L'intervento armato in Iraq e il sistema delle Nazioni Unite
L’intervento anglo – americano ha aperto un profondo squarcio nel tessuto giuridico internazionale: il sistema di sicurezza collettiva creato con l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è stato messo a dura prova dalle tentazioni unilateraliste di alcuni dei suoi Membri.
Le giustificazioni di un’azione militare contro l’Iraq sono state molteplici e mutevoli, ponendo l’accento, di volta in volta, sul possesso di armi di distruzione di massa, sulla connivenza del regime iracheno con il terrorismo internazionale, sulla necessità di difendere la comunità internazionale dalla minaccia irachena, sulla protezione dei diritti umani delle minoranze sunnite e curde, tralasciando ovviamente argomenti di carattere propagandistico, come la malvagità di Saddam Hussein o la sua inclinazione alla menzogna.
Il punto di svolta e, insieme, di contrasto dell’intero “affaire Iraq” è costituito dai termini della risoluzione 1441 risultano piuttosto chiari: “a failure by Iraq at any time to comply with, and cooperate fully in the implementation of this resolution” non avrebbe comunque giustificato la sospensione unilaterale del cessate – il – fuoco né da parte degli Stati Uniti né da parte da parte di qualunque altro Stato, ma la questione sarebbe ritornata all’analisi del Consiglio di Sicurezza. L’intervento anglo – americano contro l’Iraq lascia aperte questioni giuridiche estremamente dibattute dalla dottrina internazionalistica. In particolare sono da analizzare tre particolari aspetti circa la legalità dell’uso della forza contro l’Iraq:
concettualizzazione del diritto di autodifesa; reazioni al mancato ottemperamento iracheno delle numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza (dal 1990 al 2002); la minaccia posta alla pace e alla sicurezza internazionale dal possesso iracheno di armi di distruzione di massa. Sta di fatto che le relazioni tra gli Stati Uniti e la maggior parte degli altri Paesi, anche storici alleati, sono state seriamente incrinate dalla divergenza di opinioni sull’interpretazione delle regole del diritto internazionale che determinano la legittimità dell’uso della forza. Seguendo il canale interpretativo proposto dalla Casa Bianca, la previsione di azioni preventive sembra prescindere completamente dall’attualità o dall’imminenza di un attacco ma viene ricollegata ad elementi di tipo prognostico, quali i collegamenti con gruppi terroristici o l’acquisizione di armi di distruzione di massa da parte di uno Stato, che vengono così qualificati come elementi atti a dimostrare di per sé l’esistenza di un pericolo per la sicurezza nazionale. L’azione contro l’Iraq viene quindi giustificata alla luce della minaccia posta dal possesso da parte dell’Iraq di armi di distruzione di massa, minaccia ulteriormente aggravata dal paventato collegamento del regime di Baghdad con la rete terroristica legata al nome di Osama Bin Laden.
La dottrina internazionalistica è piuttosto divisa sulla vicenda irachena: è stata infatti di recente segnalata l’esistenza di un’oscillazione degli studiosi stessi fra due estremi opposti, il primo dei quali è costituito dagli studiosi europei, i quali “restano per lo più saldamente ancorati alla Carta dell’ONU, e, se non considerano ancora oggi addirittura illecite le modificazioni istituzionali affermatesi nel corpo della medesima (come, per fare un solo esempio, la stessa prassi ormai risalente delle autorizzazioni agli Stati di usare la forza per conto dell’Organizzazione), sostengono quanto meno, nella loro amplissima maggioranza, l’insanabile contrarietà alla Carta stessa di ogni ipotesi di gestione unilaterale dell’uso della forza da parte di uno o più Stati membri”. L’altro estremo sarebbe invece occupato dagli studiosi statunitensi, i quali “non esitano attualmente a teorizzare l’incipiente se non già progredito affermarsi di un nuovo “diritto internazionale egemonico”, governato nei suoi assetti normativi essenziali dalle determinazioni degli Stati Uniti, quale unica Superpotenza. Parecchi punti giuridici rimangono comunque senza una precisa risposta. Il dopoguerra, poi, si è rivelato più complicato e irto di ostacoli rispetto al conflitto stesso. La crisi irachena ha avuto, ha ed avrà pesanti ripercussioni sull’humus giuridico creatosi soprattutto nell’ultimo cinquantennio: le fondamenta dell’edificio della sicurezza collettiva sono state gravemente danneggiate dagli scossoni dell’ultimo decennio.
Il diritto internazionale, attualmente apparentemente irriso e svilito dai fatti, può tornare ad assumere il suo valore normativo: occorre ritornare ad usare l’arma del diritto ed è necessario soprattutto “riaffermare l’autorità di giudizio e di azione che costituiscono l’idea essenziale di democrazia e di sovranità popolare contro l’usurpazione della legge da parte del potere dominante (politico, economico e militare)”.
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Informazioni tesi
Autore: | Pantaleo Cisotta |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Elena Sciso |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 349 |
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