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L'evoluzione dell'alpicoltura in Valle Orco e Soana dal 1958 al 2005 - Aspetti vegetazionali, strutturali e zootecnici

A partire dal secondo dopoguerra si è assistito in tutti i comuni montani piemontesi ad una notevole diminuzione dell’estensione delle superfici prato - pascolive (compresi gli incolti produttivi) che da 532.490 ha nel 1954, sono passate a 213.381 ha nel 1980 (riduzione pari al 60% circa); analoghe evoluzioni sono state registrate per quanto riguarda il patrimonio zootecnico, che ammontava a 147.790 bovini, 60.521 ovini e 39.775 caprini nel 1956, mentre nel 1980 ammontava a 67.947 bovini, 62.506 ovini e 12.466 caprini, con una riduzione pari al 54% per quanto riguarda i bovini, al 69% per i caprini ed un esiguo aumento pari al 3% circa per gli ovini. Tale decrescita è proseguita sino ad oggi, parzialmente smorzata solo negli ultimi anni, in cui, grazie ad un nuovo impulso giovanile, frutto del rinnovato interesse da parte della dirigenza politica a livello europeo per la sostenibilità agro – ambientale, sono nate nuove aziende agricole e pastorali che mirano ad offrire prodotti di elevato valore nel rispetto delle regole per l’agricoltura biologica o integrata.
Di questo ampio panorama di attività economiche zootecniche che ruota attorno alle risorse prato pascolive di montagna e di alpeggio, oggi sono rimaste poche testimonianze, il tutto travolto dall’esodo umano che ha ampiamente superato il limite fisiologico, dovuto all’estrema colonizzazione di zone marginali e poco ospitali della montagna seguente l’espansione demografica del XVIII e XVIV secolo, per assumere gli aspetti patologici di un male a lungo trascurato. Si rischia quindi di perdere il legame tra uomo e territorio, che per millenni ha consentito una intima evoluzione tra attività antropiche e risorse naturali, sotto l’egida dell’equilibrio tra prelievo e restituzione. Ne sono emblema proprio i pascoli, che costituiscono non solo un patrimonio ecologico – foraggero per tutto il territorio montano, ma recano in sé le tracce di ancestrali cicli di utilizzazione, conservano nei toponimi che li identificano una preziosa fonte storica che colma le lacune della tradizione orale e consente, unitamente al patrimonio architettonico superstite, di ricostruire le vicende della colonizzazione dei territori montani da parte dell’uomo.
Sulla base di queste considerazioni, trova fondamento la realizzazione di uno studio integrato come quello oggetto della presente tesi di laurea, volta ad analizzare la risorsa pascoliva montana mediante l’esame del suo elemento fondante, la vegetazione pastorale, ricostruendo, tramite l’indagine dei fattori che ruotano attorno a questa risorsa, l’evoluzione dell’alpicoltura nel territorio delle Valli Orco e Soana negli ultimi cinquant’anni. L’obiettivo di tali ricerche è quello di porre a disposizione degli amministratori locali e non, uno strumento utile per la gestione e pianificazione di interventi di riqualificazione del territorio montano indagato, con la pretesa che funga da monito e serva a spronare l’iniziativa degli abitanti locali, affinché, sotto la supervisone dei tecnici di settore, siano gli artefici stessi della rinascita di un’economia montana sostenibile, che possa creare benessere in loco portando a soluzione molti problemi oggi dibattuti, parecchi dei quali, in definitiva trovano nella montagna l’unica e vera causa iniziale.

