L'Italia, il Mediterraneo e il Canale di Suez. L'idrovia, il Risorgimento italiano e gli equilibri internazionali 1830-1882
Napoleone sosteneva che «La politique d’Etat est dans sa gèografie». Non si sbagliava. Lo confermano, una volta di più, i diversi ruoli dell’Italia nel great game mediterraneo del XIX secolo. Già nella fase pre-unitaria il sogno di Suez accese dibattiti e interessi nei diversi Stati della Penisola e alimentò le speranze di grandi e minori protagonisti risorgimentali in una rinnovata vocazione marittima nazionale. Fu però il Piemonte, nonostante la sua tradizione continentale, il laboratorio dei “canalisti” italiani. A Torino, con l’appoggio discreto di Cavour, si formò un gruppo d’entusiasti sostenitori dell’impresa — guidati dal ministro del Lavori Pubblici Pietro Paleocapa e dal conte Luigi Torelli — che inserirono l’idea del Canale in una prospettiva patriottica e nazionale. Il governo subalpino promosse poi l’ampliamento del porto di Genova e le prime ricognizioni ufficiose nel Mar Rosso e sostenne apertamente la presenza di Paleocapa nella commissione internazionale incaricata di scegliere il progetto definitivo.
In quella sede il rappresentante sardo-piemontese, ma bergamasco di nascita ed esule politico dal 1849, lavorò in piena e felice sintonia con il trentino Luigi Negrelli, alto funzionario asburgico e vero “padre” del Canale. Purtroppo nel tempo il fondamentale apporto all’opera dei due scienziati — italiani, seppur divisi da contrastanti fedeltà politiche e istituzionali — è stato quasi dimenticato.
La questione di Suez ebbe a sua volta riflessi importanti sul processo risorgimentale italiano. Tra i motivi che spinsero, tra il 1859 e 1861, la Gran Bretagna ad appoggiare il non molto amato governo cavouriano vi fu il timore di una satellizzazione francese del fragile regno sabaudo e di una conseguente alterazione dei rapporti di forza mediterranei.
Da qui gli incoraggiamenti di Londra, sempre in una logica anti francese, alla spedizione garibaldina nelle Due Sicilie, l’immediato riconoscimento del regno d’Italia e il parziale sostegno economico al giovane Stato. Un legame forte e ineguale che però non si ridusse in un supino allineamento italiano ai dettami britannici, men che meno su Suez. Malgrado gli enormi problemi conseguenti all’unificazione, i governi post-cavouriani confermarono l’interesse dell’Italia per la realizzazione dell’impresa, rivendicando la presenza di ingegneri italiani (il torinese Edoardo Gioja, tra tutti) nei ruoli apicali e facilitando il reclutamento di mano d’opera qualificata per i cantieri del Canale.
Sfortunatamente — malgrado lo sforzo di Luigi Torelli e Cesare Correnti, al tempo ministri, e dei primi “africanisti” raccolti nelle Società geografiche — poco si fece per attrezzare adeguatamente il sistema-paese in previsione dell’inaugurazione, il 17 novembre 1869, dell’idrovia. L’indomani, a fronte delle forse eccessive speranze riposte dai “canalisti”, l’Italia si scoprì ancora arretrata e disorganizzata, quasi del tutto priva di una marina mercantile moderna, con porti e collegamenti ferroviari disconnessi, insufficienti o in via di realizzazione. Di questa terribile debolezza approfittarono fruttuosamente i concorrenti stranieri.
Nei decenni successivi, i vari governi della Sinistra storica e poi quelli di Giolitti, tentarono di colmare i tanti ritardi strutturali con provvedimenti importanti, ma non sempre efficaci e tanto meno risolutivi, oppure con contradditorie politiche mediterranee e proiezioni espansionistiche in mar Rosso.
Ma, al di là delle illusioni dei ceti dirigenti, l’Italia era e rimaneva una nazione debole, “la minore delle potenze maggiori”. Anche nel Mediterraneo. La vicenda di Suez lo conferma una volta di più. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, nonostante una significativa crescita economica, la stipulazione di alleanze (ufficiali o ufficiose) con Berlino, Vienna e Londra, l’espansionismo nel Corno d’Africa e la presenza di una forte e qualificata comunità italiana ad Alessandria e nella zona del Canale, Roma non riuscì mai ad esercitare un peso politico significativo e ad ottenere una rappresentanza negli organi direttivi della Compagnie .
Malvolentieri ma obbligatoriamente, l’Italia dovette rassegnarsi ad un ruolo secondario nei ricchi traffici verso l’Oriente e a pagare, senza alcun sconto, ogni passaggio per l’Africa italiana. Il Canale, sino al secondo dopoguerra, rimase per lo più motivo di rumorose rivendicazioni “antiplutocratiche” verso l’occhiuto controllo albionico ed oggetto di costanti polemiche per gli alti costi di pedaggio imposti alle nostre navi dagli esosi gestori anglo-francesi. Nulla di più.
In sintesi, malgrado l’impegno dei “canalisti”, il sacrificio delle migliaia di tecnici ed operai italiani che lavorarono sull’Istmo e gli investimenti (tardivi) sul sistema infrastrutturale, il tanto atteso collegamento tra i due mari si rivelò una “grande occasione” perduta e sprecata. L’ennesima.
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Valle |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Univeesità degli Studi di Torino |
Facoltà: | Storia |
Corso: | Scienze storiche |
Relatore: | Silvano Montaldo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 103 |
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