Le torture di Abu Ghraib nella prospettiva della antropologia della violenza
Il 29 aprile 2004, l’emittente televisiva degli Usa, la CBS, ha trasmesso, un servizio a proposito di torture attuate da soldati americani nei confronti di detenuti iracheni del carcere di Abu Ghraib in Iraq. L’elemento più scioccante era il fatto che gli atti di violenza fossero documentati da fotografie che gli stessi soldati avevano scattato e che costituivano una sorta di trofei o di passatempo che si scambiavano l’uno con l’altro all’interno del battaglione.Lo scandalo Abu Ghraib del quale era venuto a conoscenza per primo il giornalista S. Hersh, ha sconvolto l’opinione pubblica internazionale. A parte le giustificazioni del presidente Usa Gorge W. Bush e dei suoi collaboratori che attribuivano l’accaduto all’operato di “poche mele marce”, ciò che ha colpito maggiormente è il fatto che uno Stato democratico come gli Usa, che si erge a paladino dei valori democratici tanto da sentirsi in dovere di “esportarli al di fuori dei suoi confini”, attui simili violenze nei riguardi di esseri umani inermi. E proprio su questa riflessione che ho cominciato il mio lavoro di tesi. Ho proposto la tematica della tortura al Prof. Marta al fine di analizzarla dal punto di vista antropologico. Con il passare del tempo e l’accumularsi del materiale raccolto, le violenze attuate presso il carcere iracheno sono diventate il punto di partenza di una riflessione più ampia sugli elementi che caratterizzano la violenza contemporanea, che sta diventando un elemento strutturale della nostra epoca “globalizzata”. L’habitat ideale della violenza è rappresentato dalla guerra, il cui ricorso da parte degli Stati occidentali diventa ogni giorno più frequente. Questi, organizzandosi in coalizioni con a capo gli Usa, impongono all’estero i loro valori e il loro dominio. “Imposizione” resasi necessaria da quando la globalizzazione con i suoi flussi continui di persone ed immagini rende precario l’ordine internazionale esistente. La tesi si struttura in tre capitoli: nel primo vengono descritte in dettaglio le torture attuate presso il carcere di Abu Ghraib, analizzando anche il contesto in cui si sono inserite e che contrasta fortemente con la teoria delle “poche mele marce”. Segue un’analisi della tortura nel corso della storia e i casi di tortura perpetuati da un sistema di impunità fortemente radicato, dopo aver descritto quali sono gli strumenti internazionali che ne vietano l’uso e quelli che il nostro Paese ha ratificato. Il II cap. descrive le tendenze odierne dell’antropologia attinenti alla tematica della violenza. Descrizione che segue un breve excursus storico a proposito della nascita ed evoluzione dell’antropologia della violenza dove un ruolo di rilievo è stato ricoperto dai postcolonial studies. I vari orientamenti sono arricchiti dal pensiero di antropologi e studiosi di diverse discipline. Questi, analizzando le dinamiche della violenza contemporanea, espongono proprie tesi,sulle motivazioni scatenanti la stessa che sono strettamente legate al processo di globalizzazione. Il capitolo III analizza il contesto in cui viene praticata più frequentemente la violenza e che è rappresentato dalla guerra contemporanea, modus operandi preferito dagli Stati occidentali per imporre l’ordine mondiale da loro voluto e che utilizza come lasciapassare la motivazione umanitaria e l’esportazione della democrazia. La natura della guerra è profondamente cambiata già dopo la fine della guerra fredda, ma soprattutto dopo l’11 settembre 2001, giorno in cui ha avuto luogo l’attacco terroristico alle Twin Towers di New York, il suo ricorso è diventato ancora più frequente e più efferato. Questo perché viene combattuta contro un nuovo nemico, il “terrorismo”, che non ha connotazioni precise e, quindi, può nascondersi ovunque.Il nemico non viene riconosciuto come “essere umano”, costituisce una non-persona e per questo viene considerato ammissibile esercitare su di lui qualsiasi tipo di violenza. Egli viene rappresentato come l’“incarnazione del male”, sul quale vengono scaricate tutte le insicurezze prodotte dal processo di globalizzazione che corrode ogni giorno di più la solidità dello Stato-nazione. Il nemico rappresenta il “disordine” e non è solo il terrorista, ma anche il migrante che vive da anni nel nostro territorio e che offusca le velleità nazionalistiche dello Stato, suo ultimo desiderio prima di annaspare.La conseguenza di questa nuova situazione internazionale è la proliferazione di spazi dove i diritti vengono ridotti o non vengono più riconosciuti, dove si perde il “diritto ad avere diritti”.Nell’ ambito degli Stati democratici vengono attuate misure legislative antiterroristiche che ledono la privacy dei cittadini e che di fatto limitano le loro libertà. Proliferano i “campi”, zone dove gli individui vengono trattati come non-persone e subiscono ogni tipo di abuso, come accade nel carcere di Abu Ghraib, a Guantanamo e nei tanti altri spazi sparsi per il mondo dove la tortura viene considerata una pratica abituale.
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Informazioni tesi
Autore: | Rita Giordano |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2004-05 |
Università: | Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Internazionali e Diplomatiche |
Relatore: | Claudio Marta |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 218 |
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