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Il significato del consumo in un periodo di crisi. Una ricerca a Roma e Terni

La mia tesi di laurea è consistita in uno studio esplorativo teso ad indagare quale tipo di significato ha assunto il consumo in un periodo di crisi economica quale è quello attuale.
A fornirmi l’occasione per questa ricerca è stata la lettura del secondo rapporto annuale Kantar-Brandz sui principali brand mondiali, nel quale si metteva in luce come, anche durante un periodo recessivo come quello in corso, a causa del quale i consumi diminuiscono e i consumatori modificano le loro priorità, le aziende dal brand più consolidato sono quelle che reagiscono nel modo migliore non solo mantenendo, ma anzi rafforzando, la loro leadership sui mercati di riferimento. Perciò, nonostante la recente evoluzione dei mercati sembra mettere in discussione il concetto di marca e la tentazione di "tornare al prodotto" sia sempre più spesso espressa dai consumatori, i risultati delle grandi marche che investono da anni sulla loro identità ci dicono chiaramente che il contributo della brand equity alla loro capitalizzazione resta decisivo.
Inoltre, uno stereotipo ormai radicato vuole che, in un momento di crisi economica, il consumatore riveda il proprio modo di fare acquisti ridefinendolo sulla base di criteri razionali, che lo inducono a rinunciare all’acquisto di certi beni a fronte di una riduzione del reddito disponibile. Non possiamo non ammettere che la decurtazione del reddito abbia spinto una larga parte della popolazione a diminuire le proprie spese, ma questo non si è tradotto nella penalizzazione dei prodotti più costosi; nella caduta dei consumi voluttuari; nella scelta del discount a tutti i costi. Per questo marche e prodotti costosi, ma con una forte identità ed un buon rapporto qualità/prezzo, non hanno sofferto affatto o sono stati appena sfiorati dalla crisi. Penalizzati sono stati quei prodotti ingiustamente costosi o con scadenti performance e debole personalità.
Sulla base di queste osservazioni preliminari mi sono domandata come reagisce l'individuo alla crisi e come agisce i consumi. In altre parole cosa si celi dietro al successo delle marche in periodo di crisi, ossia che cosa orienti il consumatore nella sua decisione d’acquisto finale. Indubbiamente, in un periodo delicato e critico come questo, è inevitabile che i criteri razionali abbiano un ruolo fondamentale nel regolare il rapporto tra consumatore e mercato dal momento che, a fronte di una decurtazione del reddito, l’individuo si concentra sulla massimizzazione del beneficio derivante dalla sua spesa. Tuttavia quello che mi interessava capire era se la razionalità ha un carattere di esclusività o se ci sono anche altri fattori che influiscono sulla scelta del prodotto da comprare.
Dopo un’iniziale fase di desk research sono giunta ad isolare tre filoni teorici che avrebbero potuto aiutarmi a comprendere come sono declinati oggi dagli acquirenti i comportamenti di consumo. I primi due sono legati alla sua funzione comunicativa e riguardano l’uno il fatto che alla marca sono associate un’infinità di valenze simboliche che la rendono espressione di valori e ideali che anche il consumatore che le sceglie condivide; l’altro che la scelta della marca è legata alla capacità che essa ha di attestare l’appartenenza dell’acquirente a certi gruppi sociali, siano questi di riferimento o di appartenenza. Il terzo, che deriva dagli studi di marketing e che è legato al concetto coniato da Kevin Roberts di lovemark, vuole la marca scelta sulla base di sentimenti e sensazioni che legano il consumatore ad essa.
In definitiva quello che mi interessava indagare era: come il consumatore rivede il suo modo di fare acquisti in periodo di crisi, e quale di queste tre disposizioni (consumo derivante dalle valenze simboliche associate alla marca; consumo come capacità della marca di denotare l’appartenenza a certi gruppi sociali; consumo legato ai sentimenti che si provano per una marca) lo guida nel fare spesa. In più avrei voluto mettere in evidenza quali categorie di prodotto e quali marche sono soggette a ciascuna delle tre.
Per farlo ho in un primo momento condotto due focus group (uno a Roma e uno a Terni) che, inserititi in fase di indagine esplorativa, mi hanno consentito di raccogliere una base di conoscenze contestuali sulle quali, successivamente, ho approntato la parte empirica della ricerca. Questa è stata di tipo qualitativo e mi ha visto impegnata nella conduzione di una serie di interviste in profondità, sempre nelle città di Roma e Terni.

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Introduzione In base a una recente ricerca sulle strategie di marketing di 300 aziende italiane è emerso che, nonostante la recente evoluzione dei mercati sembra mettere oggi in discussione il concetto di marca e la tentazione di “tornare al prodotto” sia sempre più spesso esplicitata, i risultati delle grandi marche che investono da anni sulla loro identità ci dicono chiaramente che il contributo della brand equity alla loro capitalizzazione resta decisivo. A livello mondiale le tendenze sembrano essere simili, come si evince dal secondo rapporto annuale Kantar-Brandz sui principali brand mondiali. Nel rapporto Kantar-Brandz si conclude che, anche quando i consumi diminuiscono e i consumatori modificano le loro priorità a causa di una crisi recessiva come quella in atto, le aziende dal brand più consolidato sono quelle che reagiscono nel modo migliore e non solo mantengono, ma anzi rafforzano, la loro leadership sui mercati di riferimento. Uno stereotipo radicato vuole che, in tempo di crisi, il consumatore ridefinisca i suoi consumi sulla base di criteri razionali, rinunciando all’acquisto di beni a fronte di minor reddito disponibile. Non si può negare che la decurtazione del reddito abbia spinto una larga parte della popolazione a diminuire le proprie spese, ma questo non si è tradotto nella penalizzazione dei prodotti più costosi; nella caduta dei consumi voluttuari; nella scelta del discount a tutti i costi. Per questo marche e prodotti costosi, ma con una forte identità ed un buon rapporto qualità/prezzo, non hanno sofferto affatto o sono stati appena sfiorati dalla crisi. Penalizzati sono stati quei prodotti ingiustamente costosi o con scadenti performance e debole personalità. La crisi economica degli anni Novanta ha confermato ulteriormente che le priorità nell’allocazione del reddito sono condizionate storicamente e culturalmente, ma non sono affatto riconducibili ai criteri di razionalità economica tanto decantati dai cultori delle scienze che tradizionalmente hanno studiato il consumatore. “La gerarchia dei bisogni, fondata su questi criteri di razionalità, valida forse in tempi di assoluta scarsità, non trova più alcun riscontro e non è in grado di cogliere i nuovi bisogni di espressività e comunicazione.” (Fabris, 1995, p. 270). A partire da queste osservazioni iniziali ci si è chiesti cosa si celi dietro al successo delle marche in periodi di recessione economica come quello che il mondo occidentale sta vivendo a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Detto altrimenti, ci siamo domandati su quali basi i consumatori fanno le proprie scelte d’acquisto. Che cosa li spinge a scegliere una marca piuttosto che un’altra? La risposta a questo interrogativo, posto in riferimento all’arco temporale che va dal 2008 ad oggi, ci consente di indagare il significato che il consumo ha assunto in un periodo di crisi economica. 1

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Informazioni tesi

  Autore: Susanna Biancifiori
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Stefania Vergati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 352

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