La Mindfulness applicata nel calcio

2 Introduzione Da sempre, in ogni disciplina sportiva, si è alla costante ricerca di uno sviluppo completo dell’atleta allo scopo di ottimizzare la sua performance sportiva per raggiungere un traguardo, alzare una coppa o magari di vincere una medaglia. Facciamo un passo indietro nel passato, a più’ di 2000 anni fa: in quel periodo storico la cultura Greca era nel periodo di massimo splendore filosofico, artistico, scientifico, sociale e culturale. La fisicità e l’educazione intellettuale andavano già di pari passo e trovavano un connubio perfetto per una completa formazione dell’individuo. I giovani erano educati e incoraggiati ad allenarsi per far fronte a gare, sfide e guerre. Ricordiamo ancora oggi la famosissima espressione: “Mens sana in corpore sano” a sottolineare quanto fosse considerato complementare lo sviluppo equilibrato ed armonioso di corpo e mente. Successivamente, grazie al progresso in campo psicologico, verso la fine del 1800, si è riaffermata con forza l’unità tra corpo e mente. Sigmund Freud, con la psicoanalisi ha spalancato le porte ad una nuova visione dell’uomo: un’unità psicofisica. Questo, nel corso degli anni, ha permesso una evoluzione all’approccio della sfera psicologica dello sportivo. Norman Triplett, psicologo dell’Università in Indiana pubblicò il primo studio riconosciuto di Psicologia dello sport nel 1897 sulla performance di atleti agonisti. Possiamo definire come primo psicologo sportivo della storia il signor Griffith Coleman, il quale negli anni ‘30 lavorò per i Chicago Cubs, squadra militante del campionato professionistico di Baseball. Quello fu l’inizio di un movimento che si diffuse dapprima negli Stati Uniti e successivamente in tutto il resto del mondo, stiamo parlando del Mental Training, intervento mirato a incrementare il livello di efficienza mentale degli atleti. Uno dei casi