La psicoterapia di gruppo con pazienti psicotici e borderline. Esperienza d'èquipe in una C.T.R.
La sofferenza umana, specie quella che nasce dal profondo dell’anima, contiene in sé il germe della verità: basta saperla «ascoltare», ed essa rivelerà ad ogni uomo il senso della propria esistenza.
Come Fromm E., (1979), ci ricorda: «La psicoanalisi è precisamente “l’arte di ascoltare”, e, al tempo stesso, la strada che conduce alla realizzazione personale. […] La psicoanalisi non solo è in grado di curare le malattie, ma contribuisce anche alla libertà interiore dell’uomo; non è soltanto una terapia che elimina i sintomi, ma è soprattutto una via per la crescita delle forze individuali» .
Ma per raggiungere quest’ultimo obiettivo – spiega Fromm – occorre smascherare la natura illusoria dei miti della società moderna, che giorno dopo giorno attentano all’autonomia e alla libertà dell’individuo, inducendo ad abbandonarsi al conformismo ed a un modello di comportamento preordinato.
Fromm ci ricorda che la cosa più importante è che l’individuo rinunci al narcisismo e alla distruttività e ricerchi, in ogni suo atto, l’autenticità.
E, anche nel caso dell’approccio alle psicosi, è di fondamentale importanza avvicinarsi ad esse prendendo in considerazione l’autenticità e la verità dell’esperire psicotico.
La fondamentale situazione della mancanza di prospettive esistenziali, che si osserva nella maggior parte dei modi di esperire psicotici, ci pone ad impegnarci con l’intera nostra esistenza personale.
Bisogna immettersi nel percorso di una scienza che nasce sul fondamento dell’incontro e nella quale è insita una dimensione ermeneutica.
Il quadro psicopatologico del paziente si delinea nel modo in cui lo vede lo psicoterapeuta, e nella sua particolareggiata strutturazione contiene anche e sempre la persona di quest’ultimo, che in tale strutturazione è direttamente coinvolto grazie all’esperienza della resistenza del paziente e al rischio che gli sforzi profusi nei suoi confronti risultino vani.
Un quadro psicopatologico “oggettivo” del paziente indipendentemente dalla persona dello psicoterapeuta non esiste.
Dunque, nei capitoli della mia tesi, alla descrizione della psicopatologia seguirà sempre il tentativo di una risposta psicoterapeutica.
Da un punto di vista meramente psichiatrico una simile descrizione sarebbe incompleta e imprecisa.
Infatti, durante la mia esperienza, per me nuova ed estremamente interessante, si è fatto sempre più chiaro che per la psicoterapia è essenziale il retroterra personale e che essa procede in maniera molto meno specifica ed obiettivante della psicopatologia.
Ogni psicoterapia, dunque, mira ad una psicologizzazione anche di ciò che è apparentemente incomprensibile, mentre la psicopatologia, per sua natura, intende circoscrivere l’abnorme e distinguere con la massima nettezza ed universale validità possibile tra sindromi, stati, malattie psichiche differenti.
Dunque ho voluto mettere in rilievo che sono importanti entrambe le cose: sia l’orizzonte psicologico-universale dello sguardo del terapeuta, che consente di comprendere e trattare le diverse forme d’esistenza dell’uomo psicotico, sia il “centro” psicopatologico dal quale prendere le mosse.
Ciò che è sorprendente ma anche assai significativo è, tuttavia, il fatto che è possibile operare con i modelli più diversi e che perciò anche le terapie più diverse hanno efficacia.
L’interesse della psicoanalisi per i disturbi mentali gravi è antico quanto la psicoanalisi stessa.
Per l’orientamento psicoanalitico la psicosi ha costituito un terreno di confine dove si sono storicamente avventurati pochi pionieri.
Attualmente lo sviluppo della clinica psicoanalitica consente di affrontare questo tema con più fiducia nelle possibilità di successo.
A tal fine si sono messi a punto modelli che valorizzano il campo contestuale e l’idea che il setting debba disporre di caratteri di notevole duttilità, adattabilità e possibilità di modulazione, per venire incontro ai bisogni relazioni dei pazienti psicotici.
Nel caso del paziente grave, l’analista deve costruire e mettere a disposizione del malato uno spazio attrezzato (assimilabile all’holding environment di Winnicot), che permetta al soggetto di mettere in scena le sue relazioni oggettuali rigide e drammatiche e al tempo stesso di viverne di nuove, caratterizzate da livelli di empatia e disponibilità, per il paziente stesso fino a quel momento sconosciute.
Questi modelli riassumono le qualità delle coordinate mentali necessarie all’analista per affrontare l’incontro con il paziente grave e per superare la dicotomia tra attività in seduta e attività fuori seduta, offrendo indicazioni per entrambe, nel rispetto della indispensabile specificità di ognuna.
Una sfida, infatti, si proporrà sempre a noi tutti, la sfida di non semplicemente accettare la malattia, la sofferenza, la disperazione del nostro prossimo, bensì di tentare di guarirle.
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Informazioni tesi
Autore: | Federica Vano |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Elena Prof.ssa Acquarini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 247 |
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