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Il welfare state e il welfare aziendale in Italia: criticità e prospettive

Nonostante le espresse criticità, il welfare aziendale risulta essere sicuramente uno strumento molto utile che apporta molti benefici interni ed esterni alle imprese a patto, però, che non sostituisca né prescinda dalle politiche sociali. Il rischio è che il potenziamento del welfare integrativo, dettato dalla debolezza dello stato sociale e dagli sgravi fiscali concessi dallo Stato in suo favore, porti ad un ritorno al modello assicurativo bismarckiano e all'affermazione della categoria degli iper-garantiti. Gli effetti collaterali di un tale cambiamento, tuttavia, farebbero rimpiangere l'attuale modello universalistico senza il quale la società sarebbe permeata da forti differenze socio-economiche in cui solamente i cittadini lavoratori avrebbero un tenore tendenzialmente alto di vita, contrariamente al resto della popolazione che non usufruirebbe né dei servizi sociali
precedentemente garantiti dallo Stato, né delle prestazioni erogate dal welfare aziendale. È necessario, dunque, che lo stato sociale recuperi credibilità garantendo una protezione ai bisogni reali di tutti i cittadini e che favorisca le dinamiche di costruzione del welfare community.
Ciò si sostanzia, anzitutto, in un'azione statale volta all'eliminazione delle cinque caratteristiche ascoliane. A tal scopo l'Italia potrebbe adottare, su ispirazione della best practice del CESU francese, un sistema di voucher universale.
Questo garantisce la tutela ai lavoratori che erogano i suddetti servizi e alle famiglie che beneficiano delle prestazioni e permette allo Stato di aumentare l'occupazione e regolarizzare il lavoro informale, incrementando le entrate grazie alle imposte che ne derivano. Grazie ai molteplici servizi svolti a domicilio, il voucher universale permette anche di sollevare le famiglie dal ruolo di ammortizzatore sociale, favorendo una migliore conciliazione vita-lavoro soprattutto per le donne e costituendo un forte impulso allo smantellamento del familismo. Inoltre il suo sistema basato sull'erogazione di servizi e non di trasferimento monetario indebolisce il clientelismo e conseguentemente anche il particolarismo. Infine, solo creando un welfare community strutturato lo Stato può valorizzare gli attori e le risorse a disposizione evitandone sprechi. È necessario, quindi, ridisegnare nuovi modelli di governance che permettano alla molteplicità degli attori privati e pubblici coinvolti di implementare i processi di policymaking collaborando e condividendo risorse tra di loro. In un tale contesto di decentramento lo Stato, in qualità di garante del principio di sussidiarietà verticale, si configura come il legittimo regolatore e “supervisore” dei meccanismi relazionali dei vari attori del welfare community. Al decentramento si deve, però, accompagnare una federalizzazione fiscale, senza la quale, lo Stato risulta il “pagatore di ultima istanza” di una spesa che in gran parte regionale e locale favorisce l'esplosione di costi.

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1 Introduzione Le politiche sociali costituiscono il cuore pulsante del welfare state giacchè promuovono la cittadinanza sociale garantendo la protezione dei cittadini. Il welfare state, infatti, in quanto tale si pone l’obiettivo di diffondere il “benessere” come condizione di cui i singoli individui tutti possono beneficiare. La Repubblica Italiana si pone come garante dei «[…] diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]» (art. 2, Costituzione). Il welfare state, in osservanza ai principi costituzionali, tutela la dignità sociale. Per raggiungere i suddetti obiettivi lo Stato interagisce con altri attori quali il mercato, il terzo settore e la famiglia e opera tramite l’erogazione di molteplici politiche inerenti ad ambiti differenti della vita dei cittadini. Come si vedrà meglio nel testo, lo stato sociale è frutto di un’evoluzione durata diverse centinaia di anni e che ha preso forma in modo differente a seconda del contesto geografico di riferimento, ma che conosce il suo assetto “definitivo” intorno agli anni ’70 del secolo scorso, quando la crisi economica infligge duri colpi allo Stato che, in un clima di austerità, dà inizio ad una lunga ondata di riforme in senso restrittivo. Si ha, dunque, una situazione di stallo: lo Stato assistenziale non dispone di risorse da fornire alla cittadinanza, i mutamenti sociali imperversano modificando di fatto i bisogni ed i rischi della popolazione, la disoccupazione aumenta, la popolazione invecchia, le nascite diminuiscono, la globalizzazione rende vulnerabili i confini nazionali alle crisi economiche apportando cambiamenti strutturali agli Stati Nazione. Lo Stato sociale collassa. È, dunque, in questo contesto che nasce l’esigenza di un welfare rinnovato, che sappia rispondere ai bisogni reali dei cittadini. Si fa avanti il

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