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Regolamento di Roma I


Art. 24 → “il presente regolamento sostituisce la convenzione di Roma..."
Secondo questa teoria, ogni volta che si fa riferimento alla convenzione di Roma bisogna fare sempre riferimento al regolamento Roma 1.
Però qualcuno dice: sia per i contratti conclusi fino al 17 dicembre 2009 (prima che entrasse in vigore questo regolamento) sia per altre situazioni che vi cadono al di fuori dell’applicabilità di questo regolamento che per esempio non si può applicare per la Danimarca, continua a vigere il sistema precedente.
Quindi per qualcuno questa convenzione di Roma, trova applicazione mentre per la dottrina prevalente si intende che la sostituzione sia totale.

Su quali materie opera il regolamento di Roma?
Se si va all’art. 1 si applica in circostanze che comportino un conflitto di leggi (elemento di estraneità), alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale (quindi non fiscale, doganale, amministrativa).
Esso è vincolante per tutti gli stati membri dell’UE, salvo la Danimarca (si utilizza la convenzione di Roma del 1980), è direttamente applicabile nell’ordinamento degli stati membri, prevale cioè sul diritto interno e non ammette riserve.
Come tutti i regolamenti dell’UE essi trovano una applicazione diretta ed immediata. Non serve che venga recepito, non può lo stato sollevare delle riserve. Il regolamento vince su tutti.

L’art. 1 comma 2 spiega dove non si applica:
a) questioni di stato e di capacità delle persone fisiche
b) le obbligazioni derivanti dai rapporti di famiglia
c) le obbligazioni derivanti da regimi patrimoniali tra coniugi, successioni
d) assegni
e) compromessi, clausole compromissorie
f) diritto delle società
g) mandante
h) trust
i) trattative precontrattuali
j) contratti di assicurazione.

Nel punto 4 ci dice → per stato membro si intendono gli stati membri ai quali si applica il presente regolamento.
Chiaramente questo regolamento deve essere coordinato con altre norme di diritto internazionale privato di natura comunitaria e internazionale, lo fanno gli articoli 23 e 25.
L’art. 23 dice → il regolamento non pregiudica l’applicazione delle disposizioni comunitarie emanate già in passato o da emanare in futuro con riferimento a settori specifici che disciplinino i conflitti di legge in materia contrattuale. Quindi questo regolamento detta una disciplina generale, se però l’UE emette su settori specifici, una disciplina particolare il regolamento si tira indietro perché prevale questa disciplina puntuale.
L’art. 25 dice → il regolamento non osta all’applicazione delle convenzioni internazionali di cui uno o più stati membri sono parti contraenti (già concluse con stati terzi) al momento dell’adozione del presente regolamento che disciplinano i conflitti di leggi inerenti ad obbligazioni contrattuali.

Quindi il regolamento si applica a tutti gli stati dell’UE, se però c’era un accordo, una convenzione fra uno stato dell’UE e uno stato terzo, succede che le convenzioni internazionali già stabilite per esempio fra Germania e USA al momento dell’adozione del regolamento non vengono bloccate dall’entrata in vigore del regolamento. Questo però succede perché c’è il coinvolgimento di soggetti che non sono stati membri ma se c’erano delle convenzioni concluse fra stati membri, fra due o più di essi, il diritto unionale diventa totale quindi viene a sostituirsi a pieno. Il presente regolamento prevale tra stati membri sulle convenzioni concluse esclusivamente da due o più di essi nella misura in cui essere riguardino materie disciplinate dal regolamento.

Art. 3 → la scelta del diritto applicabile alle obbligazioni contrattuali nasce da contratto internazionale.
Art. 3 (libertà di scelta) dice che il contratto è disciplinato dalla legge scelta dalle parti, il criterio di collegamento ai fini dell’individuazione dell’ordinamento statale competente a regolare le obbligazioni contrattuali. Quindi se si deve regolare le obbligazioni derivanti da questo contratto che si sta stipulando, in primo luogo vale la legge che è stata scelta dalle parti. I “considerando" sono le premesse del regolamento. Il considerando 11 (la libertà delle parti di scegliere la legge applicabile dovrebbe costituire una delle pietre angolari del sistema delle regole di conflitto di leggi in materia di obbligazioni contrattuali), si vuole che siano le parti in primo luogo a stabilire quale sia la legge applicabile al contratto. Le parti quindi scelgono liberamente la legge applicabile e poi giudice competente a risolvere le controversie oppure la scelta di ricorrere agli arbitri. Tramite questo regolamento si vengono a dettare dei principi fondamentali in materia di legge applicabile e anche di quello che è il giudice che dovrà risolvere le controversie. Fondamentalmente sono questi i punti che noi nel contratto dobbiamo inserirci, gli altri sono tutte clausole.

