza che sia necessario farvi entrare quello della SOCIEVOLEZZA, mi sembrano scaturire TUTTE le REGOLE de DIRITTO NATURALE.
- L’uomo naturale non è in grado di conoscere se stesso perché egli si trova al di qua della ragione. Egli ha solo DUE SENTIMENTI.
- L’uomo naturale è anteriore ad ogni riflessione, alla ragione, alla socialità.
Senza lo studio serio dell’uomo, delle sue facoltà naturali e dei loro sviluppi successivi, non si verrà mai a capo di far tali distinzioni e di separare ciò che ha fatto la VOLONTÀ DIVINA, da ciò che l’ARTE UMANA ha preteso di fare.
QUESTIONE: “Qual è l’origine della disuguaglianza fra gli uomini e se essa è autorizzata dalla legge naturale”.
Nella specie umana concepisco DUE SPECIE DI DISUGAGLIANZA; l’una, che chiamo NATURALE o FISICA, perché è stabilita dalla natura, e consiste nella differenza di età, di salute, di forze del corpo e di qualità spirituali; l’altra che può dirsi MORALE o POLITICA, perché dipende da una specie di convenzione ed è stabilita dal consenso degli uomini. Questa consiste nei vari PRIVILEGI di cui alcuni godono a danno degli altri, come d’esser più ricchi, più potenti di loro, o anche di farsene obbedire.
I filosofi che hanno esaminato i fondamenti della società, hanno sentito tutti la necessità di rimontare fino allo stato di natura, ma nessuno di loro vi è arrivato. Tutti parlando continuamente di bisogno, di avidità, di oppressione, di desiderio e d’orgoglio, hanno trasportato nello stato di natura idee prese nella società: parlavano dell’uomo selvaggio e dipingevano l’uomo civile. Non è neppure venuto in mente alla maggior parte dei nostri autori di dubitare che lo stato di natura sia esistito.
- Per i filosofi l’uomo è un essere RAZIONALE e SOCIEVOLE. Per Rousseau la SOCIEVOLEZZA non è che il risultato di qualcos’altro. Non è un sentimento originario e lo stesso vale per la RAGIONE.
- L’uomo ha dei doveri verso gli altri non perché dotato di ragione, ma perché in possesso di due sentimenti originari:
1.SENTIMENTO DI SÉ
2.RIPUGNANZA A VEDERE SOFFRIRE ogni essere sensibile e in particolare i propri simili. (PITIE)
Si tratta di principi anteriori alla ragione, di operazioni dell’anima. Questi due sentimenti sono indisgiungibili. Il secondo sentimento non fa ricorso né alla ragione né all’immaginazione. È una visione diretta comune a tutti. Nell’immaginazione infatti non c’è coinvolgimento, mentre nella visione diretta c’è un’ADESIONE molto forte in cui sono coinvolti i sensi. L’uomo moderno però ha imparato a mettere da parte questo secondo sentimento.
Il sentimento di sé è basilare ed è radicato in noi anche se cerchiamo di metterlo a tacere. Esso è naturale, spontaneo, non vive del rapporto tra me e gli altri. In un certo senso io resto chiuso i me. Il sentimento di sé non è egoistico, ha semplicemente a che fare con il BENESSERE PERSONALITÀ. Nel sentimento egoistico c’è la ricerca del RICONOSCIMENTO, della prevaricazione. Esso sfocia dal rapporto con gli altri, dalla socievolezza. Il sentimento di sé diviene egoistico quando ad esso si sovrappone la riflessione che vive di paragoni. È la riflessione che genera l’AMOR PROPRIO, e riflessione significa paragonare.
- Invece di partire dall’uomo razionale, Rousseau parte da basso (idea condivisa dall’empirismo).
- Rousseau è un CONTRATTUALISTA: si passa dallo stato di natura a quello civile solo in virtù di un ACCORDO con gli uomini. La critica di Rousseau ai contrattualisti precedenti in parte è giustificata perché gli accusa di trasferire passioni e pregiudizi tipici dell’uomo civilizzato sull’uomo naturale, selvaggio. La critica è però mal posta. Ad esempio per Hobbes l’uomo naturale non è colui che non ha mai conosciuto la civiltà; è piuttosto la POSSIBILITÀ latente in ognuno di noi di tornare ad uno stato di barbarie.
- Rousseau non interroga i libri, ma la NATURA stessa.
- Nello stato di natura il DIRITTO di PROPRIETÀ è insensato.
Prima parte del secondo discorso di Rousseau
- Rousseau comincia col fare delle considerazioni di tipo MORFOLOGICO (elementi di ANATOMIA comparata)
- Punto di vista quasi EVOLUTIVO
- È sensato supporre che l’uomo abbia sempre avuto un andamento eretto. Tale discorso serve a Rousseau per introdurre ciò che c’è di distintivo nell’uomo.
