Tra ingerenza e disimpegno: il ruolo dell'esercito nel processo di democratizzazione in Turchia
La storia di un paese riguarda l’insieme degli avvenimenti che hanno plasmato la sua struttura politica, economica e sociale.
Intraprendere uno studio sul ruolo dell’esercito, quindi, non può prescindere dall’analisi del contesto storico in cui questo opera, in quanto l’immagine proiettata sulla società è il frutto di un’intricata rete di fili sovrapposti, che vedono negli avvenimenti passati una chiave interpretativa imprescindibile per la comprensione del presente.
La Turchia, la cui storia sembra essere un libro dai continui colpi di scena, vede nell’intrusione diretta delle forze armate nella vita politica del paese una delle sue caratteristiche principali, particolarità che si presenta piuttosto problematica in vista di una sua potenziale adesione all’Unione Europea.
L’istituzione militare si è definita, fin dall’inizio del Tanzimat (ovvero la riorganizzazione dell’Impero Ottomano voluta dal sultano Mahmud II), come un’istituzione singolare: la sua professionalizzazione, che ha seguito le linee-guida suggerite dall’alleato prussiano, l’hanno resa competitiva con i più potenti eserciti europei, rendendo i militari dei baluardi della modernità.
Istruiti e coscienti del loro ruolo capitale nella società, i militari sono usciti dal campo di competenza proprio dell’esercito per farsi i promotori della formazione della coscienza nazionale della Turchia moderna.
Il culto ossessivo per la nazione, per la sua unità e laicità, è il cardine attorno al quale si è sviluppata la convinzione di essere i soli in grado di educare la popolazione, prevalentemente contadina, al rispetto degli ideali repubblicani, diventando il cuore pulsante del sistema politico turco.
La Turchia, che si vanta di essere il primo paese dell’area mediorientale ad aver adottato delle istituzioni democratiche (con Israele), deve fare i conti con un passato piuttosto controverso, che ha permesso ai militari di ricoprire incarichi che spetterebbero, piuttosto, ad un governo civile democraticamente eletto.
I privilegi ed il ruolo accordato all’esercito, infatti, permettono di definire le forze armate come una vera e propria classe sociale, il cui spirito corporativo, affiancato da un’immensa deferenza civile, si è sviluppato nel tempo fino ad arrivare alla conquista di privilegi garantiti dalla Costituzione.
L’esercito non ha mai esitato ad interferire nella vita politica turca ed il risultato dei suoi interventi ha avuto delle conseguenze piuttosto altalenanti: se, nel 1960, la stesura di una Costituzione liberale è stata il prodotto più significativo del suo intervento, non si può dire lo stesso del colpo di stato del 1971, fino ad arrivare alla sottoscrizione della Costituzione del 1982, che non cessa di essere emendata per diventare conforme ai “Criteri di Copenhagen” del 1993 e rendere la Turchia degna di far parte dell’Unione Europea.
Se, da un lato, è corretto definire la Turchia come una democrazia, è tuttavia legittimo chiedersi se il “governo del popolo” sia, in realtà, il “governo dei militari”.
Il loro interventismo minaccioso e incalzante suona quasi come un monito costante nei confronti della popolazione e del governo che questa ha eletto, come se in realtà la società non sia abbastanza matura da poter gestire autonomamente il proprio destino.
La mia riflessione, quindi, si articola attorno a tre campi principali, che sono il cuore dei tre capitoli che formano la struttura dell’elaborato.
Il primo capitolo cerca di evidenziare come il rapporto società-esercito sia plasmato totalmente in favore del secondo, che si è imposto come motore del cambiamento e della modernità, ruolo che, nei paesi occidentali, è stato l’obiettivo principale dei moti riformisti.
Il secondo capitolo, appunto, mette in evidenza come la salvaguardia dei privilegi sia giustificata in virtù della tutela che l’esercito impone alla società.
Il terzo ed ultimo capitolo, invece, pone uno sguardo sulle dinamiche politiche turche degli ultimi dieci anni: il paese ha subito delle radicali modifiche, soprattutto dal punto di vista ideologico, che vale l’apertura dei negoziati tra Turchia ed Unione Europea e l’accettazione, da parte dei militari, di un governo islamico.
Questi segnali lasciano presagire un nuovo futuro per la Turchia, paese ponte tra l’Oriente e l’Occidente e la cui posizione geopolitica lo rende tra i più attraenti alleati per fronteggiare la minaccia di Al Qaeda.
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Renda |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Benoit Challand |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 48 |
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