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La tutela delle minoranze nel Diritto Internazionale, il caso dei Curdi di Turchia

Il fenomeno del c.d. revival etnico e della rinascita delle lingue e culture minoritarie, manifestatosi nell’Europa occidentale tra gli anni ’60 e ’70 e successivamente sviluppatosi con modalità e conseguenze non sempre uniformi nelle restanti aree del globo non sembra affatto essersi esaurito; esso, anzi, continua ad attrarre, non senza drammaticità, l’attenzione dei governi, degli studiosi e dell’opinione pubblica mondiale.
Essendo presenti, secondo alcune recenti stime, nei 184 stati indipendenti del mondo oltre 600 gruppi linguistici e 500 gruppi etnici, sono davvero pochi i Paesi di cui si può dire che i cittadini condividano la stessa lingua o appartengano allo stesso gruppo etnonazionale. Inoltre, le profonde trasformazioni avvenute nella ex Unione Sovietica e nei Paesi dell’Est (specialmente nell’ex Iugoslavia), che hanno avuto alla loro origine non solo contrasti ideologici ma piuttosto conflitti etnici e religiosi, hanno fatto sì che, negli ultimi anni, la questione delle minoranze tornasse ad essere di grandissima attualità in tutto il mondo e particolarmente in Europa.
Nei casi citati si è trattato di ribellioni di minoranze contro lo Stato, di rivendicazioni nazionaliste contro un potere centrale ritenuto staccato e “altro” rispetto a specificità culturali, linguistiche o religiose, ma non bisogna dimenticare, però, che tali spinte centrifughe sono presenti anche nei Paesi dell’Europa occidentale, in cui alcune minoranze etniche, linguistiche o religiose si contrappongono al resto della società, rivendicando maggiore autonomia ed un generale riconoscimento della loro specificità. In questo quadro si può meglio comprendere quanto affermato nel preambolo della Convenzione-quadro del 1995 per la protezione delle minoranze nazionali, secondo cui gli eventi della storia europea hanno dimostrato che la protezione delle varie e numerose forme di minoranza esistenti nei diversi Paesi d'Europa “è essenziale alla stabilità, alla sicurezza democratica e alla pace nel continente europeo”.
Proprio alla luce delle lotte, spesso violente e sanguinose, intraprese da questi gruppi minoritari, non va sottovalutata la questione della tutela delle minoranze, che se negate dei diritti volti alla salvaguardia delle proprie specificità, potrebbero dare vita a movimenti separatisti.

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4 Introduzione Il fenomeno del c.d. revival etnico 1 e della rinascita delle lingue e culture minoritarie, manifestatosi nell’Europa occidentale tra gli anni ’60 e ’70 e successivamente sviluppatosi con modalità e conseguenze non sempre uniformi nelle restanti aree del globo non sembra affatto essersi esaurito; esso, anzi, continua ad attrarre, non senza drammaticità, l’attenzione dei governi, degli studiosi e dell’opinione pubblica mondiale. Essendo presenti, secondo alcune recenti stime 2 , nei 184 stati indipendenti del mondo oltre 600 gruppi linguistici e 500 gruppi etnici, sono davvero pochi i Paesi di cui si può dire che i cittadini condividano la stessa lingua o appartengano allo stesso gruppo etnonazionale 3 . Inoltre, le profonde trasformazioni avvenute nella ex Unione Sovietica e nei Paesi dell’Est (specialmente nell’ex Iugoslavia), che hanno avuto alla loro origine non solo contrasti 1 Il termine “revival etnico” è stato coniato da alcuni autori statunitensi (tra cui A. D. Smith, Il revival etnico, Bologna 1984) per indicare il movimento di rinascita delle culture minoritarie e di valorizzazione dei loro retaggi culturali che si è avuto negli anni ’70 nei paesi multietnici d’oltreoceano. Fino agli anni ’60, infatti, ci si aspettava che gli immigrati si assimilassero interamente, secondo il modello de “l’angloconformismo”, alle norme culturali esistenti. Tuttavia, dopo poco, tale modello fu abbandonato per le pressioni esercitate dai gruppi d’immigrati che dimostrarono una forte volontà di conservare i diversi aspetti delle loro culture. 2 T. Gurr, Minorities at Risk: A Global View of Ethnopolitical Conflict, Washington D.C., 1990, Institute of Peace Press, p.20. 3 L’Islanda e le due Coree vengono spesso indicate come alcuni fra quei pochi paesi ad elevata omogeneità culturale.

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