Accertamento fiscale
Lo Statuto dei Contribuenti, contenuto dalla Legge 212/2000, enuncia i principi generali a cui deve riferirsi il nostro ordinamento tributario.
L’art. 12 tratta gli accertamenti fiscali, ed in particolare al I comma si fa riferimento ad alcuni aspetti fondamentali degli accesi, ispezioni e verifiche effettuate nei locali dei contribuenti. Innanzitutto, questi devono avvenire solo a seguito di concrete esigenze d’indagine in capo all’Amministrazione Finanziaria e nel normale orario di lavoro, procurando il minor impedimento possibile al contribuente. Le verifiche possono durare al massimo 30 giorni (60 in casi particolari!).
Il soggetto sottoposto a verifica deve essere messo a conoscenza dei suoi diritti ed obblighi ed ha la facoltà di usufruire di un professionista per la propria difesa.
Tutte le dichiarazioni devono essere fatte in processo verbale e, aspetto imprescindibile, ogni verifica deve essere motivata. Il contribuente, infatti, ogni volta che ritenga siano state commesse delle irregolarità a suo discapito, può adire il Garante del contribuente (art.13), il quale verificherà la correttezza della verifica e l’eventuale violazione dei diritti del contribuente che lo ha adito.
Nel rispetto del principio di collaborazione e cooperazione tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria, il VII comma prevede che dalla fine dell’accertamento all’emanazione dell’atto impositivo, devono trascorrere almeno 60 giorni, così da permettere al contribuente di apporre una difesa. Se ciò non avviene, il contribuente può far ricorso alla Commissione Tributaria per chiedere l’annullamento dell’atto. Il problema di questa norma è che non contiene una sanzione esplicita in caso di sua violazione e quindi non può essere dichiarata la nullità dell’atto. Si tratta, infatti, di una norma di carattere puramente programmatico, senza una vera efficacia cogente, la quale permette all’Amministrazione di giocare su questi termini e violare sistematicamente il principio di collaborazione con i contribuenti, tenendo come obbiettivo primario il gettito in entrata.
In ogni caso, però, il contribuente può rivolgersi al Giudice Tributario e, se ci sono i presupposti, l’Amministrazione può ritirare l’atto (Autotutela).
L’unico caso in cui il termine dato dal VII comma può non essere rispettato è quello in cui sussistano casi di motivata urgenza, i quali però non possono essere rappresentati dalle scadenze annuali che l’Amministrazione deve rispettare per portare a casa il gettito programmato ad inizio periodo (cosa che, invece, avviene sistematicamente a fine anno!)
L’art.33 del TUIR richiama quanto dettato dall’art. 52 del DPR 633/1972 (IVA) in materia di accessi, ispezioni e verifiche. Questi possono avvenire presso:
- Il luogo di lavoro del contribuente: è necessaria l’autorizzazione del capo dell’ufficio accertatore, ossia dell’Agenzia delle entrate;
- Il luogo di lavoro ma anche ad uso abitativo del contribuente: è necessaria l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziale (Procuratore) concessa all’Amministrazione Finanziaria;
- Il domicilio del contribuente: è necessaria l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziale (Procuratore) concessa all’Amministrazione Finanziaria e la presenza di gravi indizi di violazione di norme tributarie;
- (Le perquisizioni personali possono avvenire solo con l’Autorizzazione del Procuratore)
Quando il procuratore concede l’autorizzazione all’Amministrazione Finanziaria, dovrebbe valutare le motivazioni e quindi la legittimità dell’atto. Queste motivazioni, però, non sono esplicite e quindi nella maggior parte dei casi l’autorizzazione viene concessa in automatico, venendo meno, così, la necessaria tutela del contribuente dinanzi al potere dell’Amministrazione Finanziaria. In particolare,il contribuente può solo impugnare gli atti finali di accertamento, ma non gli atti di richiesta e concessione dell’autorizzazione, e questa impugnazione può avvenire solo dinanzi al Giudice Ordinario per lesione di un diritto costituzionale.
Uno stratagemma utilizzato per ritardare l’accertamento è quello di opporre il “segreto professionale” che impedisce o limita i poteri di indagine dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti di determinati soggetti (Commercialisti, Notai, Avvocati, ecc.).
Esiste un dibattito irrisolto circa l’utilizzabilità delle prove ottenute a seguito di un’indagine irregolare. Secondo la tesi dell’ufficio, queste prove sono utilizzabili in quanto la legge non prevede espressamente il contrario. Secondo una parte della Cassazione, invece, in alcuni casi queste prove non possono essere utilizzate.