Spogliando quest’essere di tutte le facoltà artificiali, che non ha saputo acquistare che per via di lunghi progressi; considerandolo tal quale ha dovuto uscire dalle mani della natura, vedo un animale meno forte di alcuni, meno agile di altri, ma, nell’insieme, organizzato più vantaggiosamente di tutti. Il corpo dell’uomo selvaggio, essendo il solo strumento che egli conosca, egli l’adopera a diversi usi di cui, per difetto d’esercizio, i nostri sono incapaci; la nostra industria ci toglie la forza e l’agilità, che la necessità costringe quello ad acquistare.
L’uomo selvaggio, vivendo sperduto fra gli animali e trovandosi ben presto in condizione di misurarsi con loro, ne fa ben tosto il paragone; e sentendo che egli li supera in destrezza, più che essi non lo superino in forza, impara a non temerli più. Altri nemici più temibili, dai quali l’uomo non ha gli stessi mezzi per difendersi, sono le infermità naturali, l’infanzia, la vecchiaia e le malattie d’ogni specie; tristi segni della nostra debolezza, di cui i primi due son comuni a tutti gli animali e l’ultimo appartiene specialmente all’uomo che vive in società. quanto alle malattie domanderò se vi sia qualche osservazione solida, da cui si possa concludere che, nei paesi ove quest’arte è più trascurata, la media della vita umana sia più corta che dove è coltivata con più cura. E come potrebbe essere ciò, se noi ci procuriamo più mali che non possa offrirci rimedi la medicina? La maggior parte dei nostri mali sono opera nostra e noi li avremmo evitati quasi tutti, conservando la maniera di vivere SEMPLICE, UNIFORME E SOLITARIA, che ci era prescritta dalla natura.
Con così scarse fonti di mali, l’uomo nello stato di natura non ha dunque affatto bisogno di rimedi, meno ancora di medici.
L’uomo diventando SOCIEVOLE e SCHIAVO, diventa debole, timoroso.
Non è così gran disgrazia per quei primi uomini, né soprattutto così grande ostacolo alla loro conservazione, la nudità, la mancanza di abitazione e la privazione di tutte quelle inutilità che noi crediamo tanto necessarie. Poiché la sua conservazione forma quasi la sua unica cura, le sue facoltà più esercitate debbono essere quelle che hanno per oggetto principale l’assalto e la difesa.
La natura fa tutto da sola nelle operazioni della bestia, là dove l’uomo concorre alle sue, in qualità di agente libero. L’una sceglie o respinge per ISTINTO, l’altro per un ATTO di LIBERTÀ; ciò fa sì che la bestia non possa allontanarsi dalla regola che le è prescritta, anche quando le sarebbe vantaggioso di farlo, e l’uomo se ne allontana spesso a suo danno.
Non è tanto l’intelligenza che formi la differenza specifica dell’uomo dagli altri animali, quanto la sua qualità di AGENTE LIBERO. C’è un’altra qualità più che mai specifica che li distingue; ed è la FACOLTÀ di PERFEZIONARSI, facoltà che, con l’aiuto delle circostanze, sviluppa successivamente tutte le altre, e risiede in noi tanto nella specie quanto nell’individuo;là dove un animale è già al termine di qualche mese ciò che sarà per tutta la vita. Questa facoltà distintiva e quasi illimitata è la fonte di tutte le disgrazie dell’uomo;essa lo trae fuori da quella condizione originaria, nella quale trascorrerebbe giorni tranquilli e innocenti.
- L’uomo può, grazie alla LIBERTÀ, supplire alla mancanza di un istinto specifico. È la libertà che distingue l’uomo dagli altri esseri e NON l’intelligenza.
- L’uomo è l’essere che non ha un’essenza definitiva.
- L’uomo è un essere PRIVO di ISTINTO. Ma egli sopperisce alla mancanza d’istinto con la MALLEABILITÀ.
L’uomo ha DUE CARATTERISTICHE fondamentali:
1.LIBERTÀ
2.PERFETTIBILITÀ
La libertà sfocia nella VOLONTÀ. L’uomo è superiore alla natura perchè è libero di dire “no” alla propria natura, perché ha delle ambizioni, dei fini, che superano i fini naturali. La volontà è come se fosse il tratto distintivo dell’essere umano. L’uomo naturale è già in grado di volere.
- Per l’uomo naturale non esistono gli altri. Egli non è in guerra né con gli uomini, né con la natura.
- L’uomo naturale è un essere che ha pochi bisogni e la capacità di soddisfarli.
- La natura più o meno mette in atto la legge di SPARTA: alcuni, i più forti, sopravvivono; gli altri muoiono. Sparta istituzionalizza ciò che la natura ha previsto per tutti noi.
- Le MALATTIE che possono colpire l’uomo naturale sono nulla in confronto a quelle che colpiscono l’uomo civilizzato. L’uomo naturale non conosce la medicina, ma non ne ha neppure bisogno. MEDICINA: tampone temporaneo ad una malattia di cui l’uomo stesso è causa.
- L’uomo che medita è un ANIMALE DEPRAVATO (rispetto all’uomo naturale che si accontenta di soddisfare pochi bisogni)
- L’essere umano è in origine talmente DUTTILE da potersi adattare alle situazioni più svariate e da poter provvedere ai suoi bisogni coi mezzi più diversi.
