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Il silenzio di Giobbe

Una tesi in filosofia del linguaggio che indaga l'identità personale e narrativa ispirandosi agli studi di Ricoeur.

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1 Introduzione -C'era una volta nel paese di Uz un uomo di nome Giobbe. Era una persona perfetta e retta, amava Dio ed era nemico del male.- La storia di Giobbe si innesta su questo paesaggio quasi monotono, dove non c'è sentore di temporale e, pur tuttavia, la tempesta irrompe: il paesaggio si fa tragico, l'uomo è costretto a interrogare e a interrogarsi sul perché del male, della sofferenza, della vita stessa. E si interroga, interroga gli amici venuti a consolarlo, interroga Jhwh; il suo canto è il canto dell'umanità e come tale universale e destinato a non tramontare fino "alla fine del nostro mondo", inteso, questo, non come spazio che ci ospita, ma come spazio-tempo della nostra esistenza; non come mondo esterno, e dunque riferibile al pianeta che ci ospita, ma come spazio mentale e, dunque, come possibilità di rappresentazione del mondo stesso. Noi potremmo essere sfrattati, e "la nostra casa" continuare a rimanere dentro il suo universo. Dunque il canto di Giobbe avrà la durata dell’uomo. La tradizione ci tramanda l'immagine di un Giobbe tanto paziente da divenire proverbiale, ma la realtà che emerge dal testo è affatto diversa. Giobbe in quanto uomo, e proprio in quanto legato a Dio da una fede e da un amore profondo, di fronte all'irrompere dell'evento-disgrazia e al suo reiterarsi e permanere nella storia, alza le sue strazianti invettive al cielo. Egli non può comprendere il volere divino, è costretto a ripensare al concetto di Dio, così come sono stati costretti a ripensarlo i teologi ebrei del dopo Auschwitz: i tre attributi che connotano la peculiarità divina, bontà, onnipotenza e comprensibilità, non hanno la possibilità di insistere nel medesimo tempo, che poi è l'eternità, sul soggetto del predicato; uno di essi, qualunque sia la combinazione esaminata, risulta di troppo. Se a Dio viene attribuita sia la bontà infinita, sia l'onnipotenza, l'Olocausto diventa un assurdo non solo sul piano storico, ma anche sul piano metafisico-teologico: Dio diventa incomprensibile. Perché Dio torni a possedere il requisito della comprensibilità da parte dell'uomo, è necessario che si rinunci a un elemento della triade: se si opta per la bontà, bisogna lasciar cadere l'onnipotenza; se si postula l'onnipotenza, non è più possibile affiancare ad essa la bontà. E Giobbe vuole comprendere. Si sente pertanto in diritto di chiamare in causa quel Dio che gratuitamente lo tortura: -Se un flagello infierisce a un tratto, egli ride allo sgomento dell'innocente.- 1 1 Il libro di Giobbe, Collana I classici dello spirito, Ed. R.C.S. Libri S.p.A. 1997, Milano, pag. 53

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Parole chiave

manicomio
follia
identità personale
filosofia del linguaggio
psichiatria
ribellione
identità narrativa
casa famiglia
paziente psichiatrico
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