L’accertamento può essere:
° Analitico Contabile, basato sulle risultanze contabili del soggetto. E’ il tipo di accertamento utilizzato di norma ed è regolato dall’art. 54, comma II del DPR 633/1972 in materia di IVA, e dall’art. 39, comma I del DPR 600/1973. Si basa sulla rettifica di uno o più componenti del reddito.
° Analitico Induttivo, basato sulle risultanze contabili del soggetto e su alcune presunzioni legali. Può essere utilizzato solo in casi particolari previsti dalla legge ed è regolato dall’art. 39 del DPR 600/1973. Si parte dalla contabilità e nel caso sorgano delle irregolarità possono essere utilizzate delle presunzioni, le quali devono essere gravi, precise e concordanti.
° Induttivo, o extra-contabile, basato solamente su delle presunzioni legali. Anche questo può essere utilizzato solo in casi particolari ed è regolato dall’art. 39, comma II del DPR 600/1973 (art. 55 del DPR 633/1972 i materia di IVA, molto simile a quello in materia di imposte sui redditi!). Nel caso sussistano delle irregolarità gravi nella contabilità, viene rideterminato il reddito basandosi su delle presunzioni che in questo caso non devono necessariamente essere gravi, precise e concordanti. In questo caso, l’onere della prova si sposta totalmente a carico del contribuente.
L’orientamento del legislatore prevede che questo tipo di accertamento sia utilizzato solo in casi particolari e previsti dalla legge, e comunque il suo utilizzo deve essere limitato per garantire parità di diritti, possibilità di difesa e maggior tutela al contribuente.
Inoltre, dovrebbe valere anche il principio dell’autonomia dei singoli periodi d’imposta, secondo il quale l’accertamento induttivo deve essere limitato all’anno i cui sono sorti presupposti per la sua applicazione, ma non per gli anni successivi.
I casi previsti dalla legge per l’applicazione dell’accertamento induttivo sono:
* Nella Dichiarazione manca l’indicazione del reddito d’impresa;
* Mancata esibizione o occultamento di scritture contabili obbligatorie che risulta dal verbale d’ispezione;
* Gravità delle omissioni, falsità o irregolarità, numerosità e ripetitività delle stesse, tale che si rendano inattendibili le scritture contabili, ossia che si evidenzino delle gravi discrasie.
L’art. 12 tratta gli accertamenti fiscali, ed in particolare al I comma si fa riferimento ad alcuni aspetti fondamentali degli accesi, ispezioni e verifiche effettuate nei locali dei contribuenti. Innanzitutto, questi devono avvenire solo a seguito di concrete esigenze d’indagine in capo all’Amministrazione Finanziaria e nel normale orario di lavoro, procurando il minor impedimento possibile al contribuente. Le verifiche possono durare al massimo 30 giorni (60 in casi particolari!).
Il soggetto sottoposto a verifica deve essere messo a conoscenza dei suoi diritti ed obblighi ed ha la facoltà di usufruire di un professionista per la propria difesa.
Tutte le dichiarazioni devono essere fatte in processo verbale e, aspetto imprescindibile, ogni verifica deve essere motivata. Il contribuente, infatti, ogni volta che ritenga siano state commesse delle irregolarità a suo discapito, può adire il Garante del contribuente (art.13), il quale verificherà la correttezza della verifica e l’eventuale violazione dei diritti del contribuente che lo ha adito.
Nel rispetto del principio di collaborazione e cooperazione tra contribuente ed Amministrazione Finanziaria, il VII comma prevede che dalla fine dell’accertamento all’emanazione dell’atto impositivo, devono trascorrere almeno 60 giorni, così da permettere al contribuente di apporre una difesa. Se ciò non avviene, il contribuente può far ricorso alla Commissione Tributaria per chiedere l’annullamento dell’atto. Il problema di questa norma è che non contiene una sanzione esplicita in caso di sua violazione e quindi non può essere dichiarata la nullità dell’atto. Si tratta, infatti, di una norma di carattere puramente programmatico, senza una vera efficacia cogente, la quale permette all’Amministrazione di giocare su questi termini e violare sistematicamente il principio di collaborazione con i contribuenti, tenendo come obbiettivo primario il gettito in entrata.
In ogni caso, però, il contribuente può rivolgersi al Giudice Tributario e, se ci sono i presupposti, l’Amministrazione può ritirare l’atto (Autotutela).
L’unico caso in cui il termine dato dal VII comma può non essere rispettato è quello in cui sussistano casi di motivata urgenza, i quali però non possono essere rappresentati dalle scadenze annuali che l’Amministrazione deve rispettare per portare a casa il gettito programmato ad inizio periodo (cosa che, invece, avviene sistematicamente a fine anno!)