- Il dolore e la fame sono le sole cose di cui l’uomo naturale si preoccupa. Dolore e non morte perché per l’uomo naturale (come per l’animale) non esiste il FUTURO. Egli non conosce il futuro e quindi non ha né speranze né timori riguardanti ciò che gli accadrà domani.
- Lo SPIRITO LIMITATO comporta un’ANIMA TRANQUILLA. L’uomo è dal punto di vista pratico identico all’animale e tuttavia in lui c’è la POTENZIALITÀ di potersi sviluppare. Questa potenzialità è appunto lo spirito.
Conclusione provvisoria del secondo discorso di Rousseau
L’uomo naturale è abituato a portare con sé tutto sé stesso: a portar con sé la propria forza, la propria agilità, l’attenzione a tutti i segnali che la natura gli offre.
1.L’uomo si realizza come cittadino
2.L’uomo vero, autentico è l’uomo naturale
Queste due affermazioni non sono contraddittorie in quanto fanno riferimento a due aspetti diversi.
L’uomo selvaggio comincerà dalle FUNZIONI PURAMENTE ANIMALI. Percepire e sentire sarà il suo stato primitivo, volere e non volere, desiderare e temere saranno le prime operazioni della sua anima. I suoi desideri non oltrepassano i bisogni fisici. In tutte le nazioni del mondo i progressi spirituali si sono precisamente proporzionati ai bisogni che i popoli avevan ricevuto dalla natura, o cui le circostanze li avevan sottoposti. La sua anima si abbandona al solo sentimento dell’ESISTENZA ATTUALE senza idea dell’avvenire, per quanto prossimo.
Quale sarebbe l’uomo così insensato da tormentarsi nella coltivazione d’un campo, che sarà spogliato dal primo venuto, uomo o bestia che sia, cui questa messe converrà? Come questa condizione potrà indurre gli uomini coltivar la terra, finché questa non sarà divisa fra loro, ossia finché lo stato di natura non sarà distrutto?
Prima difficoltà: è quella d’immaginare come abbia potuto il LINGUAGGIO diventar necessario;perché, non avendo gli uomini alcuna corrispondenza fra loro né bisogno d’averne, non si concepisce né la necessità di tale invenzione, né la possibilità, se essa non sia stata indispensabile.
Seconda difficoltà: se gli uomini hanno avuto bisogno della parola per imparare a pensare, hanno avuto ben più bisogno ancora di saper pensare per trovare l’arte della parola.
- La natura originariamente non sembra averci costituiti come predisposti al linguaggio e quindi alla società.
Il primo linguaggio dell’uomo, il più UNIVERSALE, il solo di cui avesse bisogno prima che gli occorresse persuadere uomini radunati, è il GRIDO NATURALE. Questo grido non era strappato che da una specie d’istinto nei casi urgenti.
Quando le idee degli uomini cominciarono ad estendersi e moltiplicarsi e si stabilì fra loro più stretta comunicazione, essi cercarono segni più numerosi e più esteso linguaggio;moltiplicarono le inflessioni della voce, vi congiunsero i gesti. Ma il gesto non indica se non gli oggetti presenti o facili a descrivere e le azioni visibili. Così si pensò di sostituirgli le ARTICOLAZIONI della VOCE, sostituzione che non potè farsi se non per COMUNE CONSENSO e in modo ben difficile a praticarsi per uomini i cui organi grossolani non avevano ancora alcun esercizio, e più difficile ancora a concepirsi in se stesso, poiché quest’accordo unanime avrebbe dovuto esser motivato, e la parola sembra esser stata più che mai necessaria per stabilir l’uso della parola. Lascio a chi vorrà la cura d’intraprendere la discussione su questo difficile problema:se sia stata più necessaria la società già stabilita all’istituzione delle lingue, o le lingue già inventate alla fondazione della società.
È impossibile immaginare perché in questo stato primitivo, un uomo avrebbe più bisogno di un altro uomo; né, supposto questo bisogno, qual motivo potrebbe invitar l’altro a provvedervi, e neanche, in quest’ultimo caso, come potrebbero accordarsi fra loro sulle condizioni.
Domando fra le due, tra la vita civile o la naturale, vada più soggetta a diventar insopportabile a quelli che ne fruiscono.
Attorno a noi non troviamo, quasi, se non persone che si lamentano della loro esistenza. Io domando se si è mai sentito dire che un selvaggio in libertà abbia solo pensato a lamentarsi della vita e a darsi la morte. Si giudichi dunque, con minor orgoglio, da che parte sia la vera MISERIA. Per una saggissima provvidenza, le facoltà, che egli aveva in potenza, non dovettero esercitarsi se non con le occasioni di esercitarle, perché non gli fossero né superflue o a carico anzitempo, né tardive o inutili all’occorrenza. Aveva nel solo ISTINTO tutto ciò che abbisognava per vivere nello stato di natura. In questo stato, non avendo tra loro alcuna specie di relazione morale, gli uomini non potevano essere né buoni né cattivi, e non avevano né vizi né virtù.
