Il divieto di discriminazione nei rapporti contrattuali
In generale, il termine "discriminazione" indica l’azione di distinzione o diversificazione operata fra persone, cose, casi o situazioni e, più nello specifico, l’adozione di differenti comportamenti, basati essenzialmente sul pregiudizio, nei riguardi di determinati gruppi etnici, religiosi, politici, ma anche nei confronti di persone affette da disabilità o di differente orientamento sessuale e di genere.
In un rapporto di marzo 2021 redatto in vista della Giornata Internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa leggiamo che l’attuale pandemia da COVID-19 ha mostrato ed amplificato disuguaglianze già esistenti da tempo. Il dato deve certamente indignare, ma non sorprendere, in quanto le discriminazioni restano un problema essenzialmente strutturale della società occidentale, che affonda le proprie radici in preconcetti difficili da estirpare, ampliando il problema delle disparità economiche e rendendo davvero complesso l’equo ed eguale accesso al mercato e al lavoro per i gruppi discriminati ed emarginati.
Nel diritto, le discriminazioni rivestono un ruolo di grande rilievo ed importanza, in quanto si inseriscono nel quadro delle situazioni soggettive garantite come diritti inviolabili della persona, in conformità con il nostro ordinamento sia interno che internazionale.
Nel solco della disciplina civilistica e del diritto dei contratti, e dunque della materia del mio elaborato, non si può non osservare il complesso rapporto esistente tra divieto di discriminazione ed autonomia privata, tema questo ampiamente dibattuto in dottrina.
L’autonomia contrattuale è infatti riconosciuta alle parti dall’articolo 1322 c.c., così come la libertà dell’iniziativa economica privata viene garantita ai consociati dalla Costituzione della Repubblica; allo stesso tempo, però, bisogna tener conto di quanto fortemente incidano discriminazioni e preconcetti diffusi all’interno della collettività sulle dinamiche contrattuali e di mercato, soprattutto per quel che riguarda pregiudizi legati alla nazionalità e alla provenienza, ma anche alla sfera religiosa (o culturale in generale), sessuale e di genere. Alcuni studiosi che si occupano della materia propriamente economica del diritto affermano che il mercato sarebbe capace di “auto-regolarsi” in questo senso, abbattendo eventuali “limitazioni irrazionali”, tra cui anche quelle basate su preconcetti discriminatori; ma in realtà quello che accade è che il mercato assimila i comportamenti discriminatori, soprattutto in un’ottica di calcolo costi-benefici, trasformando i pregiudizi sociali in strategie di massimizzazione del profitto. In un articolo del 1991 apparso sulla rivista
statunitense “Harvard Law Review”, l’avvocato ed economista, nonché docente universitario, Ian Ayres, pubblica la propria ricerca sulla rilevanza del pregiudizio razziale e di genere sul mercato delle auto a Chicago; il professor Ayres offre prove empiriche che seriamente sfidano la fiducia nella capacità delle forze endogene del mercato di eliminare la discriminazione razziale e di genere. Infatti, la sua ricerca dimostra che i concessionari di automobili al dettaglio offrivano prezzi sostanzialmente migliori su auto identiche agli uomini bianchi rispetto a quelli che offrivano ai neri e alle donne.
È a questo punto facilmente intuibile che il complesso rapporto che si instaura tra autonomia contrattuale e divieto di discriminazione trova il suo fondamento, da un lato, nell’urgenza di garantire l’equilibrio di mercato e, dall’altro, nella necessità di condannare condotte discriminatorie, data anche dalla natura personal-solidaristica dell’ordinamento italo-europeo.
Una normativa antidiscriminatoria in materia di contratti potrebbe portare dunque, secondo una parte della dottrina, a tre risultati non propriamente desiderabili: una qualche violazione della libertà contrattuale, un non-corretto funzionamento del sistema di mercato e l’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, ossia di quel rapporto di interdipendenza tra prestazione e controprestazione che sorge nei contratti a prestazioni corrispettive; conseguenza di ciò su riportato è sicuramente la neutralizzazione di un’occasione di guadagno individuale, circostanza sicuramente poco auspicabile. Quel che però sfugge in questa considerazione è che la tendenza del sistema di mercato nel diffondere preconcetti e pregiudizi indebolisce le dinamiche sociali, rendendo fondamentale un intervento a livello giuridico, quale appunto il divieto di discriminazione, che vieti di trasformare le differenze (quali dati di fatto) in diseguaglianze (quali giudizi di valore), ma che allo stesso tempo detto strumento sia contraddistinto da ragionevolezza, in modo da non risultare limitativo e/o ostativo nei confronti della libertà di impresa.
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Informazioni tesi
Autore: | Awa Fall |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Roberta Montinaro |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 31 |
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