Il contenuto del contratto è legato all’operazione negoziale specifica, ci si può scrivere quello che si vuole in relazione a quello che si vuole ottenere ma i punti su cui ci si deve soffermare: oltre alla lingua sono questi due → legge ap plicabile e giudice/arbitro competente.

La legge applicabile si individua ai sensi di questo regolamento, il quale in primo luogo dice che per individuare la legge nazionale/statale che si applica al contratto conta in primo luogo la volontà delle parti, le quali possono decidere anche di applicare la legge di uno stato che non è uno stato membro. Questa possibilità è prevista, anche l’art. 2 (carattere universale) dice le parti possono decidere questo.

Quali sono i limiti all’autonomia delle parti? All’art. 3 (terzo comma) si dice → qualora tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione… cioè se si è scelta la legge di uno stato ma per tutta una serie di altri elementi viene in rilievo si riconduce, ci spingono verso gli elementi di un altro paese, in questo caso le norme imperative di quel paese devono essere applicate.
Lo stesso discorso vale nel comma 4 → dove si parla di disposizioni imperative dell’UE. Art. 3, 6, 8, 9, 11, 21 sono una serie di articoli che ci fanno capire come se da un lato c’è la possibilità per le parti di scegliere liberamente la legge da applicare al loro contratto, in altri casi la libertà non c’è.
Per esempio art. 11 comma 5 → qualsiasi contratto che ha per oggetto un diritto reale immobiliare o una locazione di un immobile è sottoposta ai requisiti di forma della legge del paese in cui l’immobile è situato. Si può applicare tutte le leggi del mondo, però è inevitabile che quando c’è un immobile di mezzo, non si può disapplicare le norme sulla forma del trasferimenti di immobili d’Italia se l’immobile per esempio è in Italia. Per quanto ci sia la possibilità di scegliere, queste scelte urtano con delle limitazioni che scaturiscono dalle leggi.
Un’altra di queste limitazioni all’applicazione della legge di uno stato straniero (esempio: se si richiama la legge tedesca, il giudice è italiano quindi si deve preoccupare di applicare la legge tedesca ma nel momento in cui la legge tedesca fa ingresso nel nostro ordinamento a quali limitazioni può vedersi opposta? Le norme di applicazione necessaria) sono le norme di applicazione necessaria, come limite preventivo all’ingresso nel nostro ordinamento di una legge di un altro paese.

Il limite successivo invece era un limite dell’ordine pubblico internazionale. Quindi la scelta delle parti o perché riguarda determinati settori o perché ci possono essere nome di applicazione necessaria o perché vengono coinvolti dei consumatori/ lavoratori, possono queste norme rappresentare un limite all’ingresso della legge straniera richiamata liberamente dalle parti nel momento in cui questa deve essere applicata. Quindi ci stiamo preoccupando di scegliere la legge applicabile, la libertà si estende, come già detto, alla possibilità di scegliere la legge di uno stato terzo (art. 2), è quel carattere universale che attribuisce alle parti piena autonomia. La scelta della legge deve essere espressa positivamente cioè bisogna dire: “noi scegliamo il presente contratto, è sottoposto alla legge italiana", con chiarezza e può anche trattarsi di una volontà implicita ma deve essere sempre e comunque individuabile, mai presunta, ipotetica in quanto attribuirebbe al giudice un potere sconfinato e incontrollabile. Quindi la scelta deve essere fatta in termini positivi.
La scelta può richiamare un ordinamento giuridico unificato (l’intero stato) o richiamare un’unità territoriale di uno stato federale (legge dello stato del Delaware molto utilizzata). Non è il regolamento che decide quella che viene richiamata, cioè tu fai il richiamo e quello è il richiamo che va a buon fine.
Il problema è la scelta negativa: le parti si limitano a dire “non vogliamo la legge tedesca" → è una volontà negativa, bisogna ricostruire la volontà delle parti perché se il non scegliere la legge tedesca implica una scelta indiretta è un conto (non scelta di questa legge porta alla scelta di un altra legge, non ci sono problemi perché comunque c’è stata una scelta) ma se non scegliere la legge tedesca implica una non scelta, a quel punto si applicano i criteri che stabiliscono quale sia la legge applicabile in mancanza di scelta.

