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Il precariato in Italia: quali disuguaglianze e quale Welfare?

Da alcuni anni ormai e in particolare con l’introduzione nel 1997 del pacchetto Treu e successivamente nel 2003 con la legge 30 si parla di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Questa politica è stata introdotta in misura diversa e con diverse caratteristiche si può dire in tutti i paesi industrializzati occidentali.
In questa tesi cercheremo di illustrare il contesto entro cui si situa questa misura e attraverso quali strumenti è stata praticata. In particolare ci concentreremo sul caso italiano andando a verificare da quali caratteristiche è connaturato il mercato del lavoro italiano e come si è modificato cercando di ripercorrere parallelamente lo sviluppo economico mondiale nell’epoca della globalizzazione. In un’epoca di new economy e di organizzazione del lavoro a rete, l’Italia ha deregolamentato il mercato del lavoro introducendo normative che rendessero i contratti di lavoro più flessibili e più aderenti alle richieste del mercato così da rendersi modernamente più competitiva a livello internazionale.
Questa deregolamentazione del mercato producendo nuove forme di contratto di lavoro, diverse nelle tipologie di orario, di durata, di remunerazione nonché di diritti sociali e previdenziali ha comportato innanzitutto una differenza tra i “vecchi lavoratori” con contratti standard e i “nuovi lavoratori” con contratti atipici. Una differenza che è andata ad inficiare sulle prospettive di vita dei lavoratori i quali sono stati discriminati dal punto di vista oggettivo del contratto di lavoro con le sue nuove disposizioni e regole ed ha comportato un diffuso sentimento di insicurezza e precarietà relativo alle possibilità di non poter avere un posto fisso, di non essere economicamente indipendenti, di non sapere quale futuro aspettarsi e soprattutto di non essere in grado di programmarsi una vita stabile come quella, in linea generale, dei propri genitori. Molto spesso non avere un contratto stabile o non svolgere un lavoro abbastanza redditizio perché facente parte dei nuovi contratti di collaborazione, di formazione o di inserimento non dà la possibilità ai giovani lavoratori di crearsi una famiglia, avere figli o aprire un mutuo perché economicamente instabili. Oltre al discorso puramente economico i nuovi contratti atipici hanno diritti sociali diversi gli uni dagli altri e rispetto ai contratti standard ovvero a tempo indeterminato. Quindi anche pensare di avere figli o sposarsi avendo un contratto a termine o che non prevede il diritto alla maternità diventa maggiormente difficoltoso.
È così che il lavoro flessibile diventa lavoro precario ovvero una condizione dell’esistenza dei lavoratori i quali non possono più contare sul vecchio modello fordista del posto fisso, ma che vedono cambiare uno dopo l’altro i propri lavori, l’ubicazione e i tempi degli stessi con un riflesso negativo rispetto alla capacità di esprimere o realizzare una propria identità, integrarsi in un gruppo o in una comunità e stringere relazioni sociali importanti.
Una questione molto significativa che andremo ad analizzare è anche come questi lavori atipici per le loro caratteristiche e perché inseriti in un contesto macroeconomico di mercato del lavoro con determinate caratteristiche intrinseche, sviluppino o ricalchino disuguaglianze sociali producendo una segmentazione e un dualismo del mercato del lavoro. Per fare questo ci appoggeremo a dati Istat del 2004, 2006 e 2008 riproponendo, in alcuni casi, dati significativi sottoforma di grafici che tenteremo di commentare per verificare quali disuguaglianze si sono create con la deregolamentazione del mercato tentando di sostenere l’ipotesi secondo cui la deregolamentazione del mercato effettuata in Italia ha provocato nuovi rischi sociali che non sono stati presi debitamente in esame né correttamente analizzati prima di procedere con la riforma, ma soprattutto la creazione di nuove forme di lavoro atipico non è stata supportata da un adeguato sistema di welfare che ne riducesse i rischi.
Cercheremo infine di analizzare il sistema di welfare in Italia confrontandolo in particolare con quella che a livello europeo ed internazionale è la nazione che meglio sta interpretando e sostenendo i rischi causati dalla flessibilizzazione del mercato del lavoro: la Danimarca. Per il confronto con gli altri paesi ci limitiamo a rimandare ai dati Istat del 2008 relativi alle comparazioni internazionali in riferimento al mercato del lavoro e alle politiche di sicurezza sociale nonché ad alcune recenti ricerche su questi temi presentati in letteratura (Villa 2007, Reyneri 2005) nell’intento di capire a quale modello potersi ispirare per cogliere un possibile sviluppo, coerentemente con le proposte europeiste, del sistema di welfare italiano al fine di ridurre i nuovi rischi sociali cui sono sottoposti i lavoratori precari.

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2 Da alcuni anni ormai e in particolare con l’introduzione nel 1997 del pacchetto Treu e successivamente nel 2003 con la legge 30 si parla di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Questa politica è stata introdotta in misura diversa e con diverse caratteristiche si può dire in tutti i paesi industrializzati occidentali. In questa tesi cercheremo di illustrare il contesto entro cui si situa questa misura e attraverso quali strumenti è stata praticata. In particolare ci concentreremo sul caso italiano andando a verificare da quali caratteristiche è connaturato il mercato del lavoro italiano e come si è modificato cercando di ripercorrere parallelamente lo sviluppo economico mondiale nell’epoca della globalizzazione. In un’epoca di new economy e di organizzazione del lavoro a rete, l’Italia ha deregolamentato il mercato del lavoro introducendo normative che rendessero i contratti di lavoro più flessibili e più aderenti alle richieste del mercato così da rendersi modernamente più competitiva a livello internazionale. Questa deregolamentazione del mercato producendo nuove forme di contratto di lavoro, diverse nelle tipologie di orario, di durata, di remunerazione nonché di diritti sociali e previdenziali ha comportato innanzitutto una differenza tra i “vecchi lavoratori” con contratti standard e i “nuovi lavoratori” con contratti atipici. Una differenza che è andata ad inficiare sulle prospettive di vita dei lavoratori i quali sono stati discriminati dal punto di vista oggettivo del contratto di lavoro con le sue nuove disposizioni e regole ed ha comportato un diffuso sentimento di insicurezza e precarietà relativo alle possibilità di non poter avere un posto fisso, di non essere economicamente indipendenti, di non sapere quale futuro aspettarsi e soprattutto di non essere in grado di programmarsi una vita stabile come quella, in linea generale, dei propri genitori. Molto spesso non avere un contratto stabile o non svolgere un lavoro abbastanza redditizio perché facente parte dei nuovi contratti di collaborazione, di formazione o di inserimento non dà la possibilità ai giovani lavoratori di crearsi una famiglia, avere figli o aprire un mutuo perché economicamente instabili. Oltre al discorso puramente economico i nuovi Introduzione

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