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Allestimenti museali negli anni ’50 in Italia


Negli anni ’50 l’Italia vive un florido periodo di sperimentazione nell’ambito degli allestimenti museali, che vede spesso la collaborazione di importanti architetti con i direttori dei musei coinvolti.

Tra questi Franco Albani, che negli anni ’50 è parte del riallestimento di Palazzo Bianco a Genova, rimasto fortemente compromesso dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Tutte le decisioni relative al nuovo allestimento vengono prese da Albani in collaborazione con la direttrice del museo.
Viene anzitutto fatta una selezione all’interno della collezione, in modo che le opere d’arte scelte venissero valorizzate e risultassero più leggibili. Per le opere d’arte non scelte, invece, Albani crea i cosiddetti “depositi consultabili”, caratterizzati da pareti continue e a scorrimento.
Il punto chiave di questa collaborazione è la convivenza tra passato e presente: dal punto di vista architettonico, infatti, gli ornamenti storici vengono mantenuti, mentre tutto ciò che viene aggiunto da Albani fa riferimento allo stile moderno. Le opere d’arte vengono private delle loro cornici, appese attraverso cavi metallici e investite da una luce naturale.
Alcune statue sono sistemate su basamenti in stile moderno, per esempio basamenti telescopici.

Nel 1948, Carlo Scarpa si occupa dell’allestimento della mostra di Paul Klee in occasione della Biennale di Venezia di quell’anno.
Il punto focale dell’intervento di Scarpa consiste nell’aver reso fisicamente percorribile la spazialità del dipinto “Geoffnet” di Paul Klee, facendola diventare anche spazialità della mostra.
Interviene in maniera analoga anche nell’allestimento della mostra di Mondrian all’interno della Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, in cui sfrutta l’ortogonalità delle opere dell’artista per la progettazione della pianta dell’esposizione.

In questi anni, Scarpa si occupa anche di allestimenti museali, tra cui:
• Allestimento di Palazzo Abatellis, in cui si trova a dialogare con la storia, che deve valorizzare e non mettere in contrasto con la contemporaneità. Scarpa sceglie una serie di supporti essenziali e delle soluzioni scenografiche che mettono in risalto i dipinti e ne facilitano la leggibilità.
• Gipsoteca canoviana, in cui si occupa di una collezione molto diversa rispetto a quelle precedenti, in quanto costituita dai bozzetti in terracotta e gesso delle opere di Antonio Canova. Attraverso una serie di finestre continue, che invadono gli ambienti con la luce naturale, Scarpa risalta le opere a 360°.
• Museo di Castelvecchio a Verona: Scarpa mette anzitutto in comunicazione due ambienti, in modo da creare una continuità di percorso e valorizzare la fuga prospettica. Le opere sono poggiate su basamenti essenziali che riflettono la luce grazie al fatto di essere lucidi.
Importante è anche la sistemazione della statua di Cangrande della Scala all’esterno dell’edificio, nel punto in cui prima vi era un’antica porta della Verona medievale.

Tratto da MUSEOLOGIA di Roberta Carta
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