È possibile il cosiddetto dépecage? Guardando l’art. 3 il dépecage è una frazione del diritto applicabile, cioè alle parti si riconosce la possibilità di regolare alcuni aspetti con una legge e altri aspetti con una legge diversa. Non c’è limite da questo punto di vista, se si vede l’art. 3 comma 1 (seconda parte) → le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto ovvero a una parte soltanto di esso. Si può dire per quello che riguarda il contratto, esso è interamente soggetto alla legge francese, le ipotesi di nullità del contratto sono quelle della legge tedesca.
Questa è la pratica del dépecage, di prendere leggi diverse di stati diversi e di applicarla a diverse parti del contratto. Il dépecage non incontra limiti particolari.
Si hanno tutta una serie di aspetti, le parti potrebbero dire per il contenuto → legge tedesca mentre per l’esecuzione → legge francese e cause di nullità → non si dice nulla. A questo punto entrano in gioco i criteri che si applicano in caso di non scelta. O si sceglie su tutto, o si sceglie su tutto prendendo anche leggi diverse o si lasciano delle parti in bianco (non scelta), sulle parti che non si regolano regole precise ( → ).
Il contratto comunque dovrà essere coerente e non è che si può nel momento in cui si è richiamata una legge dire: non voglio quelle disposizioni di quella legge quindi o ne applico altre però non si possono prendere solo dei pezzi di un ordinamento. Il richiamo si intende per l’intero. Nel momento in cui si richiama la legge di un paese, il richiamo opera per l’interno a meno che non si dice che si dice che certi altri aspetti sono regolati dalla legge di un altro stato.

Quali sono le ulteriori problematiche electio iuris? Ci stiamo occupando di questa legge da applicare, di solito la legge che finora abbiamo richiamato è stata la legge di uno stato.
Si può pero richiamare per regolamentare questi contratti ad esempio la lex mercatoria o i principi UNIDROIT?
Possono le parti scegliere come legge applicabile i principi e le norme di diritto sostanziale dei contratti individuati da fonti astatuali come principi UNIDROIT o la lex mercatoria?
La risposta è no, è stata una specifica scelta del legislatore comunitario quella di recepire sia la lex mercatoria che i principi UNIDROIT (fonti astatuali) soltanto in via mediata cioè soltanto qualora esse siano recepite e richiamate da altre leggi statali.

Quindi il contratto non può essere regolato dalla lex mercatoria ma si può dire: il contratto è regolato dalla legge italiana, e se a sua volta la legge italiana sente il richiamo della lex mercatoria o dei principi UNIDROIT a quel punto si può operare questo rinvio e si può consentire questa ricezione ma non si può richiamare mai direttamente perché è una fonte astatuale.
Il regolamento permette di richiamare soltanto fonti statuali. Quindi la lex mercatoria e i principi UNIDROIT possono trovare applicazione come legge applicabile solo in quanto richiamabili da parte di una legge statuale che è stata richiamata, non in via immediata ma in via mediata. Quindi mai come richiamo diretto.

Si può richiamare un diritto abrogato? (cioè un diritto che prima che era in vigore) No.
Si può richiamare un diritto astatuale a base religiosa? (per esempio un contratto regolato dalla sharia) No.
Quando si fa un rinvio ad un ordinamento si richiamano anche le norme di diritto internazionale privato o no?
Il diritto richiamato viene richiamato direttamente quindi non vengono richiamate le norme di diritto internazionale privato dell’ordinamento richiamato.
Esempio: richiamo la legge inglese (quindi legge applicabile: inglese), alle obbligazioni contrattuali noi sottoponiamo la legge inglese. Quella che viene richiamata è direttamente la legge inglese, non la conflict law perché il rischio è che se io vado a richiamare la conflict law, la conflict law mi rimandi ad altri ordinamenti perché questa è la funzione delle norme di diritto internazionale privato cioè quella di individuare una legge applicabile. Il rinvio riguarda la legge materiale e non le norme di diritto internazionale privato, perché se io andassi a richiamare di quella legge che voglio applicare a contratto anche le norme di diritto internazionale privato → la conseguenza potrebbe essere che le norme di conflitto potrebbero richiamare una legge che non voglio. Invece io voglio la legge materiale di quello stato, non le sue norme di conflitto.

