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Keynes e il libero scambio


Keynes, sul piano internazionale, era libero scambista, professionista, favorevole al libero commercio e all’intervento pubblico.
Eppure come tutti cambiò idea (ricci e volpi): mentre per tutti gli anni ’20 egli è un economista sensibile all’importanza del libero commercio, del libero scambio e dell’integrazione, anche per una ragione di tipo morale (infatti diceva che “l’Inghilterra deve dare il buon esempio mantenendo le frontiere aperte” e non tornare al protezionismo che non è neanche da prendere in considerazione come strumento tattico), successivamente, con la crisi del ’29 cambia idea e mostra un progressivo scetticismo nei confronti dell’eccessiva, troppa globalizzazione, degli eccessi di liberismo: nel 1933 scrive un articolo molto importante chiamato “national self-sufficiency” (autarchia economica /autosufficienza nazionale) in cui ritiene che è opportuno non esagerare soprattutto nell’integrazione finanziaria (a volte anche nelle relazioni commerciali, nell’apertura estrema agli scambi commerciali).
Gli eccessi più pericolosi sono quelli riguardanti la globalizzazione finanziaria, poi ci possono essere eccessi rischiosi che fanno scattare un allarme anche sul fronte dell’integrazione commerciale. Questa fu la tesi di fondo dell’articolo, che fu molto influente e in cui dice pure che la finanza deve essere nazionale, il commercio può anche essere internazionale con dei controlli, con particolari attenzioni (“le cose veramente internazionali sono le conoscenze, il turismo, la circolazione delle idee, della scienza, l’ospitalità, l’amicizia, i viaggi, trasmissione di esperienze, sono elementi da essere considerati globali”). È importante che non ci sia circolazione internazionale di capitale, su questo campo non ha dubbi, mentre sul fronte commerciale si mostra scettico e non è più libero scambista al 100%. Dunque Keynes è prudente nei confronti del commercio, sui vantaggi del commercio ed è contrario nei confronti della globalizzazione finanziaria che porta molti più svantaggi che vantaggi (suo pensiero economico durante BW e durante il quale scrive la teoria generale).

Dopo questo periodo, smette di scrivere di questi temi, dedicandosi appunto alla teoria generale, ma anche ai finanziamenti della guerra e infine tornerà a parlarne con la stesura del piano Keynes che si unirà al piano White per dare vita alla fisionomia degli accordi di Bretton Woods.
Se si è in una fase (che si riproduce anche oggi) in cui le esigenze nazionali si scontrano con alcune caratteristiche dell’economia globale (cioè che ha zero barriere e zero costi di transazione), solitamente trionfano le prime e muoiono le seconde. Trionfa lo stato nazione con il rischio che si perdano tutti gli elementi positivi di un sistema economico integrato. Questa è una consapevolezza che sta alla base dei piani Keynes – White: bisogna andare con cautela, bisogna evitare che scoppi una contrapposizione aperta tra esigenze nazionali e caratteristiche dell’economia globale (internazionale).

Keynes e White sono consapevoli di questo principio e vi si adeguano; cercano di scrivere regole che si adeguano a questo principio piuttosto che contrapporsi e creare contraddizioni dannose.
Essi partono dal loro sistema di cambi a garanzia di un ambiente economico più stabile rispetto agli anni Venti e Trenta, un nuovo sistema di cambi che aveva un’ancora forte che non poteva essere l’oro date le prestazioni pessime nei periodi bellici, ma era il dollaro, segno di un’economia forte, che stavolta non “scappava” ma si metteva a disposizione dell’economia internazionale per dare maggiore stabilità; questo nuovo sistema di cambi stabili a garanzia di un ambiente economico più stabile significa avere certezza e consapevolezza di un futuro meno incerto. Valuta fondamentale era il $ e quindi gli USA dovevano svolgere il ruolo di leader; inoltre, alcune istituzioni internazionali (fondo monetario, banca mondiale) avevano compiti, statuti e funzioni molto più robuste e più incisive rispetto alla vecchia società delle nazioni. Questo sistema fu al centro dell’economia mondiale dagli anni ’50 al 1971 (governò questi anni), anche se parte del sistema di Bretton Woods esiste ancora oggi (come l’FMI, mentre il sistema dei cambi non esiste più).

