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La realtà organizzativa delle comunità per minori: analisi di uno strumento per la tutela e la protezione dell’infanzia e dell’adolescenza nelle situazioni di rischio e pregiudizio

Le esigenze di contrasto ai fenomeni di istituzionalizzazione, nate dalla consapevolezza dell’importanza per ogni bambino di avere significative relazioni familiari e sociali fortemente personalizzate e capaci di promuovere la sua crescita individuale e sociale, hanno portato alla nascita delle prime comunità per minori.
La separazione o l’allontanamento temporaneo del bambino dalla propria famiglia avviene, quindi, non tanto con l’intenzione di dargli nuove figure genitoriali sostitutive di quelle originarie, che rimangono tali anche durante il periodo dell’allontanamento, ma per assicurargli delle relazioni sociali significative, personalizzate, stabili nel tempo necessario alla realizzazione del progetto d’intervento.
Si tratta, riassumendo, di garantire un processo di accoglienza in un ambiente diverso dalla famiglia di origine caratterizzato da un’adeguata “personalizzazione” e qualità delle relazioni.
Ed è partendo da queste premesse che nasce l’interesse di questo lavoro per le comunità
per i minori, troppe volte considerate come antagoniste della famiglia naturale o scelte
in ultima istanza quando non c’è una famiglia affidataria disponibile.
Lo scopo di questo approfondimento è cercare di creare un’occasione per pensare alla comunità in termini diversi, al fine di evidenziare i limiti e le potenzialità che questo strumento può offrire rispetto ai bisogni evolutivi di un minore, le cui problematicità non rendono opportuno altre forme di intervento.
La comunità, quindi, verrà considerata come una struttura di convivenza il cui obiettivo primario è realizzare un’esperienza ricca di stimoli cognitivi, affettivi e relazionali che possono, e devono, innescare processi di trasformazione positiva nell’individuo.
L’intervento di comunità assume valore proprio perché avviene in una dimensione sociale che crea uno spazio in cui minore e famiglia possano ripensare alle loro difficoltà e, insieme agli operatori ricostruire un nuovo rapporto, più sereno e adeguato.
Credo che la migliore dimostrazione per confermare quanto sopra detto sia accostarsi a questo tipo di servizio, analizzando la sua realtà organizzativa, per due motivazioni:
- la prima è che descrivere la comunità come organizzazione significa obbligatoriamente riflettere sulla sua stessa struttura e quindi di come essa si presenta agli individui che la vivono dall’interno, ma anche di come si fa conoscere (e percepire) dalla società esterna;
- la seconda è che la sua organizzazione determina direttamente la qualità del lavoro con i minori che ospita e il raggiungimento o meno degli obiettivi che è chiamata a raggiungere.
Per sviluppare questa tematica ho scelto di strutturare il testo in sei capitoli.
Il primo capitolo è un’introduzione al mondo della comunità attraverso una descrizione delle caratteristiche generali di questo servizio e dei suoi giovani utenti, della sua storia, dei principali riferimenti legislativi, delle sue varie tipologie e degli enti gestori.
Il secondo capitolo affronta, invece, il tema delle realtà organizzativa e dei suoi componenti: l’ambiente, il clima relazionale e il livello immaginario-simbolico. Si tratta di definire gli elementi che si sono ritenuti esplicativi delle caratteristiche delle comunità per minori e delle loro peculiarità: tali aspetti saranno gli argomenti sviluppati ed approfonditi nei tre capitoli successivi.
Il terzo capitolo, pertanto, parla dell’ambiente organizzativo, che rappresenta le fondamenta della vita comunitaria. Tale aspetto sarà colto nella sua globalità attraverso l’analisi dei suoi componenti: il luogo, il tempo, le persone, i fini, l’assetto normativo, la tecnologia, il rapporto con il territorio.
Il quarto capitolo sviluppa il tema del clima organizzativo, in cui si cercherà di far cogliere l’importanza essenziale dell’aspetto relazionale nella vita comunitaria.
I rapporti tra educatori, minori, famiglie d’origine e gli altri servizi, infatti, giocano un ruolo importante per uno sviluppo adeguato del minore, nell’intervento della comunità e del suo clima interno.
Il livello immaginario-simbolico è l’argomento del quinto capitolo e riguarda il ruolo di guida e influenza che le idee, le aspettative, l’immaginario collettivo circa la comunità giocano nel determinare il modo di lavorare e di interagire della struttura sia al suo interno, che con il resto del territorio.
Il sesto capitolo tratterà della stretta relazione tra le caratteristiche dell’organizzazione e la qualità del servizio dato fornito dalle comunità. Tale riflessione andrà oltre la questione normativa dell’accreditamento, per porre la necessità di un’adeguata autovalutazione come valore etico nell’interesse dei minori accolti.
Fatte queste premesse, mi auguro che questo mio lavoro riesca a risaltare il valore di questo strumento nel difficile percorso di tutela dei minori in difficoltà.

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3 INTRODUZIONE Da quando i temi legati ai diritti dell’infanzia si sono affermati all’interno di una sfera pubblica sempre più ampia ed articolata, la questione dei bambini allontanati dai servizi pubblici dal proprio contesto familiare ed inseriti in una struttura residenziale è ritornata al centro del dibattito politico e delle politiche sociali. È ritornata, nel senso che l’attuale attenzione appare il risultato di un lungo, quanto intermittente processo iniziato, almeno nel nostro paese, verso la fine degli anni cinquanta con l’emergere di proposte alternative agli orfanotrofi e ai “collegi” che garantivano l’istituzionalizzazione di grandi numeri di bambini ed adolescenti . Queste istituzioni totali, infatti, anche le migliori, potevano appagare in modo elevato solo i bisogni di protezione fisica del minore, di cibo e di un ambiente salubre. Di certo nell’anonimo ambiente dell’istituto, infatti, non era possibile esaudire il bisogno primario del minore di essere aiutato nella costruzione della sua personalità autonoma poiché non potevano realizzarsi rapporti affettivi strutturanti e sicurizzanti. Un paradosso, se pensiamo che questi minori sono stati allontanati dalla famiglia d’origine perché essa non è in grado di garantire quella cura e protezione di cui necessita un figlio in crescita . E’ da questo punto di partenza che nascono e sono nate, decenni fa, le esigenze di contrasto ai fenomeni di istituzionalizzazione, consapevoli dell’importanza per ogni bambino di avere significative relazioni familiari e sociali fortemente personalizzate e capaci di promuovere la sua crescita individuale e sociale. La separazione o l’allontanamento temporaneo del bambino dalla propria famiglia avviene, quindi, non tanto con l’intenzione di dargli nuove figure genitoriali sostitutive di quelle originarie, che rimangono tali anche durante il periodo dell’allontanamento, ma per assicurargli delle relazioni sociali significative, personalizzate, stabili nel tempo necessario alla realizzazione del progetto d’intervento. Si tratta, riassumendo, di garantire un processo di accoglienza in un ambiente diverso dalla famiglia di origine caratterizzato da un’adeguata “personalizzazione” e qualità delle relazioni. Ed è partendo da queste premesse che nasce l’interesse di questo lavoro per le comunità per i minori, troppe volte considerate come antagoniste della famiglia naturale o scelte

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Informazioni tesi

  Autore: Sarah Bertoldo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2006-07
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze del servizio sociale
  Relatore: Giorgio Gosetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 97

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