Complessità della funzione genitoriale in contesti a rischio: la maternità in carcere
Film, giornali e persino poesie raccontano, in modo più o meno fedele alla realtà, storie, cronache e vissuti “made in carcere”e il 99% delle volte i “protagonisti” sono solo ed esclusivamente uomini: accade così che diventi sempre più difficile ricordare e immaginare che, invece, all’interno di “quel residuo marginale, anonimo e poco considerato della società, ma che al tempo stesso ne è lo specchio più fedele e significativo” (Mosconi, 1998) ci sono anche molte donne, la cui esperienza di “ristrettezza” è per lo più “invisibile”, dunque sconosciuta e poco considerata.
L’attenzione è focalizzata, in particolare, sul vissuto di alcune donne detenute un po’ “speciali”, la cui considerazione appare ancora più complessa di quella degli/le altri/e detenuti/e, essendo a loro strettamente legate la vita di un essere davvero speciale: un figlio.
La principale conseguenza è che alla privazione della libertà si accompagna un ulteriore prezzo da pagare, forse il più difficile da sopportare per queste detenute: quello di vedersi negare l’inviolabile diritto-dovere di essere, per il proprio figlio, una madre presente con una funzione riconosciuta come valida e significativa. Tendenzialmente le donne detenute hanno più sensi di colpa verso l’esterno e verso la famiglia che rimane fuori dalle loro quattro mura. Il carcere, anche il migliore, è comunque un luogo di grande sofferenza; la privazione della libertà è un dramma di cui non si può facilmente capire la portata: provoca crisi d’identità, rende impotenti, umilia, indurisce gli animi e crea un forte sentimento di rabbia contro la società. Il detenuto di solito è già in un circuito di emarginazione e le restrizioni del carcere aggravano una ferita sempre aperta. Per avere notizie dal mondo esterno e dai propri familiari bisogna aspettare il colloquio, possibile magari tra una settimana, mentre le giornate scorrono tutte uguali con lentezza esasperante. Se questo è il dramma di chiunque è in carcere, per la donna esso assume risvolti strazianti per lo speciale legame che unisce una madre ai propri figli. Maternità e reclusione sono due condizioni in conflitto fra loro e la seconda comunque sembra negare la possibilità alla prima di esprimersi se non in situazioni di estremo disagio.Due, in particolare, i modi di vivere la maternità delle donne recluse, che tuttavia nella loro diversità risultano ugualmente dolorose: uno è quello dell’ “anomalo e speciale” rapporto tra madre detenuta e figlio dentro il carcere; l’altro è quello del difficile “rapporto a distanza” tra madre detenuta e figlio affidato a terzi.
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Informazioni tesi
Autore: | Assunta Tassone |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Scienze della Formazione |
Corso: | Scienze dell'educazione e della formazione |
Relatore: | Rosalba Larcan |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 60 |
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