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La NATO nella crisi del Kosovo (24 marzo-10 giugno 1999). Intervento umanitario o indebita ingerenza?

Le preoccupazioni del Consiglio atlantico circa l’inasprirsi della tensione etnica in Kosovo sono rese pubbliche per la prima volta nell’inverno del 1998, quando dichiara il proprio interesse a favorire una risoluzione pacifica della crisi con il coinvolgimento della Comunità internazionale e a promuovere la stabilità e la sicurezza nei paesi circostanti, Albania e Macedonia.
L’inverno successivo vengono sottoscritti, sotto gli auspici dell’Unione Europea, gli Accordi di Rambouillet. Questi avrebbero consentito il dispiegamento di una forza militare internazionale guidata dalla NATO, il cui personale avrebbe goduto di libero ed incondizionato transito attraverso l’intero territorio della Federazione iugoslava (quindi, non solo in Kosovo) e sarebbe stato immune da ogni forma di arresto, inquisizione e detenzione da parte delle autorità iugoslave. Il Presidente Milosevic, però, rifiuta di firmarli in quanto il ruolo che la NATO avrebbe ricoperto in base a tali accordi avrebbe gravemente leso la sovranità nazionale del proprio paese.
Il rifiuto di Milosevic determina il fallimento degli accordi diplomatici e, il 24 marzo 1999, scatena una campagna di bombardamenti aerei attivata dalla NATO. L’intervento militare, che non è autorizzato dal Consiglio di sicurezza a causa del duplice veto di Russia e Cina, viene motivato dalla necessità e urgenza di agire dinanzi a una grave emergenza umanitaria, già constatata dal Consiglio di sicurezza e qualificata come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
La campagna di bombardamenti aerei, però, viene rivolta non soltanto contro gli obiettivi militari e strategici, ma anche contro le infrastrutture industriali della RFI al fine di ridurre l’economia serba al collasso. Il crollo economico della Serbia avrebbe inevitabilmente spezzato le consolidate relazioni commerciali e diplomatiche che legavano la Iugoslavia specialmente alla Russia e alla Grecia. In tal modo si sarebbe sottratto all’asse strategico tra Belgrado, Mosca e Atene il controllo del terminale balcanico del corridoio deputato al passaggio del petrolio e del gas naturale provenienti dal Mar Caspio e diretti all’Europa occidentale.
Alla luce di questo disegno, da una parte la Russia avrebbe perso “l’ultimo aggancio per esercitare una politica di potenza” fondata sul controllo delle esportazioni petrolifere dall’area caspica, dall’altra Stati Uniti e Gran Bretagna, attraverso l’installazione di una base militare permanente in Kosovo, avrebbero acquisito il controllo del corridoio n. 8, un progetto del FMI che vede l’Italia in primo piano in qualità di capo-commessa con la partecipazione dell’ENI e che prevede la costruzione del più lungo oleodotto nella storia d’Europa, di un gasdotto e di bretelle di comunicazione stradali e ferroviarie dal Mar Nero all’Adriatico attraverso Bulgaria, Macedonia e Albania.
Il 24 aprile 1999 il Consiglio atlantico tiene a Washington un vertice per celebrare il 50° anniversario della firma del Patto atlantico. In questa occasione, il Consiglio rilascia una dichiarazione, la cosiddetta Dichiarazione di Washington, che ridefinisce in termini vaghi e imprecisi il campo d’azione dell’Alleanza atlantica, estendendolo alle zone limitrofe dell’area euro-atlantica, e i suoi compiti, non più solo di difesa, ma anche di sicurezza collettiva. Relativamente alla concomitante crisi in Kosovo, il Consiglio atlantico ribadisce che l’azione militare contro la Iugoslavia sia indispensabile per sostenere la Comunità internazionale nella creazione di un Kosovo pacificato, multietnico e democratico. Esso si impegna, inoltre, a porsi a comando di una forza militare internazionale, costituita anche da paesi non aderenti all’Alleanza, che sostenga non soltanto le operazioni umanitarie ma anche l’amministrazione provvisoria del Kosovo tesa a farne un’entità autonoma nell’ambito della RFI.
Il coinvolgimento della Russia e della Cina nel processo di pace conducono a una risoluzione delle Nazioni Unite, approvata dal Consiglio di sicurezza il 10 giugno 1999, che autorizza l’ingresso in Kosovo di una presenza internazionale civile, sotto l’egida delle Nazioni Unite, e il dispiegamento di una forza internazionale militare, sotto il comando unificato della NATO. La bozza della risoluzione approvata differisce dagli accordi di Rambouillet, infatti non sono più previsti né il godimento di libero ed incondizionato transito al personale atlantico sull’intero territorio iugoslavo né la celebrazione del referendum per l’indipendenza del Kosovo.

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2 INTRODUZIONE La vicinanza temporale degli eventi relativi all’intervento atlantico nella Repubblica iugoslava comporta l’inevitabile scarsità di opere dettagliate per una ricerca approfondita. La lettura di Storia del Kosovo è stata fondamentale per comprendere pienamente le radici storiche della crisi, ma l’opera di Malcolm è aggiornata al 1997 e, perciò, ho dovuto analizzare direttamente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU e una serie di articoli giornalistici per ricostruire esaurientemente i fatti del ‘98 e, in particolare, della prima metà del ’99. La consultazione delle riviste internazionali e del sito ufficiale della NATO è stata integrata dalla lettura sul web di commenti di giornalisti indipendenti con l’obiettivo di fornire un’interpretazione il più possibile imparziale delle cause degli eventi. È stata, questa, una scelta necessaria per evitare i condizionamenti della potente propaganda della NATO, il cui monopolio informativo può essere spezzato grazie alla navigazione in rete. 1 1 Taylor Philip M., Propaganda and the web war, in The World Today, June 1999, p. 12

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albania
corridoio 8
intervento umanitario
kosovo
nato

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