Esaminiamo se vi sia più virtù che vizi fra gli uomini civilizzati; o se il progresso delle loro conoscenze sia compenso sufficiente ai mali che si fanno a vicenda, man mano che s’istruiscono sul bene che dovrebbero farsi, o se non sarebbero in una condizione più felice quando non avessero male da temere né bene da sperare da nessuno, che non quando sono sottoposti a una DIPENDENZA UNIVERSALE.
- Istinto=vicinanza con la natura, plasticità, capacità di adattarsi ad ogni situazione.
- Ragione=società
Essendo lo stato di natura quello in cui la cura della nostra conservazione è meno dannosa all’altrui, questo stato era il più adatto alla pace e il più conveniente al genere umano.
La stessa causa che impedisce ai selvaggi di far uso della loro RAGIONE, impedisce loro al tempo stesso d’abusare delle loro facoltà. I selvaggi NON sono cattivi precisamente perché non sanno cosa sia l’esser buoni. I primi uomini temperano l’ardore che hanno per il loro benessere con una ripugnanza innata a veder soffrire il proprio simile.
- Gli uomini non sono cattivi perché non sanno cosa voglia dire l’esser buoni. Essi sono al di là del bene e del male, vivono in uno stato di innocenza. L’uomo è buono nel senso che costitutivamente non ha un’indole aggressiva nei confronti degli altri.
Unica virtù dell’uomo: PIETÀ. Virtù tanto più universale ed utile all’uomo, in quanto precede l’uso di ogni RIFLESSIONE, e così naturale, che le bestie stesse ne danno talvolta segni visibili. Tale è il moto spontaneo della natura, anteriore a ogni riflessione; tale è la forza della pietà naturale, che i costumi più depravati stentano ancora a distruggere. Da questa qualità sola derivano TUTTE le virtù sociali. Infatti che cosa sono la generosità, la clemenza, l’umanità, se non la pietà applicata ai deboli, ai colpevoli, o alla specie umana in generale?
La pietà è un sentimento naturale, che, moderando in ogni individuo l‘attività dell’AMOR DI SE STESSO, concorre alla conservazione di tutta la specie. Essa ci porta impulsivamente in aiuto di quelli che vediamo soffrire; essa, nello stato di natura, sostituisce le leggi, i costumi, con questo vantaggio, che nessuno è tentato di disobbedire alla sua voce. “Fa il tuo bene col minor male altrui possibile”.
- PIETÀ (pitié)= immedesimazione, identificazione con l’altro, ma non attraverso un processo razionale.
- Il DOVERE è diverso dalla PIETÀ: il primo è qualcosa che si può anche trasgredire, mentre la pietà è un sentimento che coinvolge direttamente.
Bisogna prima di tutto convenire che più le passioni sono violente, più son necessarie le leggi a frenarle.
Fra le passioni che agitano il cuore dell’uomo, ve n’è una ardente, impetuosa, che rende un sesso necessario all’altro. Cominciamo col distinguere il MORALE dal FISICO nel sentimento dell’AMORE. Il fisico è quel desiderio che porta un sesso ad unirsi all’altro. Il morale è ciò che fissa questo desiderio s un solo oggetto. Il morale dell’amore è un SENTIMENTO ARTIFICIALE. Questo sentimento, fondato su certe nozioni di merito o di bellezza, che un selvaggio non è in grado d’avere, dev’essere quasi nulla per lui. Esso ascolta unicamente il temperamento ricevuto dalla natura, non il gusto che non ha potuto acquistare; ed ogni femmina è buona per lui. Anche l’amore, come tutte le altre passioni, non ha acquistato che nella società quell’ardore che lo rende così speso funesto agli uomini.
Concludiamo che, errando nella foresta, senza parola, senza domicilio, senza alcun bisogno dei suoi simili come senza desiderio di nuocer loro, forse l’uomo selvaggio, soggetto a poche passioni, e bastando a se stesso, non aveva che i sentimenti e le conoscenze adatte a tale stato, non sentiva che i suoi veri bisogni. Nel quadro del vero stato di natura la disuguaglianza, anche naturale, è lontana dall’avere tanta realtà e azione. Se si paragona la diversità di genere di vita che regna nei differenti ordini dello stato civile, con la SEMPLICITÀ e L’UNIFORMITÀ della vita selvaggia, in cui tutti vivono nello stesso modo e fanno esattamente le stesse cose, si comprenderà come la differenza da uomo a uomo deve esser minore nello stato di natura, che in quello di società.
Quali potranno essere le catene della dipendenza, fra uomini che nulla posseggono?
È impossibile asservire un uomo, senza averlo prima messo nel caso di non poter fare senza un altro; condizione che non esiste nello stato di natura.
Mi resta a considerare i diversi casi che hanno potuto perfezionare la ragione peggiorandone la specie, rendere un essere cattivo col renderlo socievole.
