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Il mercato del lavoro dei laureati, mobili per scelta o per necessità?

La crisi di questi ultimi anni ha messo i giovani in una condizione di persistente precarietà e da qui un'accentuata mobilità ha preso piede, giustificata dalle continue assunzioni e licenziamenti facili, e dal fatto che dopo anni di studio, non sempre il laureato è disposto ad accontentarsi del primo posto che trova, anche se è facile scambiare la qualità con la stabilità per potersi assicurare un posto di lavoro. Le riforme che sono state introdotte hanno portato ad un espandersi dei contratti flessibili. L'introduzione di nuove tipologie contrattuali e la rivisitazione in un'ottica di maggiore flessibilità di quelli già esistenti sono state finalizzate, da un lato ad andare incontro all'offerta di lavoro di segmenti giovanili e femminili della popolazione, dando loro maggiore possibilità di accedere al mercato del lavoro, anche se il rischio di restare bloccati in una persistente precarietà è alta; e dall'altro a soddisfare le esigenze dal lato della domanda, con l'utilizzo di modalità a termine che rappresenta un'opportunità per le imprese per accrescere la loro flessibilità produttiva e per selezionare la manodopera che assumeranno in modo stabile. Va fatta una riflessione sul fatto che la scelta di fare assunzioni temporanee non sia sempre strettamente legata a reali esigenze di flessibilità dovute al ciclo economico, ma più alla tendenza di ridurre il costo del lavoro e il costo opportunità legato alla possibilità di licenziare. Diversi indizi convengono nel confermare il paradigma delle carriere esterne, che vedono comunque la presenza di una stabilità dopo un tempo più o meno breve, e che si configurano come modalità di apprendimento di competenze finalizzato ad un ingresso stabile nel lavoro e anche come risposta al sotto-inquadramento che caratterizza la posizione del laureato nei primi anni della vita lavorativa.
Nel nostro paese le differenze territoriali persistono e questo dualismo è spiegato da fattori di vario genere: diverse attenzioni da parte dello Stato, diverse opportunità di lavoro, la difficoltà di inserimento al lavoro dei giovani; il ridotto numero di donne nel mercato del lavoro, anche nelle fasce centrali di età; la fuoriuscita anticipata dal lavoro, che alla soglia dei 55 anni fa crollare sotto il 50% il tasso di occupazione sia dei maschi che delle femmine. Dal 2008 si assiste all'inizio di una crisi finanziaria e poi industriale e questo provoca bruschi cali dell'occupazione e fa aumentare la disoccupazione, ma il segmento maggiormente colpito è quello dei giovani laureati, che avendo contratti flessibili, vengono lasciati a casa più facilmente e senza nessun tipo di protezione da parte dello Stato. Il conseguimento degli studi universitari sembra condizione necessaria, ma non sufficiente perché il lavoratore disponga di capacità compatibili con le caratteristiche del mercato del lavoro e spendibili con successo. Inoltre le generazioni più recenti si trovano a dover fare i conti con uno stock di laureati e quindi la laurea non garantisce più l’automatico posto di lavoro, ma occorrono molte altre qualità associate. Il legame tra percorso di studi e destino professionale è oggi più debole che in passato, sempre meno la laurea si associa all’esercizio di una determinata professione a cui il titolo consenta l’accesso. Il possesso di un determinato titolo di studio non è un requisito sufficiente per l’esercizio di una professione e non è neanche garanzia di un ingresso nel lavoro in una posizione qualificata. L'esperienza è per le imprese un valore centrale e ad oggi viene richiesto un mix di competenze tecniche ed esperienza. Ecco spiegata la tendenza all'acquisizione di ulteriori credenziali oltre a quelle offerte dal titolo universitario, che è indotta da una serie di fattori: la difficoltà di trovare occupazioni qualificate e coerenti con il titolo universitario, il ricorrente richiamo da parte dei mezzi di comunicazione alla sfasatura tra domanda e offerta di competenze e all'inadeguatezza del sistema dell'istruzione superiore rispetto alle competenze richieste dalle imprese, l'ampliamento dell'offerta formativa e la conseguente diversificazione dei titoli ha contribuito a diffondere l'importanza della specializzazione e non meno la crisi in atto.

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1. Il mercato del lavoro 1.1. Classificazioni e fattori che ne regolano il funzionamento Il concetto di mercato del lavoro è utilizzato di norma per indicare l'insieme dei meccanismi che regolano l'incontro tra i posti di lavoro vacanti e le persone in cerca di occupazione e che sottostanno alla formazione dei salari pagati dalle imprese ai lavoratori. Oggetto di studio multidisciplinare, il mercato del lavoro può essere considerato sia da un punto di vista economico che da un punto di vista sociologico . • Il primo approccio si basa prevalentemente sull'analisi del meccanismo di mercato di domanda/offerta che regola lo scambio di lavoro in maniera sostanzialmente analogo a qualsiasi altra merce. Ogni individuo sceglie i propri comportamenti in base a calcoli razionali, sui quali non influiscono né le relazioni con gli altri e né il contesto socioculturale, l'utilità da massimizzare è il guadagno pecuniario, il mercato del lavoro è concorrenziale poiché vi sono molti compratori e venditori e in equilibrio perchè il salario eguagli ala domanda e l'offerta. • L'approccio sociologico, invece, si focalizza sui meccanismi istituzionali che regolano lo scambio di lavoro in contesti storico-geografici specifici. Viene posto l'accento sul fatto che ogni individuo è inserito in un contesto che influisce e l'azione umana non può essere ridotta solo a motivazioni pecuniarie. Il mercato del lavoro è un luogo teorico dove vige il criterio della concorrenza e dell'equilibrio ottenibile grazie al sistema dei prezzi. Il massimo equilibrio possibile corrisponde alla situazione di pieno impiego. La persistenza della disoccupazione nei paesi sviluppati, è spiegata dal fatto che il livello dei salari è sempre superiore a quello di equilibrio tra domanda e offerta di lavoro. -Il mercato del lavoro- 1

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