C’è la possibilità di richiamare il diritto a una certa data? No, il diritto viene chiamato nella sua interezza. È una scelta non valida in quanto ogni modifica delle legge si riverbera sulla scelta, sulla lex contratcus che abbiamo scelto.
Quando si fa la scelta della legge applicabile al contratto? Si fa al momento della conclusione del contratto stesso.
Si può fare una scelta tardiva? Sostanzialmente si, lo si può scegliere in un secondo momento con effetto retroattivo ma non può essere mai una scelta unilaterale, cioè si può per esempio oggi sottoscrivere il contratto e non dire nulla. Una settimana dopo ci ripenso: si fa un addendum con il quale si dice → vogliamo sottoporre il nostro contratto a questa lex contractus, questo produce effetto retroattivo ma questa scelta non la può solo fare unilateralmente le parti, troppo comodo. Questa scelta si può fare anche in sede processuale purché venga fatta alla prima udienza di trattazione della controversia quindi prima che la controversia abbia già avuto un suo sviluppo e una sua trattazione dal giudice. Si può anche variare questa scelta purché questa scelta venga fatta in maniera espressa e in termini positivi cioè non con la scelta negativa.
I limiti alla scelta sono indicati all’art.3 commi 3 e 4, i quali → quando si sceglie una certa legge e per un qualsiasi motivo tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione sono ubicati, in un paese diverso non possiamo prescindere dalle norme imperative di questo stato. Stesso discorso per le norme imperative unionali. Anche se viene fatta una certa scelta, c’è un forte collegamento con un terzo paese o comunque con il diritto dell’UE che detta delle norme imperative al riguardo, nonostante la scelta, queste norme imperative trovano applicazione. Norme imperative sono norme interne che non possono essere mai derogate.
Per esempio le norme imperative possono essere quelle sulla nullità del contratto, queste non possono essere derogate dalle parti, che non possono inventare delle nullità diverse. Quindi ogni ordinamento ha una serie di norme imperative. Se per esempio un contratto concluso fra un francese e un tedesco, tirano in ballo per una serie di motivi (esecuzione del rapporto, serie di situazioni), l’Italia a quel punto dovranno essere applicabili anche le norme imperative italiane. Per via di questo richiamo che viene dalla presenza di tutti gli elementi del contratto presenti del nostro paese non possono essere disapplicate.
Lo stesso vale per le norme imperative unionali, sono norme imperative che vengono stabilite a livello di UE, e queste trovano sempre applicazione.

PACTUM DE LEGE UTENDA → (pactum circa la legge da utilizzare), è quella clausola del contratto con la quale noi scegliamo la legge da applicare al nostro contratto.
Questa legge viene richiamata, quindi noi stipuliamo un contratto e con il pactum de lege utenda decidiamo di sottoporre il nostro contratto ad una certa disciplina, ad una certa legge straniera.
Questo pactum è sostanzialmente autonomo e indipendente anche per quello che riguarda la sua validità, per quello che riguarda la sua esistenza, per quello che riguarda la validità del consenso prestato rispetto al resto del contratto. Quindi abbiamo questo contratto con una clausola (quella del pactum de lege utenda, art.7), il quale dice: questo contratto è sottoposto alla legge italiana.
Questo articolo, questo pactum ha una sua autonomia in termini di validità, efficacia perché questo pactum cosa fa? Richiama la legge applicabile.
Il problema è che se ai sensi della legge che viene richiamata, il contratto è nullo sarebbe nullo anche il pactum de lege utenda.
Nel momento in cui è nullo questo pactum è nullo quel meccanismo che ha richiesto di richiamare quella legge (problema regresum ad infinitum).
Per questo, questo pactum deve essere considerato assolutamente indipendente in termini di requisiti di validità, efficacia e di esistenza rispetto al resto del contratto, perché se ci fosse questa estensione della nullità verrebbe meno proprio il parametro ai sensi del quale è stata richiamata la legge che sancisce la nullità. La scelta può essere anche una scelta implicita positiva di questa legge perché può essere per esempio derivante dall’utilizzo di una certa lingua, dal fatto che uso una certa moneta, dal luogo di esecuzione, dall’interdipendenza con contratti disciplinati da una legge specifica, dalla scelta di un determinato foro di competenza quindi io non faccio un richiamo diretto ma deduco questo richiamo da questi elementi impliciti.

