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La disciplina dell'immigrazione in Italia nell'odierno contesto europeo

Sono evidenti le difficoltà per un “nuovo” Paese di immigrazione come l’Italia di costruirsi un proprio modello di riferimento. La politica migratoria è un indicatore significativo e sintetico della capacità complessiva del Paese d’arrivo di misurarsi con il fenomeno. Proprio per questa ragione utilizzeremo l’evoluzione della normativa come una delle chiavi di lettura che ci permettono di delineare una prima ricostruzione storica del fenomeno, arrivando a sottolineare come il dato più significativo della situazione di questi ultimi anni sia rappresentato dalla emergenzialità dell’intervento e dalla mancanza di una scelta politica di riferimento chiara e precisa, in grado di indirizzare l’azione amministrativa e di governo. Non appare sorprendente che su una materia così delicata e ricca di implicazioni abbia prevalso un atteggiamento sostanzialmente dilatorio, teso più a governare le tensioni del momento che non a operare interventi di maggior respiro. Il modello italiano, ammesso che sia possibile usare questa espressione, si è così sviluppato in questi anni quasi spontaneamente, ricercando, di volta in volta, il punto di equilibrio tra le diverse spinte, interne ed esterne, più che come sintesi di un autonomo e maturo percorso di decisione politica.
Le linee di sviluppo della normativa italiana non sono molto diverse da quelle degli altri Paesi dell’Unione europea. La limitazione dell’immigrazione irregolare è uno dei punti su cui più si concentra l’attenzione del mondo politico e dell’opinione pubblica. Su questo aspetto è stata più volte lamentata la scarsa efficacia dei controlli alle frontiere e l’assenza di norme e di strutture adeguate a garantire l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione. A tal riguardo non c’è dubbio che gli altri Paesi europei si sono sicuramente dotati di strumenti più efficaci di quelli italiani, ma non tali da eliminare il fenomeno; anzi, la sempre maggiore diffusione dell’immigrazione clandestina su scala mondiale dovrebbe far seriamente riflettere sulla possibilità di fermare un processo sociale di tale ampiezza con meri strumenti repressivi. Proprio per superare questi limiti una delle linee su cui si muovono i governi dei Paesi occidentali è quella di sviluppare nuove strategie di contenimento, non basate esclusivamente sull’irrigidimento dei controlli alle frontiere, ma tese a coinvolgere nella gestione del problema anche i Paesi di provenienza dei flussi.
Considerata la complessità del fenomeno i Paesi membri dell’Unione europea stanno tentando di affrontare questo problema in una prospettiva più complessiva di interesse comune e non demandata solamente ai Paesi più direttamente coinvolti. È chiaro a tutti, infatti, che le politiche in materia di immigrazione attuate in un certo Paese hanno inevitabilmente effetto anche sugli altri Paesi. Emerge pertanto la necessità di un approccio coordinato di questo fenomeno, sia dal punto di vista delle condizioni di ingresso e di soggiorno, sia in materia di integrazione dei migranti. L’immigrazione è una sfida tanto per il diritto interno quanto per il diritto comunitario ed internazionale.

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1 Le politiche migratorie hanno caratterizzato la legislazione dei Paesi occidentali, ed in particolare degli Stati membri dell’Unione europea. Negli Stati Uniti le prime disposizioni di controllo sull’immigrazione sono state introdotte nella legislazione alla fine dell’ottocento, mentre nei Paesi europei è solo durante il primo conflitto mondiale che vengono emanati provvedimenti per regolare e controllare tale fenomeno. Negli anni cinquanta e sessanta prevale un atteggiamento liberale nel controllo delle frontiere. Nei decenni seguenti, la trasformazione dell’immigrazione da fenomeno temporaneo a fenomeno permanente e strutturale determina una radicale inversione di tendenza, con un progressivo aumento di interesse verso il controllo dei flussi e la gestione della crescita delle collettività immigrate. Il fenomeno migratorio assume sempre più una veste e una dimensione globale e plurinazionale, mentre la risposta politica tarda a farsi carico del relativo impegno che potrebbe permettere di sviluppare le opportune forme di collaborazione e di cooperazione internazionale e regionale, indispensabili per affrontare un problema di carattere transnazionale. In Italia i primi flussi di immigrazione si verificano durante un periodo in cui la legislazione in materia è praticamente inesistente, tanto che una delle cause più frequentemente indicate per spiegare l’inizio di tali flussi è proprio l’assenza di una normativa adeguata e di controlli efficaci, nel momento in cui i tradizionali Paesi d’arrivo mettono in atto politiche di ingresso sempre più restrittive. Tale vuoto legislativo, comune peraltro agli altri Paesi dell’Europa meridionale che divengono a luoghi d’immigrazione dopo esserlo stati di immigrazione, si trova a rappresentare un potente fattore d’attrazione per quelle correnti migratorie che negli anni precedenti trovavano il loro sbocco naturale nell’Europa centro settentrionale. In Italia un minimo di legislazione esiste, ma si tratta di provvedimenti dell’epoca fascista, scaturiti in un periodo in cui lo Stato italiano è tutt’altro che un Paese di immigrazione. La materia è regolata dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931.

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Informazioni tesi

  Autore: Manuele Rosignoli
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Alessandro Truini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 324

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