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Trasferimenti di popolazione nell’Europa del Novecento: i nodi fondamentali

Il fenomeno del trasferimento di popolazione non costituisce, in sé, una novità nella storia europea. E’ tuttavia certo che prima del XX secolo mai si era verificato, da parte dei governi, un ricorso talmente generalizzato e sistematico alla rimozione di interi gruppi di persone, classificate secondo certe categorie e deportate praticamente senza eccezioni in un’altra zona del proprio stato o, più spesso, direttamente in un altro stato.
Ho scelto di cominciare il mio elaborato con un caso che segna l’inizio di un’epoca: la Convenzione di Adrianopoli del 1913 tra Bulgaria e Impero Ottomano, infatti, sancisce il primo tentativo ufficiale di perseguire l’obiettivo dello Stato-Nazione tramite uno scambio di popolazione regolato da un trattato internazionale bilaterale.
Lo scambio di popolazioni fra Bulgaria e Grecia, subito dopo la Grande Guerra, sebbene fosse stato “incentivato” dal fatto che i greci, per presunte “necessità militari”, avevano deportato alcune migliaia di bulgari dalla Tracia per insediarvi al loro posto profughi greci anatolici, costituì “forse l’unico esempio di una semplificazione etnica condotta senza evidente costrizione”. Nella maggior parte dei casi invece, “uno scambio volontario semplicemente non sussiste, se non in circostanze che, in realtà, corrispondono all’obbligatorietà” .
Il primo episodio che dimostrò realmente quanto potessero essere devastanti le nuove dottrine nazionaliste fu il conflitto tra la Grecia e il nuovo stato turco. La decisione di deportare più di un milione di greci fuori dalla Turchia fu la conseguenza più ovvia che potesse sorgere dalla cognizione di essere etnicamente diversi e, quindi, dalla convinzione che non fosse possibile in alcun modo la convivenza : gli orrori bellici ne erano la più concreta dimostrazione. Per ratificare il trasferimento dei greci venne firmata la nota Convenzione di Losanna del 1923, la quale fu di capitale importanza per la futura storia della diplomazia internazionale: essa infatti sancì per la prima volta il principio dell’esodo forzato, e inoltre fu attuata attraverso la mediazione di istituzioni internazionali, che contribuirono così a rafforzarne i principi. In molti frangenti i leader politici europei dei decenni a venire si sarebbero richiamati a quel famoso precedente, per motivare le decisioni di trasferire coattivamente determinati gruppi nazionali, nella loro interezza.

Capitoli:
• Introduzione
• Lo scambio di popolazioni tra Bulgaria e Impero Ottomano
• Lo scambio di popolazioni tra Grecia e Bulgaria
• Un ‘modello’ di trasferimento forzato: lo scambio fra Grecia e Turchia
• Esempi paradigmatici di deportazione staliniana
• Il “rimpatrio” dei Volksdeutsche voluto da Hitler
• La deportazione dei polacchi da parte degli occupatori tedeschi
• La grande ondata: l’espulsione dei tedeschi dall’Europa centrale
- Dalla Polonia
- Dalla Cecoslovacchia
- Dall’Europa Sudorientale
- Conclusioni del processo
• Diversi trasferimenti di popolazione tra Polonia e Urss
• Gli scambi di popolazione tra Cecoslovacchia e Urss
• Il fallimentare scambio di popolazioni slovacche e ungheresi
• Il mancato scambio tra rumeni e ungheresi in Transilvania
• Lo scambio in Dobrugia tra popolazioni rumene e bulgare
• Lo scambio di popolazioni malriuscito tra Bulgaria e Turchia
• Il trasferimento dei finlandesi dalla Carelia sovietica
• L’esodo degli italiani dalla Venezia Giulia
• Conclusioni
• Bibliografia

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4 INTRODUZIONE Il fenomeno del trasferimento di popolazione non costituisce, in s�, una novit� nella storia europea: espulsioni di ebrei sefarditi dalla Spagna si verificarono ad esempio gi� nel �400, mentre un secolo pi� tardi la medesima sorte tocc� ai protestanti in Francia; tutt�altro che infrequenti inoltre furono gli spostamenti anche consistenti di nuclei di popolazione promossi da autorit� pubbliche al fine di ripopolare regioni devastate da guerre o epidemie, come fece la Repubblica di Venezia in Istria dopo la peste del �600. Anche l�impero ottomano adott� la medesima tecnica nei suoi ultimi secoli di vita, per ripopolare zone disabitate o per spostare dalle aree di confine popolazioni �sospette�. E� tuttavia certo che prima del XX secolo mai si era verificato, da parte dei governi, un ricorso talmente generalizzato e sistematico alla rimozione di interi gruppi di persone, classificate secondo certe categorie e deportate praticamente senza eccezioni in un�altra zona del proprio stato o, pi� spesso, direttamente in un altro stato. La casistica in merito � davvero ragguardevole: si va dall�azione unilaterale a quella convenzionale; dalla deportazione forzata al trasferimento di popolazione su basi volontarie, anche se molto frequentemente la volontariet� della partenza fu inficiata da svariate tipologie di pressioni, che non resero realmente libera la scelta; inoltre di consueto si tese ad attribuire all�operazione un carattere reciproco, specialmente nel caso di accordo tra governi. Molteplici sono anche le ragioni di queste operazioni: semplici vendette e punizioni per i crimini commessi in precedenza, come ad esempio nei confronti dei greci in Turchia, dei tedeschi in Polonia, degli italiani nella Venezia Giulia; considerazioni di ordine geostrategico prevalsero invece nel caso delle deportazioni staliniane internamente all�Unione Sovietica, mentre nell�ambito della concezione imperialistico-razziale nazista sono da collocarsi i programmi di reinsediamento dei Volksdeutsche provenienti dall�Europa centro-orientale. Ma in tutti i casi considerati la fonte primaria che ispir� queste iniziative fu senza dubbio l�affermarsi del principio dello stato-nazione come base ideologica per la costruzione statale. Un�astrazione ottocentesca aveva ormai raggiunto la sua fase pi�

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