La scelta può anche riguardare una convenzione internazionale. Si può richiamare una convenzione internazionale per la disciplina del nostro rapporto contrattuale?
Si, però in questo caso vale lo stesso principio che valere la lex mercatoria, diritto astauale cioè è un richiamo che trova applicazione soltanto in termini contrattuali quindi questo richiamo non vale come electio iuris, come la scelta del diritto applicabile ma solo come ricezione materiale contrattuale. Quindi si prende il contenuto di questa convenzione e lo si traduce in clausole di contratto. Non si sottopone la disciplina dell’intero contratto a questa convenzione, come se fosse il diritto regolatore ma si prende questa convenzione e la si recepisce come regole contrattuali.
Lo stesso vale per la lex mercatoria, no richiamo diretto, no diritto applicabile però traduco la lex mercatoria, utilizzabile dalla legge dello stato che abbiamo richiamato, in termini contrattuali.
Questa lex contractus che abbiamo richiamato, a che cosa si applica? Quali aspetti copre?
Ce lo dice l’art. 12 → la legge applicabile al contratto ai sensi del presente regolamento disciplina in particolare:
• sua interpretazione
• esecuzione delle obbligazioni le conseguenze dell’inadempimento totale o parziale
• estinzione delle obbligazioni (prescrizioni e decadenze)
• conseguenze della nullità.

Che cosa succede quando la scelta (che era nella facoltà delle parti di effettuare) non viene fatta?
La pietra angolare del considerando dice che fondamentalmente è volontà del regolamento quindi del legislatore europeo che siano le parti a scegliere la legge applicabile però il legislatore europeo si pone anche nella posizione di dettare delle regole qualora questa scelta non sia stata fatta. Il regolamento dice che prima che scattino tutta una serie di altre situazioni, tira in ballo il successivo art. 4. Quando le parti non vogliono o non possono scegliere la legge applicabile di un contratto che è stato concluso dopo 17/12/2009 (prima c’era la convenzione di Roma) occorre fare riferimento a dei criteri oggettivi. Il legislatore europeo fa riferimento a dei criteri oggettivi perché così si arriva sempre alla stessa soluzione, in maniera tale che venga identificato l’ordinamento statale in maniera certa, garantistica, prevedibile e in maniera tale che quindi in difetto di scelta si sappia quali criteri utilizzare per individuare la legge applicabile al contratto. All’art. 4 primo comma individua una serie di contratti tipici e dice che quando si tratta di contratti indicati al primo comma, bisogna seguire il criterio di collegamento che viene stabilito proprio in quel primo comma. Non va a trovare criteri strani, ma per ogni contratto c’è il suo criterio di collegamento (a,c..). Detta dei criteri puntuali che permettono facilmente di individuare la legge applicabile.

Se il contratto in questione è un contratto non tipizzato, allora quale è il criterio di collegamento che si deve utilizzare?
Ce lo dice il comma 2 → se il contratto non è coperto dal paragrafo o sono combinati fra quelli sopra… Il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha la residenza abituale. Questo è individuato già dal considerando 39 che sottolinea l’importanza di avere una univoca idea di residenza abituale. La prestazione caratteristica è la prestazione che individua un certo tipo contrattuale. Fra uno che paga e uno che deve fare una prestazione particolare, la prestazione caratteristica è il secondo perché non è che pagare del denaro individua la prestazione caratteristica che invece è rappresentata da quell’adempimento/obbligazioni che qualificano un certo tipo contrattuale rispetto ad un altro, quindi dovrebbe richiamare il concetto di causa contrattuale.

Quindi come si fa ad individuare questa legge? Bisogna fare riferimento al soggetto che deve fare la prestazione caratteristica e poi quando individuato, fare riferimento alla sua residenza abituale, di chi deve rendere la prestazione caratteristica per poi individuare la legge applicabile (definita all’art.19 comma 1 e 2) → ai sensi del regolamento si intende per persona giuridica, associazioni e società il luogo dove si trova l’amministrazione centrale mentre per persona fisica la sede di attività principale.
Poi c’è una clausola di eccezione che dice: se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il contratto però presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi 1 e 2 si applica la legge di tale diverso paese( art.4 comma 3), se non c’è la prestazione caratteristica oppure sono tutte e due caratteristiche come una permuta immobiliare, si fa riferimento al terzo criterio cioè si va a verificare se il nostro contratto per un qualsiasi motivo presenta un collegamento (di elementi, aspetti) più stretto con un paese rispetto ad un altro. Il giudice deve vedere quando si realizza questo collegamento e con quale paese si realizza, deve capire il collegamento (più stretto) che può qualificare l’applicabilità di una certa legge. Se le circostanze del contratto sono tali per cui si verifica che questo, è strettamente legato ad un terzo paese, cioè a un paese diverso da quello che sarebbe individuabile ai sensi di quegli altri criteri, si deve andare ad applicare la legge di questo terzo paese, che è il terzo criterio che viene detto al comma 4 (art.4). Il legislatore comunitario quindi dice questo, tutto questo quando la scelta non viene fatta.

