Oltre il distretto
Si parla sempre più di filiera invece che di
distretto. È molto importante che le imprese facciano parte della
filiera e che abbiano delle relazioni con le altre imprese. Uno dei
limiti dei distretti che, con questa crisi, li ha portati al declino, è
la specializzazione in una fase della filiera produttiva.
Quando
questa fase diviene troppo specializzata, la dipendenza delle imprese
che lavorano solo in questa fase diviene totale, poiché i loro clienti,
cioè le imprese focalizzate che hanno necessità di quel componente,
hanno molto potere contrattuale che consente loro di trattenere una
parte rilevante del valore creato.
L'analisi della filiera è molto importante perché:
– permette di chiarire il ruolo degli attori posti a monte e a valle della medesima filiera;
–
consente di identificare il nucleo di attività che nella catena del
valore conferisce il contributo più rilevante che permette a chi la
controlla di trattenere i maggiori profitti.
Un'altra debolezza dei
distretti è data dal fatto che le imprese specializzate in una
determinata fase tendono a stabilirsi nel medesimo territorio; questa è
una debolezza poiché se un settore va in crisi, entra in crisi anche il
distretto e se non vi è differenziazione, non vi è via di fuga per
queste imprese. Se, invece, venissero create delle aggregazioni tra
imprese lungo tutta la filiera, sarebbe un modo per uscire dalla
dipendenza della filiera nei confronti dei loro clienti.
Le
filiere di oggi non sono più concentrate tutte nello stesso territorio;
anzi, evadono anche dai confini statali. Le imprese per crescere hanno
bisogno di estendere la loro influenza sulla filiera e magari anche di
spostarsi dai loro segmenti a quelli più ricchi; spostandosi per
affermare quest'influenza arriviamo a parlare di multilocalizzazione
produttiva; in questo caso, le imprese che devono decidere dove
stabilirsi, non lo fanno solo in termini di costo del lavoro ma anche
per i costi e/o benefici che derivano dalle economie di prossimità. Per
le imprese, oggi, sono molto importanti la flessibilità e la rapidità
con la quale si muovono lungo la filiera e in che modo “governano” i
nodi strategici, cioè il brand e la distribuzione. I francesi, in questo
caso, sono stati molto bravi; sono riusciti a valorizzare qualcosa di
italiano, come Fendi, acquistato da LVMH, e a farlo crescere a livello
mondiale. Ad esempio, Chanel, nel 2013 ha sfiorato i 5,5 mld di ricavi,
con un utile netto di 800 milioni. Gli imprenditori italiani hanno
bisogno di essere stimolati ed incoraggiati. Le imprese italiane quindi
dovranno:
– rivolgersi sempre più ai mercati esteri poiché sono
quelli i mercati che in futuro saranno fonte di redditività e che
continueranno a crescere;
– adeguare le proprie dimensioni di impresa al fine di essere più competitive a livello globale;
– differenziare bene i prodotti invece che competere sui prezzi;
– controllare la distribuzione o in modo diretto o attraverso delle alleanze.
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