Seconda parte del secondo discorso di Rousseau
Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: questo è mio, e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero FONDATORE della società civile. Quanti delitti, guerre avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pioli, avesse gridato ai suoi simili: “guardatevi dall’ascoltare questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di TUTTI, e che la terra non è di NESSUNO!” questa idea di PROPRIETÀ non si formò d’un tratto nello spirito umano: bisognò fare molti progressi.
Il PRIMO SENTIMENTO dell’uomo fu quello della sua esistenza; la sua prima cura, quella della sua CONSERVAZIONE. Ma ben presto si presentarono difficoltà; bisognò imparare a vincerle. L’uomo imparò a superare gi ostacoli della natura, a combattere all’occorrenza gli altri animali, a disputare la sua sussistenza agli stessi uomini. Le nuove capacità intellettuali, che risultarono da tale sviluppo, aumentarono la loro superiorità sugli altri animali, rendendogliela nota. Così il primo sguardo, che volse sopra se medesimo, produsse in lui il PRIMO MOTO di ORGOGLIO. Istruito dall’esperienza che l’amore del benessere è l’unico movente delle azioni umane, si trovò in grado di distinguere le occasioni rare, in cui l’interesse comune doveva fargli fare assegnamento sull’assistenza dei suoi simili, e quelle nelle quali la concorrenza doveva farlo diffidare di loro. Ecco come gli uomini poterono acquistare qualche rozza idea degli impegni reciproci, e del vantaggio di mantenerli: ma solo per quel tanto che poteva esigere l’interesse presente, perchè la previdenza non esisteva per essi. Questi primi progressi misero l’uomo in grado di farne di più rapidi.
Fu l’epoca di una PRIMA RIVOLUZIONE, che generò l’ISTITUZIONE e la distinzione delle FAMIGLIE, ed introdusse una specie di proprietà. L’abitudine di vivere insieme fece nascere i più dolci sentimenti conosciuti dagli uomini, l’AMORE CONIUGALE e l’AMOR PATERNO. Ogni famiglia divenne una PICCOLA SOCIETÀ. Allora si stabilì la prima differenza nella maniera di vivere dei due sessi, che finora ne avevano avuta una sola.
Tutto comincia col cambiar faccia. Gli uomini presa più stabile sede si accostano lentamente, si uniscono in branchi e formano una nazione unita di costumi e di caratteri. Una vicinanza permanente non può non generare alla fine qualche legame fra le diverse famiglie. Nacque l’uso di radunarsi. Ognuno cominciò a considerare gli altri e a voler essere considerato lui pure. Chi cantava o danzava meglio, il più bello o il più forte divenne il più stimato (nasce il concetto di STIMA PUBBLICA); ed ecco il primo passo verso la DISUGUAGLIANZA e verso il VIZIO: da queste prime preferenze nacquero la vanità, il disprezzo, l’invidia. Appena gli uomini ebbero cominciato ad apprezzarsi a vicenda, e l’idea della STIMA fu formata nel loro spirito, ognuno pretese di avervi diritto. Nacquero quindi i PRIMI DOVERI della civiltà. Questo stato era il meno soggetto a rivoluzioni, il migliore per l’uomo, che ha dovuto uscirne solo per qualche caso funesto, che per l’utilità comune non avrebbe dovuto mai sopravvenire.
Tutti i progressi ulteriori sono stati in apparenza tanti passi verso la perfezione dell’individuo, ma in realtà verso la decrepitezza della specie.
Finché non si volsero ad arti che non avevano bisogno del concorso di parecchie mani, gli uomini vissero sani, buoni e felici, ma dal momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro, l’uguaglianza scomparve, la proprietà s’introdusse, il lavorò diventò necessario.
La METALLURGIA e l’AGRICOLTURA furono le due arti a cui invenzione produsse questa grande rivoluzione. Da che bisognarono uomini per fondere e forgiare il ferro, occorsero altri uomini per nutrir quelli. Dalla coltura delle terre derivò necessariamente la loro partizione; e dalla proprietà le prime regole della giustizia; giacché per rendere a ciascuno il suo, bisogna che ciascuno possa aver qualcosa.
Per Rousseau la proprietà nasce dal LAVORO. La divisione delle terre ha prodotto una nuova specie di diritto, cioè il DIRITTO di PROPRIETÀ. Le cose in tale stato avrebbero potuto restare uguali se gli ingegni fossi stati uguali e l’uso del ferro e la consumazione delle derrate si fossero sempre esattamente bilanciate. Ma la proporzione fu presto rotta. L’agricoltore aveva più bisogno di ferro o il fabbro più bisogno di grano, uno guadagnava di più, mentre l’altro stentava a vivere. Così le differenze degli uomini, sviluppate da quelle delle circostanze, si rendono più sensibili. Ecco dunque tutte le nostre facoltà sviluppate, ecco tutte le qualità naturali messe in azione. E queste qualità, essendo le sole che potessero attirare considerazione, bisogno ben presto averle o fingere. Bisognò, per l’utile proprio, mostrarsi altro da quel che s’era in realtà. ESSERE e PARERE divennero due cose affatto differenti.