Quando si va a parlare di legge richiamata, questa incontra una serie di limiti nel momento in cui viene effettuato questo richiamo. Quali sono questi limiti?
Le norme di applicazione necessaria rappresentano un limite preventivo (ex ante) mentre l’ordine pubblico internazionale, limite successivo (ex post) che nonostante le norme siano stata accettate all’interno del nostro ordinamento impedisce che esse possano essere applicate. Le norme di applicazione necessarie (statali, unionali, interstatuali, di varia fonte) si trovano indicate all’art. 9 del regolamento (comma 1, 2,3).
Sono delle norme che sono poste a salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale, economica dello stato del foro. Per questo fungono da sbarramento perché rappresentano, i principi cardine dell’organizzazione politica, sociale e economica dello stato del foro. Dice quale sia la legge applicabile al contratto o perché è stata scelta o per il collegamento più stretto o per la prestazione ca ratteristica, qualsiasi sia la legge richiamata in ogni caso troverà la porta sbarrata in presenza di questo limite ex ante, rappresentato dalle norme di applicazione necessaria. Il comma 3 → dice non solo possono venire in rilievo le norme di applicazione necessaria del foro ma anche quelle di un terzo paese qualora ci sia il rischio di un adempimento illecito.

Queste sono le norme di applicazione necessaria che devono essere applicate dal giudice, ma può essere che la questione sia stata devoluta ad un arbitro e allora l’arbitro quali norme di applicazione necessaria dovrebbe applicare? Quelle del luogo dove è situato l’arbitro? In questo caso, si ritiene che sia una sua facoltà.
Quelle della legge richiamata dal contratto? Se ritiene che sia un obbligo, quella del luogo dell’esecuzione è una sua facoltà (vedere schema numero 19 del marella che spiega tutta questa situazione).
Per quanto riguarda invece l’ordine pubblico internazionale, questo è un limite successivo perché il diritto richiamato può non andare ad urtare con le norme di applicazione necessaria ma può andare ad urtare con dei principi fondamentali ispiratori, irrinunciabili per l’ordinamento dello stato in cui il giudice si trova a decidere. Quindi non si può permettere che il diritto richiamato, vada ad urtare con questi principi fondamentali che sono suscettibili nel variare nel tempo (unioni civili). Questo concetto di ordine pubblico internazionale non è un concetto fissato e cristallizzato nel tempo. La norme per esempio che riconoscono la poligamia non possono trovare applicazione nel nostro ordinamento. Queste norme di fatto non sono scritte ma nel momento in cui vado a dare esecuzione alla norma (che non è andata a urtare con le norme di applicazione necessaria), l’applicazione di quel diritto straniero trova un limite nelle norme dell’ordine pubblico internazionale. L’ordine pubblico che ci riguarda hanno la funzione di limitare il funzionamento delle norme di diritto internazionale privato, come quelle del regolamento, e quelle della 218 del 95, perché è espressione di esigenze fondamentali della società e di diritti politici, civili, economici, sociali e culturali propri di un certo paese e di un certo momento storico. L’ordine pubblico internazionale diverso da quello interno, che è l’insieme di quelle norme imperative, sia di carattere unionale e interno/nazionale.

Quindi nel momento in cui un diritto straniero entra nel nostro però viene bloccato dai principi dell’ordine pubblico internazionale, quel diritto straniero non può essere applicato ma allora che cosa si applica? La legge 218 del 95 (detta la disciplina di diritto internazionale privato cioè si applica la conflict law italiana), la quale ci aiuta a trovare i criteri da utilizzare per regolare quella situazione. Nella peggiore ipotesi, se non troviamo dei criteri → legge italiana.