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TESI DI LAUREA: L’evoluzione dell’alpicoltura in Valle Orco e Soana dal 1958 al 2005. Aspetti vegetazionali, strutturali e zootecnici Candidato Relatore Guido Teppa Prof. Andrea Cavallero RIASSUNTO: A partire dal secondo dopoguerra si è assistito in tutti i comuni montani piemontesi ad una notevole diminuzione dell’estensione delle superfici prato - pascolive (compresi gli incolti produttivi) che da 532.490 ha nel 1954, sono passate a 213.381 ha nel 1980 (riduzione pari al 60% circa); analoghe evoluzioni sono state registrate per quanto riguarda il patrimonio zootecnico, che ammontava a 147.790 bovini, 60.521 ovini e 39.775 caprini nel 1956, mentre nel 1980 ammontava a 67.947 bovini, 62.506 ovini e 12.466 caprini, con una riduzione pari al 54% per quanto riguarda i bovini, al 69% per i caprini ed un esiguo aumento pari al 3% circa per gli ovini. Tale decrescita è proseguita sino ad oggi, parzialmente smorzata solo negli ultimi anni, in cui, grazie ad un nuovo impulso giovanile, frutto del rinnovato interesse da parte della dirigenza politica a livello europeo per la sostenibilità agro – ambientale, sono nate nuove aziende agricole e pastorali che mirano ad offrire prodotti di elevato valore nel rispetto delle regole per l’agricoltura biologica o integrata. Di questo ampio panorama di attività economiche zootecniche che ruota attorno alle risorse prato pascolive di montagna e di alpeggio, oggi sono rimaste poche testimonianze, il tutto travolto dall’esodo umano che ha ampiamente superato il limite fisiologico, dovuto all’estrema colonizzazione di zone marginali e poco ospitali della montagna seguente l’espansione demografica del XVIII e XVIV secolo, per assumere gli aspetti patologici di un male a lungo trascurato. Si rischia quindi di perdere il legame tra uomo e territorio, che per millenni ha consentito una intima evoluzione tra attività antropiche e risorse naturali, sotto l’egida dell’equilibrio tra prelievo e restituzione. Ne sono emblema proprio i pascoli, che costituiscono non solo un patrimonio ecologico – foraggero per tutto il territorio montano, ma recano in sé le tracce di ancestrali cicli di utilizzazione, conservano nei toponimi che li identificano una preziosa fonte storica che colma le lacune della tradizione orale e consente, unitamente al patrimonio architettonico superstite, di ricostruire le vicende della colonizzazione dei territori montani da parte dell’uomo. La conoscenza e l’interesse per le risorse pascolive d’alpeggio trovano oggi supporto in una crescente cultura per le produzioni legate al territorio, elemento chiave per la conservazione e la sostenibilità della zootecnia di montagna, ed è proprio l’intento di salvaguardare il patrimonio economico – culturale dell’alpe 2 che ha portato alla stesura della presente tesi di laurea organizzata mediante un dettagliato studio ecologico - vegetazionale delle superfici pascolive delle Valli Orco e Soana, supportato da una ricerca sulla variazione del patrimonio zootecnico ed infrastrutturale dal 1958 sino ad oggi, onde evidenziare le trasformazioni avvenute e prevederne le linee evolutive. L’analisi vegetazionale è stata eseguita mediante l’impiego del “metodo quantitativo lineare o fitopastorale di Daget e Poissonet” attraverso cui sono stati condotti 211 rilievi, i cui dati sono stati classificati grazie ad analisi statistiche (Cluster analysis) che hanno permesso di individuare le formazioni pastorali (tipi ed ecofacies) attualmente presenti nelle Valli Orco e Soana. L’utilizzo dei Sistemi Informativi Territoriali abbinati alla georeferenziazione, mediante GPS, di ciascun rilievo ha permesso di determinare le superfici delle varie formazioni pastorali (tipi vegetazionali) attualmente presenti e di desumere (in base allo studio della composizione floristica dei rilevi appartenenti ai tipi) l’entità superficiale dei tipi pastorali presenti cinquant’anni fa, in funzione anche delle condizioni stazionali (evidenziate mediante caratterizzazione ecologica indiretta basata sull’applicazione degli indici ecologici di Landolt alle specie che compongono i rilievi), e di giacitura. Per ogni tipo vegetazionale è stato calcolato il Valore Pastorale medio, attraverso cui si può risalire al carico animale mantenibile espresso in Giorni di Pascolamento totali. Attraverso il confronto tra carico mantenibile ed attuale (calcolato in base ai dati dei capi attualmente monticati, forniti dalla Comunità Montana Valli Orco e Soana) è stato possibile determinare l’entità del sottoutilizzo a cui sono attualmente soggette le superfici pascolive in nelle Valli oggetto di studio. 2 per “alpe” si intende proprio il significato del termine come ci giunge dal gallico “alpes”, quando negli scritti del grammatico Servius (fine IV secolo dopo Cristo) si spiega come i Galli intendessero indicare con tale appellativo sia le “alte montagne” che “la zona dei pascoli per eccellenza”, comprendendo tutto il patrimonio culturale (dalle infrastrutture alle tecniche di caseificazione, dalle pratiche gestionali al patrimonio zootecnico allevato e selezionato in modo adeguato alle diverse caratteristiche ambientali) che ruota attorno a tale risorsa. - Informazioni tratte dal n° 1 della rivista “L’Alpe” – Priuli e Verlucca Editori

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Parole chiave

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alpicoltura
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attività antropiche
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carico mantenibile
censimento
demografia
ecologia
economia montana
escursionismo
facies pastorali
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