L’art.33 del TUIR richiama quanto dettato dall’art. 52 del DPR 633/1972 (IVA) in materia di accessi, ispezioni e verifiche. Questi possono avvenire presso:
- Il luogo di lavoro del contribuente: è necessaria l’autorizzazione del capo dell’ufficio accertatore, ossia dell’Agenzia delle entrate;
- Il luogo di lavoro ma anche ad uso abitativo del contribuente: è necessaria l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziale (Procuratore) concessa all’Amministrazione Finanziaria;
- Il domicilio del contribuente: è necessaria l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziale (Procuratore) concessa all’Amministrazione Finanziaria e la presenza di gravi indizi di violazione di norme tributarie;
- (Le perquisizioni personali possono avvenire solo con l’Autorizzazione del Procuratore)
Quando il procuratore concede l’autorizzazione all’Amministrazione Finanziaria, dovrebbe valutare le motivazioni e quindi la legittimità dell’atto. Queste motivazioni, però, non sono esplicite e quindi nella maggior parte dei casi l’autorizzazione viene concessa in automatico, venendo meno, così, la necessaria tutela del contribuente dinanzi al potere dell’Amministrazione Finanziaria. In particolare,il contribuente può solo impugnare gli atti finali di accertamento, ma non gli atti di richiesta e concessione dell’autorizzazione, e questa impugnazione può avvenire solo dinanzi al Giudice Ordinario per lesione di un diritto costituzionale.
Uno stratagemma utilizzato per ritardare l’accertamento è quello di opporre il “segreto professionale” che impedisce o limita i poteri di indagine dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti di determinati soggetti (Commercialisti, Notai, Avvocati, ecc.).
Esiste un dibattito irrisolto circa l’utilizzabilità delle prove ottenute a seguito di un’indagine irregolare. Secondo la tesi dell’ufficio, queste prove sono utilizzabili in quanto la legge non prevede espressamente il contrario. Secondo una parte della Cassazione, invece, in alcuni casi queste prove non possono essere utilizzate.
L’accertamento può essere:
° Analitico Contabile, basato sulle risultanze contabili del soggetto. E’ il tipo di accertamento utilizzato di norma ed è regolato dall’art. 54, comma II del DPR 633/1972 in materia di IVA, e dall’art. 39, comma I del DPR 600/1973. Si basa sulla rettifica di uno o più componenti del reddito.
° Analitico Induttivo, basato sulle risultanze contabili del soggetto e su alcune presunzioni legali. Può essere utilizzato solo in casi particolari previsti dalla legge ed è regolato dall’art. 39 del DPR 600/1973. Si parte dalla contabilità e nel caso sorgano delle irregolarità possono essere utilizzate delle presunzioni, le quali devono essere gravi, precise e concordanti.
° Induttivo, o extra-contabile, basato solamente su delle presunzioni legali. Anche questo può essere utilizzato solo in casi particolari ed è regolato dall’art. 39, comma II del DPR 600/1973 (art. 55 del DPR 633/1972 i materia di IVA, molto simile a quello in materia di imposte sui redditi!). Nel caso sussistano delle irregolarità gravi nella contabilità, viene rideterminato il reddito basandosi su delle presunzioni che in questo caso non devono necessariamente essere gravi, precise e concordanti. In questo caso, l’onere della prova si sposta totalmente a carico del contribuente.
L’orientamento del legislatore prevede che questo tipo di accertamento sia utilizzato solo in casi particolari e previsti dalla legge, e comunque il suo utilizzo deve essere limitato per garantire parità di diritti, possibilità di difesa e maggior tutela al contribuente.
Inoltre, dovrebbe valere anche il principio dell’autonomia dei singoli periodi d’imposta, secondo il quale l’accertamento induttivo deve essere limitato all’anno i cui sono sorti presupposti per la sua applicazione, ma non per gli anni successivi.
I casi previsti dalla legge per l’applicazione dell’accertamento induttivo sono:
* Nella Dichiarazione manca l’indicazione del reddito d’impresa;
* Mancata esibizione o occultamento di scritture contabili obbligatorie che risulta dal verbale d’ispezione;
* Gravità delle omissioni, falsità o irregolarità, numerosità e ripetitività delle stesse, tale che si rendano inattendibili le scritture contabili, ossia che si evidenzino delle gravi discrasie.
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Michele Fanelli
[Visita la sua tesi: "Le agevolazioni fiscali per l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili in Italia."]
- Università: Università degli Studi della Tuscia
- Facoltà: Economia
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