È rimasto da definire → giudice. Quando si va a scegliere il giudice, è sempre opportuno prefigurare all’interno del nostro contratto una soluzione circa chi, il soggetto che deve risolvere la controversia senza rinviare al momento in cui i rapporti fra le parti sono deteriorati. In questa fase (all’inizio) più facile trovare un accordo circa le modalità di risoluzione della controversia. La scelta può essere fra il giudico nazionale/ordinario o l’arbitro. Si va dal giudice ordinario quando:
- se la controversia non ha un valore molto elevato e si rende necessario ricorrere a misure cautelari (sequestro).
Il sequestro non si può chiedere all’arbitro quindi si va dal giudice ordinare perché può adottare anche delle misure cautelari o anche procedimenti speciali o materie che devono essere per legge decise da un giudice oppure perché non ci sono arbitri capaci su quella specifica materia.
Per la scelta bisogna fare riferimento alla strategia contrattuale complessiva che si ha seguito.
A questo punto entrano in gioco le cosiddette ADR (alternative dispute resolution) cioè sistemi di risoluzione delle controversie, sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.
Quali possono essere?
Sono 3 → la mediazione, conciliazione e l’arbitrato.
In che cosa sono diversi?
Questo sistema di mediazione è fondamentale anche nell’ordinamento italiano in questo momento. Si dice che l’esigenza che sta alla base della mediazione è un esigenza deflativa cioè si vuole ridurre il numero di casi da sottoporre al giudice. Il problema è che i tribunali sono pieni di casi, lentezza nelle decisioni quindi a partire dal 2008/2010 il legislatore ha cominciato ad introdurre nel nostro ordinamento una serie di sistemi che invece sono diffusi in altri paesi. Questi sistemi sono gli ADR e hanno l caratteristica di essere importanti per vari motivi: in alcuni casi sono obbligatori cioè nn si può andare in lite davanti al giudice se prima non si è passato attraverso questi sistemi e comunque hanno una durata contenuta (3 mesi). O riesci in tre mesi a metterti d’accordo o vai davanti al giudice e se si va davanti al giudice, che può tenere conto che non ci si è accordati magari per colpa di una parte. Lo scopo quindi è quello di ridurre il carico degli organi giudicanti.
Questo in Italia mentre in generale questo concetto è che intanto... anche l’Italia ha adottato la mediazione che è quel procedimento attraverso il quelle parti aiutate da un mediatore cercano di trovare una soluzione per la controversia che è sorta tra le stesse. È un mediatore quindi non un giudice, non è un soggetto che decide ma un soggetto che ascolta le parti individualmente e congiuntamente, cerca di condurle verso una decisione comune ed accettabile per entrambe. Se la mediazione si finisce bene, procedura rapida, informale, riservata (non cosi impatto mediatico rispetto a un caso giudiziario), si conclude in via amichevole questa controversia.

Diverso è il conciliatore che invece tende a decidere in punto di diritto, esprimendo una sua valutazione in relazione agli aspetti giuridici della controversia. Qui c’è un qualcuno che decide, che propone una soluzione, è più forte il potere decisionale rispetto al mediatore anche se le parti si possono ritirare in qualsiasi momento da questa procura di conciliazione. Si caratterizza per la sua rapidità, informale.

Poi c’è l’arbitrato che può essere interno, internazionale e nel momento in cui questo ricorso agli arbitri è previsto all’interno delle clausole contrattuali, quando si va davanti agli arbitri e poi ci si sottrae dalla decisione arbitrale, il giudice di questo tiene conto. Gli arbitri rendono una decisione attraverso un provvedimento che si chiama lodo arbitrale. Il lodo arbitrale è suscettibile di essere eseguito con tutti i crismi all’interno di un ordinamento giuridico, quindi quando è che conviene andare di fronte all’arbitro?
L’arbitro è in grado di dare la soluzione in termini informali, rapidi, più costosi, riservatezza, esperienza e competenza, ci si può assistere anche da un avvocato in sede arbitrale, riconoscimento e l’esecuzione del lodo è riconosciuta in moltissimi paesi ma gli arbitri in base a che cosa possono decidere? Gli arbitri sono più liberi nella scelta delle norme applicabili, non sono vincolati come i legislatori. Il legislatore nazionale si muove su parametri più stretti mentre arbitro può richiamare anche fonti astatuali: lex mercatoria e principi UNIDROIT.

Tratto da DIRITTO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE di Alice Lacey Freeman
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