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Il rapporto tra l'io e gli altri in Heidegger e Sartre

La tesi si propone di esaminare in che modo si connotino i rapporti tra gli individui secondo Heidegger e Sartre, i due maggiori esponenti dell’esistenzialismo.
Nel primo capitolo, prendendo le mosse dall’analitica esistenziale elaborata da Heidegger in Essere e tempo, viene tracciato un quadro dell’Esser-ci (l’individuo), delle sue strutture ontologiche (la Cura, l’essere-nel-mondo, il con-essere, la deiezione) e delle questioni di fondo che concernono la sua esistenza (l’alternativa tra vita autentica e inautentica, la voce della coscienza, il vivere per la morte). Su questa base si illustra come i rapporti interindividuali si connotino nell’ambito della vita inautentica e della vita autentica. Ci si sofferma inoltre su quella che è, per il filosofo tedesco, la sostanziale solitudine dell’individuo, il quale, pur vivendo nella dimensione dell’essere-con-gli-altri, si scopre solo al momento di prendere quelle decisioni dalle quali dipende la sua esistenza, e innanzitutto la decisione con la quale sceglie di abbandonare l’inautenticità per condurre una vita autentica.
In maniera analoga, nel secondo capitolo si chiariscono i caratteri fondamentali del per-sè, corrispettivo sartriano dell’Esserci, ponendoli in rapporto all’ontologia formulata nell’Essere e il nulla. Ci si sofferma sull’esperienza dell’esser-guardati come esperienza rivelatrice degli altri. Si mostra come per Sartre le relazioni interindividuali siano di tipo conflittuale, e come anche l’individuo sartriano sia fondamentalmente un individuo solo, condannato ad essere libero e a prendere del tutto autonomamente, senza alcun sostegno, ogni decisione.
La tesi prosegue con un confronto critico fra la concezione dei rapporti interindividuali offerta da Heidegger e quella elaborata da Sartre. Vengono messe a confronto le dimostrazioni che i due filosofi danno dell’esistenza di altri individui al di fuori di noi e si analizzano le diverse sfumature che presenta la solitudine connaturata all’individuo in Essere e tempo e nell’Essere e il nulla.
Il quarto capitolo si propone di chiarire se l’esistenzialismo di Heidegger e Sartre sia passibile di uno sviluppo etico, e se partendo dai suoi presupposti si possa o meno elaborare una morale intesa come complesso di norme e regole sulle quali improntare il vivere con gli altri onde raggiungere una pacifica convivenza. Si cerca poi di vedere se sia possibile istituire un rapporto tra le concrete scelte politiche fatte dai due filosofi e il loro pensiero.
Non si può ravvisare un rapporto forte, di causa-effetto, tra l’esistenzialismo di Heidegger e la sua adesione al nazismo, ma si possono al massimo rilevare alcuni nuclei ideologici comuni (la critica alla massificazione della società moderna, l’ideale di una comunità organica fortemente coesa). Ad Essere e tempo è tuttavia connaturata una carenza etica di fondo. L’analitica esistenziale non sarebbe in grado di fondare un’etica normativa nel senso prima specificato, e proprio questa carenza potrebbe aver favorito l’adesione a un movimento come quello nazista, basato sulla violenza e sulla violazione di ogni libertà e dignità umana. In tal senso, prendendo in esame la Lettera sull’umanismo (1947), si pone in rilievo come tale carenza etica non sia venuta meno nel pensiero heideggeriano neanche dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Parimenti, si mostra come anche l’esistenzialismo di Sartre presenti nella sua formulazione originaria una decisa carenza etica. L’essere e il nulla conduce a un sostanziale nichilismo, nel quale l’assenza di Valori trascendenti e l’assoluta libertà dell’individuo privano quest’ultimo di qualunque punto di riferimento e approdano alla teoria dell’equivalenza di tutte le azioni. Diversamente da Heidegger, la grande strage della seconda guerra mondiale e gli orrori nazisti portano però Sartre a modificare il proprio pensiero per dotarlo di uno sviluppo etico. Nell’Esistenzialismo è un umanismo (1946), Sartre cerca di innestare sul suo esistenzialismo la morale kantiana, finendo per individuare nell’imperativo categorico il principio fondamentale dell’etica, e riuscendo così a superare il suo originario nichilismo.
Nell’ultima parte della tesi si mostra come anche l’adesione di Sartre al comunismo sovietico non sia ricollegabile alla sua filosofia, radicandosi piuttosto nella necessità di dare risposte concrete ai problemi che il panorama politico del secondo dopoguerra poneva. Si cerca in tal modo di far emergere come le scelte politiche di Heidegger e Sartre non siano state condizionate dal loro esistenzialismo.

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1. L’essere e il nulla tra ontologia e psicologia. È la volontà di costruire una compiuta ontologia a stare alla base dell’Essere e il nulla 1 , opera pubblicata da Sartre nel 1943. Sedici anni prima Heidegger, in Essere e tempo, aveva già delineato gli strumenti teoretici atti a portare avanti una ricerca sull’essere. Il filosofo tedesco aveva infatti individuato nella «fenomenologia» (nel suo significato originario di “lasciar vedere da se stesso ciò che si manifesta, come si manifesta da se stesso” 2 ) il metodo che avrebbe dovuto seguire l’indagine ontologica onde raggiungere il suo fine, ovverosia la messa in chiaro dell’essere in quanto essere 3 . Sartre, nell’Essere e il nulla, pare quasi riprendere il progetto heideggeriano che, come sappiamo, in Essere e tempo non aveva avuto adeguato sviluppo. E, servendosi del metodo di ricerca che da Heidegger era stato approntato, egli ritiene di poter portare a compimento proprio quel percorso teoretico che in Essere e tempo si era interrotto a metà strada. Non è dunque un caso che L’essere e il nulla sia sottotitolato Saggio di ontologia fenomenologica e che l’esigenza principale cui tale opera risponde sia quella di individuare e analizzare quante e quali siano le tipologie dell’essere 4 . È proprio nell'ambito di una tale analisi che si inquadra, come vedremo tra poco, il problema degli altri. Ora, se in Essere e tempo la polemica anticartesiana costituiva uno dei nuclei speculativi di fondo, diverso è il caso dell’Essere e il nulla. Non solo Sartre non conduce in tale testo una critica al cartesianesimo, ma dalle basi del suo argomentare si capisce come Cartesio e il suo cogito rappresentino, per il pensatore francese, il punto di partenza di ogni filosofare che voglia poggiare su delle fondamenta solide. L’unica certezza apodittica che l’individuo possiede, certezza dalla quale deve quindi 1 J.-P. Sartre, L’Être et le Néant. Essai d’ontologie phénoménologique, Gallimard, Paris 1943; trad. it. di G. Del Bo rivista da F. Fergnani e M. Lazzari in L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1997. 2 Essere e tempo, trad. cit., p.55. 3 In Essere e tempo, il ruolo della fenomenologia come metodo che la ricerca sull'essere deve seguire se vuole giungere a buon termine emerge con tutta chiarezza dalle parole di Heidegger. “L’ontologia e la fenomenologia non sono due diverse discipline che fanno parte della filosofia assieme ad altre. I due termini denotano entrambi la filosofia, nel suo oggetto e nel suo procedimento. La filosofia è ontologia universale e fenomenologica…” (Essere e tempo, trad. cit., p.59). 4 Si veda a tal proposito P. A. Rovatti, Che cosa ha «veramente» detto Sartre, Ubaldini Editore, Roma 1969, p.38.

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