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Nomadismo: spazi, indentità e culture

La storia archetipica del nostro inconscio collettivo, non è cronologicamente sedentaria né storicamente stanziale, il nomadismo si sviluppa con l'avanzare dell'uomo nel mondo, le sue origini appartengono ad esigenze fisiologiche come l'andare per sopravvivere, l'essere nomade si riferisce al nomadismo di caccia e raccolta, al pastoralismo, ad una condizione di dislocazione regolare, ripetuta e frequente del luogo di residenza, della famiglia e della comunità che ha messo e mette l'individuo in una condizione di cambiamento adattivo al nonadattamento abitudinario, condizione che implica il non costruire le radici della propria esistenza in un posto, ma il ramificarsi di una stabilità interiore che trae il suo equilibrio da se stessa, il costruire un tetto e non una casa, il sedimentarsi di una identità spaziotemporale fissa.
Il nomadismo originario, sia etimologicamente che fattualmente, non è stato e non è un nomadismo – come le convinzioni di massa, le conoscenze superficiali, le etichette riassuntive, ingabbianti e razziali vogliono definire – un incedere smarrito in luoghi sconosciuti, o un vagabondare incerto senza orizzonti nel tempo e nello spazio, ma è un perpetuo andare, tornare e girare, in lungo e in largo, in terre conosciute, sperimentate, familiari, desertiche o fertili che siano, ma comunque terre che per i cacciatori-raccoglitori e per i pastori, siano vivibili e accessibili in quel determinato periodo, con quelle determinate condizioni atmosferiche, per potere adoperare le proprie attività, come ad esempio ci insegnano i Baluch del Sarhad, i Komachi di Kerman, i Basseri del Fars e i Turkmeni Yomut del Gorgon, popolazioni nomadiche di pastori dell'Iran.
Gli accenti errati che nel corso dei secoli sono stati addossati ai nomadi come profumi maleodoranti perché identificati come primitivi, selvaggi, come il residuo più arcaico di una umanità di scarto, liminale e animalesca, privati di ogni autonomia e diritto, relegati al gradino più basso della scala sociale e razziale, come è accaduto ai San del Kalahaari (popolazione nomadica del Botswana, Stato indipendente dell'Africa meridionale) descritti come il "Primo popolo" marcando così, con appellativi esotici e pensieri fantasiosi, l'ipocrisia nascosta dietro ogni tentativo diplomatico di affari umani e attivismi di inclusione dei colonizzatori bianchi che hanno calpestato le terre d'Africa, manipolando e confondendo la parola amico con l'accezione oscura del verbo interesse.
Questo elaborato, questa tesi, cercherà di descrivere non solo il significato etimologico della parola nomade narrando il suo excursus enciclopedicoda movimento a sedentarietà, ma esporrà anche il carattere di osservazione sociologica, la poliedricità della cultura antropologica, e l'identità psicologica di popolazioni e spazi travisati, dimenticati e ignorati con l'incedere della evoluta civiltà nel mondo.

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INTRODUZIONE La storia archetipica del nostro inconscio collettivo, non è cronologicamente sedentaria né storicamente stanziale, il nomadismo si sviluppa con l’avanzare dell’uomo nel mondo, le sue origini appartengono ad esigenze fisiologiche come l’andare per sopravvivere, l’essere nomade si riferisce al nomadismo di caccia e raccolta, al pastoralismo, ad una condizione di dislocazione regolare, ripetuta e frequente del luogo di residenza, della famiglia e della comunità che ha messo e mette l’individuo in una condizione di cambiamento adattivo al non- adattamento abitudinario, condizione che implica il non costruire le radici della propria esistenza in un posto, ma il ramificarsi di una stabilità interiore che trae il suo equilibrio da se stessa, il costruire un tetto e non una casa, il sedimentarsi di una identità spaziotemporale fissa. Il nomadismo originario, sia etimologicamente che fattualmente, non è stato e non è un nomadismo – come le convinzioni di massa, le conoscenze superficiali, le etichette riassuntive, ingabbianti e razziali vogliono definire – un incedere smarrito in luoghi sconosciuti, o un vagabondare incerto senza orizzonti nel tempo e nello spazio, ma è un perpetuo andare, tornare e girare, in lungo e in largo, in terre conosciute, sperimentate, familiari, desertiche o fertili che siano, ma comunque terre che per i cacciatori-raccoglitori e per i pastori, siano vivibili e accessibili in quel determinato periodo, con quelle determinate condizioni atmosferiche, per potere adoperare le proprie attività, come ad esempio ci insegnano i Baluch del Sarhad, i Komachi di Kerman, i Basseri del Fars e i Turkmeni Yomut del Gorgon, popolazioni nomadiche di pastori dell’Iran. Gli accenti errati che nel corso dei secoli sono stati addossati ai nomadi come profumi maleodoranti perché identificati come primitivi, selvaggi, come il residuo più arcaico di una umanità di scarto, liminale e animalesca, privati di ogni autonomia e diritto, relegati al gradino più basso della scala sociale e razziale, come è accaduto ai San del Kalahaari (popolazione nomadica del Botswana, Stato indipendente dell’Africa

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Caruso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia e Criminologia
  Relatore: Alfredo Agustoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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