Le caratteristiche fondamentali di questo accordo furono:

• Regime a cambi fissi ma aggiustabili (non rigidi, non fissati per sempre) → stabilità di cambi che sono fissi ma non in modo irrevocabile e periodicamente potevano essere modificati; questa stabilità poteva essere quindi rivista.

• Esisteva sempre un collegamento lontanissimo con l’oro → il dollaro era l’unica moneta a poter essere convertita in oro a un prezzo fisso (35 $ = 1 oncia d’oro), quindi il dollaro era l’unica moneta che aveva un rapporto di cambio fisso con l’oro e questo dava alla moneta maggiore forza a differenza delle altre monete che avevano invece un tasso di cambio fisso con il dollaro (sistema monetario chiamato “dollar standard” che ruotava attorno alla forza del $) e non con l’oro con cui non avevano alcun rapporto. Dollaro unica moneta che, se richiesto, poteva essere convertito in oro a un tasso di cambio fisso.

• Nel caso di uno squilibrio del sistema (come nella Bp) → gli accordi distinguevano, in modo anche troppo teorico e accademico, la situazione tra squilibrio “temporaneo” e “strutturale”: squilibrio temporaneo significa che un paese continua a importare ma non produce abbastanza a causa di motivi dovuti a quel determinato anno; il paese in questo caso ha a sua disposizione una possibilità: può svalutare fino ad un max del 10% una sola volta la propria moneta (perché il paese ha bisogno di vendere di più all’estero, se invece fosse in avanzo, potrebbe rivalutare la sua moneta) oppure può chiedere un prestito al fondo monetario internazionale (istituzione creata in gran parte grazie agli USA attribuendogli risorse in funzione del potere economico e della forza economica dei paesi membri), una sorta di banca che ha risorse: essa vede che il paese in questione, che in generale ha una economia positiva, sana ha subito e sta subendo uno squilibrio improvviso, temporaneo perciò decide di concedergli un prestito anch’esso temporaneo. In questo modo, il paese può finanziare il suo disavanzo e tornare in equilibrio, grazie alle risorse concesse e prestate dal FMI. Una volta tornato in equilibrio, il paese non scatenerà una guerra con altri paesi, non erigerà muri e non adotterà il protezionismo. Sono regole che servono a far funzionare i sistemi economici anche quando sono in squilibrio cercando di attutire i problemi. L’alternativa della svalutazione per “una tantum” della moneta è il finanziamento dello squilibrio da parte del FMI che fa il prestito di risorse con interessi/condizioni (pagare tasso di interesse ad esempio). Squilibrio strutturale/fondamentale nella Bp si ha quando c’è un aumento dei prezzi dei prodotti di un paese (non si sono fatti risparmi, non si è investito), in questo caso il paese dove aprire un negoziato con il fondo per concordare una nuova parità cioè un nuovo tasso di cambio più realistico, oppure può chiedere un intervento più forte del FMI a sostegno dell’economia del paese, ma con delle condizioni strutturali da parte del fondo (ad esempio il FMI fa proposta di cambiare il sistema economico di quel paese, perché appunto va male quindi non far ripercuotere le conseguenze sulla competitività dei prodotti). Dunque il fondo presta le risorse per risanare lo squilibrio e il paese in cambio deve seguire le indicazioni strutturali del fondo.
Una difficoltà è quella di determinare il tipo di squilibrio e la causa dello squilibrio stesso.
Queste sono alcune caratteristiche principali del sistema di Bretton Woods. Altre regole furono poste sui movimenti di capitale. Queste regole furono sottoscritte inizialmente da 23 paesi della conferenza, progressivamente estese a più paesi (Italia fu inglobata nell’accordo nel ’46, primo dei paesi “nemici” ad essere accolta).

Tratto da STORIA DELLA POLITICA ECONOMICA INTERNAZIONALE di Federica Palmigiano
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