Da libero e indipendente che era prima l’uomo, eccolo ASSOGGETTATO a tutta la natura e sopra tutto ai suoi simili, di cui diventa in certo senso lo SCHIAVO, anche diventandone il padrone: ricco, ha bisogno dei loro servigi; povero ha bisogno dei loro soccorsi. L’AMBIZIONE divorante fa sorgere in tutti gli uomini una tendenza a nuocersi a vicenda, una GELOSIA segreta, RIVALITÀ e sempre il desiderio nascosto di fare l’utile proprio a spese altrui: tutti questi mali sono il PRIMO EFFETTO della PROPRIETÀ e il corteo inseparabile della DISUGUAGLIANZA. Cominciarono a nascere la dominazione e la servitù, la violenza e le rapine. L’uguaglianza infranta fu seguita dal più orribile disordine; così le passioni sfrenate di tutti, soffocando la PIETÀ naturale e la voce ancora debole della giustizia, resero gli uomini AMBIZIOSI e MALVAGI. La società nascente fece posto al più orribile stato di guerra. Non è possibile che gli uomini non abbiano fatto alla fine RIFLESSIONI su una condizione così miserabile. Soprattutto il RICCO. Privo di ragioni valide per giustificarsi e di forze sufficienti per difendersi, il ricco premuto dalla necessità, concepì infine il disegno d’usare a proprio favore le forze stesse che l’attaccavano. Egli inventò facilmente ragioni illusorie per menarli al suo scopo. Disse loro: “Uniamoci. Invece di volger le nostre forze contro noi stessi, raccogliamole in un potere supremo, che ci governi secondo leggi sagge, che protegga tutti i membri dell’associazione.” Tutti corsero incontro alle loro catene, credendo assicurarsi la libertà. Tale dovette essere l’ORIGINE della SOCIETÀ e delle LEGGI che distrussero senza scampo la libertà naturale, fissarono per sempre la LEGGE della PROPRIETÀ e della DISUGUAGLIANZA. Il governo nascente non ebbe una forma costante e regolare. Nonostante tutte le fatiche dei più saggi legislatori, lo stato politico resto sempre imperfetto: si rappezzava senza posa mentre occorreva scartare tutti i vecchi materiali per innalzare poi un buon edificio.
Perché i popoli si sono dati dei superiori, se non per difendersi contro l’oppressore, e proteggere i loro beni, la loro libertà e le loro vite? I popoli si son dati dei capi per difendere la loro libertà e non per asservirla. “Se abbiamo un principe, diceva Plinio a Traiano, è perché ci preservi dall’avere un padrone.”
La libertà è come l’innocenza e la virtù, di cui si sente il pregio in quanto le si godono e si perde il gusto appena si siano perdute. L’uomo barbaro non piega la testa al giogo, che l’uomo incivilito porta senza mormorare, e preferisce la più tempestosa libertà a una soggezione tranquilla. Non dunque dall’avvilimento dei popoli asserviti si devono giudicare le disposizioni naturali dell’uomo per o contro la schiavitù, ma dai prodigi che fan tutti i popoli liberi per garantirsi dall’oppressione. NON SPETTA AGL SCHIAVI DI DAR RAGIONE DI LIBERTÀ. Nulla al mondo è più lontano dal dispotismo che la dolcezza di quell’autorità che guarda più al vantaggio di chi obbedisce che all’utilità di chi comanda. La perfetta felicità di un regno è che il principe sia obbedito dai sudditi, che il principe obbedisca alla legge, e che la legge sia sempre rivolta al bene pubblico.
Essendo la libertà un dono che i figli tengono dalla natura in qualità di uomini, i genitori non hanno diritto alcuno di spogliarneli; e i giureconsulti, che han gravemente sentenziato che il figlio di uno schiavo nascerebbe schiavo, han deciso, in altre parole, che un uomo non nascerebbe uomo.
Mi limito a considerare la costituzione de corpo politico come un vero CONTRATTO tra il popolo e i capi ch’esso si sceglie; contratto, per il quale le due parti si obbligano all’osservanza delle leggi che vi son stipulate. Il magistrato da parte sua s’obbliga a non usare il potere affidatogli, se non secondo l’intenzione dei mandanti, ed a preferire in ogni occasione l’UTILITÀ PUBBLICA al proprio interesse.
I disordini infiniti mostrano quanto il governo umano avesse bisogno di una base più solida della sola RAGIONE, e quanto fosse necessario alla quiete pubblica che intervenisse la VOLONTÀ DIVINA, per dare all’autorità un carattere sacro e inviolabile. Quanto la RELIGIONE non avesse fatto che questo bene agli uomini, sarebbe già abbastanza perché essi dovessero amarla, anche coi suoi abusi, poiché ella risparmia ancora più sangue, che non ne faccia versare il fanatismo.
