La psicosi e la cura in istituzione. Considerazioni cliniche a partire dal pensiero di Lacan e da un'esperienza di tirocinio in due comunità psichiatriche
La follia come vertigine dell'esperienza umana, come una delle sue possibilità più intime, non rientra nel campo delle disabilità, ma di un altro rapporto col mondo, con sue categorie intimamente peculiari. Secondo Lacan è l'Altro, inteso come campo del Linguaggio e del Simbolico, che si sgretola nella psicosi, quindi non il soggetto; questi raccoglie le conseguenze di un mondo che per lui non si è umanizzato, non si è ordinato. In che modo lavorare per restituire al folle la sua dignità e una vita meno esposta? Come si configurano i luoghi che danno voce alla follia e lavorano senza quel furor sanandi che altro non è che una spinta all'invalidazione assistita o al riadattamento ortopedico e normativo? Esistono, soprattutto se esiste un'équpe che al suo interno sappia pensare, che sappia rispettare i tempi dei pazienti e che bonifichi al suo interno tutte le ambizioni narcisistiche. Un'équipe in viaggio, che non si valuti mai come arrivata a destinazione, animata al suo interno da quello che Lacan chiamava un "desiderio di sapere". La mia tesi nasce dall'esperienza maturata presso il Centro Diurno di Villa Bisutti (Pordenone) e la Comunità psichiatrica Madonna Nicopeja (Lido di Venezia)
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Informazioni tesi
Autore: | Daniele Pavese |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia clinico-dinamica |
Relatore: | Bruno Vezzani |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 165 |
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