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Teorie e pratiche dei serious game. Il caso del disturbo da deficit di Attenzione e iperattività

Il presente lavoro intende evidenziare le possibilità espressive ed educative del linguaggio videoludico con particolare riferimento ai serious game.
Questi giochi digitali finalizzati all’apprendimento e strutturati in base a tre dimensioni, simulativa, ludica e formativa, trovano applicazione in diversi contesti e costituiscono una proposta educativa basata sull’esperienza allo stesso tempo efficace, coinvolgente e piacevole.
Per le prerogative evidenziate, i serious game possono essere utilizzati con buoni risultati rispetto ai disturbi dell’apprendimento e in questa ricerca sono considerati in relazione al deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Nel primo capitolo viene preso in considerazione il gioco sia come attività connaturata all'uomo che come efficace strumento di apprendimento.
E’ quello del gioco un ambito di indagine complesso, in continuo divenire che in questa trattazione viene posto in relazione agli apporti significativi di molti studiosi di domini disciplinari diversi e ai Games Studies e considerato come una manifestazione della mente simulativa.
Il secondo capitolo è una riflessione sulle potenzialità delle tecnologie informatiche in ambito educativo.
Si considerano tre aspetti: l’e-learning, i videogiochi e la gamification definibile come una prassi che consiste nell'applicare elementi tipici del gioco in contesti di non gioco, cui si devono progetti interessanti e innovativi.
L’e-learning è inteso anche come metodologia, strumento e ambiente di apprendimento in grado di rispondere alle esigenze e alle funzioni della formazione permanente.
Centrale nel capitolo è l'argomento videogiochi che si sono trasformati in un fenomeno culturale di massa grazie ad una delle loro caratteristiche peculiari: l'interattività. Attraverso essa i giocatori sono diventati “produttori attivi” in grado di modificare a piacere le esperienze di gioco, di creare liberamente mondi e identità virtuali, di usare approcci differenti per risolvere problemi ma anche di personalizzare le proprie esperienze di apprendimento.
I serious game, argomento del primo paragrafo del terzo capitolo, ripropongono situazioni reali chiedendo al soggetto di affrontare problemi concreti. Essi rappresentano una nuova frontiera per l'apprendimento poiché risultano essere più piacevoli e motivanti di altre strategie didattiche.
Il secondo paragrafo di questo capitolo cerca di esaminare le dinamiche delle comunità virtuali in cui i soggetti condividono aree di interesse e costituiscono gruppi di affinità legati da obiettivi comuni al di là delle appartenenze etiche, culturali e sociali. Si tratta di luoghi densi di relazioni da cui scaturisce un sapere condiviso.
Nel terzo paragrafo viene infine considerato il progetto JamToday che coinvolge molti giovani in ogni parte d'Europa in una significativa esperienza di creatività.
L'ultimo capitolo della tesi, infine, è riconducibile sia alla mia esperienza personale e familiare che al mio lavoro di educatore che nel corso del tempo mi ha portato a contatto con alcuni bambini e ragazzi con ADHD.
Vengono esaminati gli aspetti di questa sindrome che per molto tempo non è stata adeguatamente riconosciuta, e presi in considerazione serious game progettati e sviluppati per guidare i bambini a migliorare la capacità di gestione del tempo e di pianificazione rispetto a un compito ma anche il comportamento sociale che tanta importanza ha sul piano affettivo in un'età in cui l'accettazione nel gruppo dei pari è fondamentale per il benessere e l'autostima.
Nel corso di questo lavoro, essenziali come autori di riferimento sono stati: Anolli e Mantovani (Come funziona la nostra mente. Apprendimento, simulazione e Serious Games), Gee (Come un videogioco), Jenkins (Cultura convergente), Bertolo, Mariani (Game Design), Maestri, Polsinelli, Sassoon (Giochi da prendere sul serio,Viola, Cassone (L'arte del coinvolgimento), Barkley (ADHD: strumenti e strategie per la gestione in classe).

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18 1.2 I GAME STUDIES Considerati alcuni apporti significativi sul tema del gioco nel capitolo precedente, un breve cenno ai Game Studies, una disciplina che ha avuto un forte impulso negli ultimi vent'anni in concomitanza con la diffusione dei videogiochi. Nel marzo del 2001 all’ IT University di Copenaghen si tiene la conferenza C omput e r Game and Di gi t al St udi e s che costituisce il prologo alla creazione di un campo di ricerca tra i più trasversali. Soltanto quattro mesi dopo, nel luglio dello stesso anno, viene pubblicata per la prima volta la rivista no- profit “Game studies” in cui si sottolinea l'esigenza di dare vita a un ambito di indagine specifico relativo al computer game. Alla pubblicazione del primo numero della rivista si fa risalire l'esordio dei Game Studies stessi. A dare un'impronta diversa agli studi sul gioco, come sottolineano Maresa Bertolo e Ilaria Mariani nel libro Game De si gn, sono state le ricerche degli antropologi Johan Huizinga e Roger Caillos, di cui abbiamo già trattato che hanno esaminato il gioco in senso ampio. Le loro analisi, insieme alle numerose pubblicazioni dedicate allo studio del gioco degli anni Ottanta, fanno da apripista ai Game Studies, disciplina scientifica in continua evoluzione. Bartolo e Mariani mettono in evidenza una definizione dell'attività ludica di Bernard Suits che identificano come riferimento fondamentale per questi studi: “Giocare a un gioco è lo sforzo volontario di superare ostacoli non necessari”. Nell'ambito di questa disciplina, esistono due schieramenti in qualche modo contrapposti: i ludologi e i narratologi. Per i primi la narrazione distrugge l'interazione che rappresenta la caratteristica peculiare dei videogiochi, elemento fondamentale dell'esperienza ludica digitale.

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Parole chiave

e-learning
gioco
videogames
videogiochi
adhd
iperattività
serious game
deficit di attenzione
gamification
game therapy

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