Monarchia, Aristocrazia, Democrazia nel secondo discorso di Rousseau
Il tempo verificò quale di queste forme fosse più vantaggiosa agli uomini. In questi diversi governi tutte le magistrature furono all’inizio elettive. Poi l’ambizione dei potenti si adoperò per perpetuare le loro cariche nelle loro famiglie. Così i capi, divenuti ereditari, s’avvezzarono a considerare la loro magistratura un bene di famiglia, a considerarsi come i proprietari dello Stato; a chiamar loro schiavi i cittadini, a contarli nel novero delle cose che loro appartenevano.
Se seguiamo il progresso della DISUGUAGUAGLIANZA troveremo che la fondazione delle leggi e del diritto di proprietà ne fu il PRIMO termine, l’istituzione della magistratura il SECONDO, e il TERZO e ultimo fu il cambiamento del potere legittimo in arbitrario; di modo che la DISTINZIONE di ricco e di povero fu legittimata dalla prima epoca, quella di potente e debole dalla seconda, e dalla terza quella di padrone e schiavo, che è l’ULTIMO GRADO della DISUGUAGLIANZA.
Le distinzioni politiche recano di necessità le distinzioni civili. È difficilissimo assoggettare uomini che non volessero che esser liberi. I cittadini consentono a portar catene per poterne imporre a loro volta.
La disuguaglianza diventa inevitabile fra gli individui non appena, riuniti in una stessa società, siano costretti a paragonarsi fra loro, e a tener conto delle differenze. Queste differenze son di vario genere. La ricchezza, la nobiltà, la potenza e il merito personale sono le distinzioni principali per cui ci si misura in società.
A questo ardore di far parlare di sé, a questo furore di distinguersi, noi dobbiamo ciò che vi è di meglio e di peggio negli uomini, le nostre virtù e i nostri vizi, le nostre scienze e i nostri errori, cioè una quantità di cose cattive su un piccolo numero di buone.
Dal seno di questo disordine e di queste rivoluzioni il DISPOTISMO, divorando tutto ciò che scorge di buono e di sano in tutte le parti dello Stato, perviene infine a calpestar le leggi e il popolo, e a stabilirsi sulle rovine della repubblica. Da questo istante non esiste più questione di costumi e di virtù; perché, ovunque regni, il dispotismo non tollera alcun principio superiore; la più CIECA OBBEDIENZA è la sola virtù che resti agli schiavi.
È qui l’ultimo termine della disuguaglianza, e il punto estremo che chiude il circolo, e tocca il punto da cui siamo partiti:qui TUTTI GLI INDIVIDUI TORNANO UGUALI, perché non son più nulla, e non avendo più i sudditi altra legge che la volontà del padrone, né il padrone altra regola che le sue passioni, le nozioni del bene e i principi della giustizia svaniscono di nuovo; qui tutto ti riporta a un NUOVO STATO di NATURA, differente a quello iniziale, in quanto quello era lo stato di natura nella sua PUREZZA, e quest’ultimo è il prodotto di un eccesso di CORRUZIONE (Distanza immensa che separa questi due stati).
Il despota non è padrone se non finché sia il più forte. La sola forza lo mantiene, la sola forza basta a rovesciarlo.
L’uomo selvaggio e l’uomo incivilito differiscono talmente, nel fondo del cuore e delle inclinazioni, che ciò che forma la felicità suprema dell’uno, ridurrebbe l’altro alla disperazione. Tale è la vera causa di tutte queste differenze: IL SELVAGGIO VIVE IN SE STESSO; l’uomo socievole, sempre fuori di sé, non sa vivere che nell’opinione altrui, e solo dal loro giudizio trae il sentimento dell’esistenza propria. Riducendosi tutto alle APPARENZE, tutto diventa fittizio e finto, onore, amicizia, virtù.
La disuguaglianza, essendo quasi nulla nello stato di natura, trae la sua forza dallo sviluppo delle nostre facoltà e dai progressi dello spirito umano, e diventa infine stabile e legittima per l’introduzione della proprietà e delle leggi. La disuguaglianza morale è CONTRARIA al diritto naturale ogni volta che non concorra, nella stessa proporzione, con la disuguaglianza fisica; distinzione che determina a sufficienza che cosa mai debba pensarsi della specie di disuguaglianza che regna fra tutti i popoli civili, poiché è manifestamente contro la legge di natura che un fanciullo comandi a un vecchio, che un imbecille conduca un uomo saggio, e che UN PUGNO D’UOMINI RIGURGITI DI SUPERFLUITÀ MENTRE LA MOLTITUDINE AFFAMATA MANCA DEL NECESSARIO.
Note al secondo discorso di Rousseau
III. Vi sono buone ragioni per sostenere che l’uomo è un BIPEDE:
- La maniera in cui la TESTA è attaccata al suo corpo, invece di dirigere la sua vista orizzontalmente, gli avrebbe mantenuti gli occhi fissi direttamente a terra, posizione assai poco favorevole alla conservazione dell’individuo.
- Il SENO della donna , molto ben collocato per un bipede, che tenga il bimbo fra le braccia, sarebbe mal posto per un quadrupede.
- La parte di dietro è di un’altezza eccessiva, in proporzione delle gambe davanti cosicché camminando a quattro piedi, l’insieme avrebbe formato un animale mal proporzionato.
