Il mobbing e la tutela del lavoratore contro le pratiche vessatorie
Da poco più di un ventennio, grazie alla crescente sensibilità sul tema da parte dell’opinione pubblica, della giurisprudenza e degli organi dello Stato è sempre più comune rintracciare, nei rapporti di lavoro, il fenomeno del mobbing.
L’obiettivo del presente elaborato è l’analisi di tale pratica vessatoria sul posto di lavoro, partendo all’interno del primo capitolo con le origini del termine, la definizione di mobbing, come esso si manifesta all’interno delle organizzazioni e chi sono gli attori che configurano questa pratica. Il termine “mobbing” non nasce all’interno del contesto lavorativo, ma vede la luce grazie a Konrad Lorenz, zoologo austriaco, che ne fece un uso descrittivo per una serie di comportamenti di alcune specie animali che assalivano un loro simile con il fine di escluderlo dal branco stesso. Odiernamente utilizziamo questo termine nel contesto lavorativo per descrivere l’utilizzo di varie pratiche vessatorie, ai danni di un lavoratore, che nei casi più gravi potrebbe arrivare a dimettersi o ad essere licenziato anche conseguentemente all’insorgere di malattie psico-fisiche che non gli consentono di continuare l’attività lavorativa. Tale fenomeno è sempre più al centro dell’attenzione mediatica e politica, questo perché va ad intaccare un tema di grande sensibilità, come la salute degli individui sul posto di lavoro. Analizzando la risoluzione del Parlamento Europeo numero A5-0283/2001 si nota come quasi un decimo della forza lavoro (al netto dei casi sommersi) dell’Unione sostenga di essere stata vittima almeno una volta nella propria carriera di azioni vessatorie. Non risulta possibile stilare un “identikit” del lavoratore più propenso ad essere investito da questo fenomeno; esso infatti può colpire indistintamente, seppur con percentuali diverse, qualsiasi tipo di lavoratore, indipendentemente dal settore di provenienza, dallo status contrattuale e come vedremo dalla posizione gerarchica che occupa; sono stati registrati infatti, anche seppur in numero minore rispetto al totale, casi di mobbing di dipendenti contro i loro superiori, configurando una delle due ipotesi di mobbing verticale, approfondite nel paragrafo 1.4.
Non è prevista nell’ordinamento italiano una normativa ad hoc riguardante il mobbing, ciò però non esclude che nel corso dell’ultimo ventennio non siano state intraprese varie tipologie di azioni, di tipo preventivo ad esempio.
È il caso della contrattazione collettiva, dove all’interno di alcuni CCNL vengono definite ed organizzate azioni e risposte alle pratiche vessatorie. Tipico di molti CCNL riguardanti questo fenomeno è la creazione di un comitato paritetico, con compiti come vedremo nel dettaglio all’interno del paragrafo 2.2.1, di raccolta dati e formulazione di proposte. La sola risposta della contenuta nei CCNL non è pero sufficiente ad affrontare questa piaga sociale, i vari livelli istituzionali hanno quindi legiferato in tal senso, come nel caso delle Regioni italiane, o recepito direttive di enti sovranazionali, come la Convenzione n.190 del 2019 unita alla Raccomandazione n. 206.
Tale Convenzione tra i suoi numerosi contenuti, invita gli Stati membri, ad organizzare misure di prevenzione ed eliminazione delle violenze sul lavoro. I legislatori regionali, nel tentativo di sopperire al vuoto normativo nazionale, non hanno avuto strada facile.
Come approfondiremo nel paragrafo 2.3, è emblematico il caso della Regione Lazio, che l’11-07-2002 ha approvato una legge atta a contrastare il mobbing, a cui subito il Governo ha risposto rivolgendosi alla Corte costituzionale chiedendo e successivamente ottenendo la cancellazione della stessa per incostituzionalità.
Si conclude infine, con uno studio nel capitolo 3, riguardante le varie tutele che il Codice civile (attuando vari principi derivanti dalla Costituzione), dispone, sia in base alla responsabilità contrattuale con l’art. 2087 c.c., sia in base alla responsabilità extracontrattuale, o aquiliana dell’art 2043 c.c.
L’articolo 2087 c.c., che ingloba al suo interno i principi degli articoli 32 e 41 della Costituzione Italiana, permette alla vittima di ottenere un risarcimento per il danno patito, che può configurarsi in danno patrimoniale, danno non patrimoniale e danno biologico. Tale articolo è stato applicato alla fattispecie del mobbing, in virtù degli obblighi di sicurezza in capo al datore di lavoro, e risulterà violato sia se il datore di lavoro non predisponga le misure di sicurezza necessaria atte a scoraggiare episodi vessatori, sia se gli stessi episodi vessatori sono messi da lui in atto. Contestualmente al 2087 c.c., la vittima può scegliere di avvalersi del 2043 c.c., che se da un lato è poco utile nei confronti del datore di lavoro (essendo come vedremo la tutela contrattuale più conveniente), dall’altro permette di ottenere un risarcimento del danno nelle casistiche in cui l’aggressore non sia il datore di lavoro, ma un collega, ovvero una persona non legata contrattualmente alla vittima.
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Informazioni tesi
Autore: | Giovanni Marcaccini |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Scienze Politiche, Economiche e Sociali |
Corso: | Scienze dell'amministrazione |
Relatore: | Marco Biasi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 42 |
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