VI. Tutte le conoscenze che esigono riflessione, sembrano essere estranee all’uomo selvaggio. Il suo Sapere e la sua industria si limitano a saltare, correre, battersi. Ma se non sa che queste cose, in compenso le sa molto meglio di noi, che non ne abbiamo lo stesso bisogno di lui.
IX. L’uomo non ha altri mali se non quelli che s’è dati da sé. Quando da una parte si considerano gli immensi lavori degli uomini, le arti, le scienze, e dall’altra si ricerchino i veri vantaggi che sono risultati da tutto questo per la felicità della specie umana, non si può non notare l’immensa sproporzione che regna fra le due cose. GLI UOMINI SONO MALVAGI. TUTTAVIA L’UOMO È NATURALMENTE BUONO. Il progresso e le conoscenze hanno depravato l’uomo. La società umana porta necessariamente gli uomini a odiarsi fra loro. Noi troviamo il nostro vantaggio nel danno dei nostri simili; e la perdita dell’uno fa quasi sempre la prosperità dell’altro. Il torto fatto a prossimo è sempre più redditizio che i servizi. L’UOMO SELVAGGIO, quando ha mangiato, È IN PACE CON TUTTA LA NATURA E AMICO DI TUTTI I SUOI SIMILI. L’uomo in società prima provvede al necessario e poi al SUPERFLUO. Non vi è mai un momento di tregua. Meno i bisogni sono naturali e
urgenti, più aumentano le passioni e il potere di soddisfarle. Nella fondazione e nel perfezionamento risiedono le ragioni della corruzione della specie. Il lusso è il peggiore di tutti i mali. Dalla società e dal lusso nascono tutte quelle inutilità che fanno fiorire l’industria. Le arti sono lucrose in ragione inversa della loro utilità e le più necessarie devono infine diventare le più trascurate. Così lo Stato, arricchendosi da una parte, s’indebolisce e si popola dall’altra.Bisogna allora distruggere la società, annullare la proprietà, e ritornar a vivere nelle foreste con gli orsi? Questa è la conclusione degli avversari di Rousseau,ma è vergognoso il solo pensare a tale esito. (come farà invece Voltaire). Ritornare alla vita selvaggia è impossibile per l’uomo civilizzato che ha perduto l’originaria semplicità. Rousseau propone un modello positivo in cui la natura torni a parlare in noi. Egli non auspica un ritorno allo stato naturale. Si deve desiderare un ritorno alla virtù, alla semplicità, all’autenticità e alla franchezza.
X. Le abitudini, la conformazione del corpo dei popoli dipendono dalle diverse maniere di vita di essi.È ben dimostrato che la SCIMMIA non è una varietà d’uomo; non solo perché è priva della facoltà di parlare, ma soprattutto perché si è sicuri che la sua specie non ha la facoltà di perfezionarsi, che è il carattere specifico della specie umana:esperienze che non sono state fatte sul PONGO o sull’ORANGUTANG con sufficiente cura per poterne trarre la stessa conclusione. Tutta la terra è coperta di genti, di cui non conosciamo che i nomi, e abbiamo la pretesa di giudicare il genere umano! (INIZIO ETNOLOGIA)
XV. Non bisogna l’AMOR PROPRIO con l’AMORE DI SÉ, due passioni molto diverse di natura e di effetti. L’amor di sé è un sentimento naturale, che porta ogni animale a provvedere alla propria conservazione, e, diretto nell’uomo dalla RAGIONE e dalla PIETÀ, produce ‘umanità e la virtù. L’amor proprio è un sentimento relativo, artificioso e nato nella società, che ispira agli uomini tutti i mali che si fanno reciprocamente. Allo stato primitivo l’amor proprio NON ESISTE, perché non è possibile che nella sua anima possa germogliare un sentimento che trae origine da PARAGONI ch’egli non è in grado d fare.
- Tutti i mali della società derivano dall’amor proprio, il quale non va inteso come egoismo, ma come ciò che esprime l’importanza del mio orgoglio.
- L’amor proprio non è un sentimento: è il prodotto di una riflessione.
XVI. Se quei poveri selvaggi sono così infelici, come si pretende, perché rifiutano costantemente di civilizzarsi, o d’imparar a vivere felici fra noi; mentre si legge in mille luoghi che europei si sono rifugiati volontariamente fra quelle genti?
Il FILOSOFO è colui che mette a tacere tutto ciò che la natura ci ha dato spontaneamente. (ES: Stai morendo? E chi se ne frega!). Il VERO UOMO in realtà è il CITTADINO pieno. L’uomo naturale non è altro che il modello da seguire per il cittadino perché possa tornare ad un ideale di semplicità, frugalità, austerità. Nell’amore ci sono due aspetti. Uno FISICO, che appartiene all’ambito della natura e uno MORALE che si riferisce all’ambito sociale e culturale.
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Autore:
Valentina Ducceschi
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- Università: Università degli Studi di Pisa
- Facoltà: Filosofia
- Esame: Filosofia Morale
- Docente: Alfredo Ferrarin
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