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La dissociazione: un meccansimo di difesa lungo un continuum

La dissociazione è un meccanismo di difesa tramite il quale si affrontano conflitti emotivi o i fattori stressanti interni ed esterni, sovvertendo le funzioni normalmente integrate della coscienza, della memoria, della percezione di sé o dell’ambiente o del comportamento senso- motorio.
Il mio lavoro analizza uno dei modelli esplicativi più accreditati e utilizzati quando si parla di dissociazione: quello dimensionale, che dispone i fenomeni dissociativi lungo un continuum d’intensità. Ad un estremo ci sono i fenomeni dissociativi cosiddetti normali (come i sogni ad occhi aperti, gli stati di assorbimento di fronte ad un film o ad un libro particolarmente appassionante), poi ci sono i fenomeni dissociativi sperimentati di fronte ad una situazione traumatica (come un incidente stradale o un incendio- durante il quale la dissociazione ha una funzione protettiva perché consente di canalizzare l’attenzione e automatizzare il comportamento, lasciando da parte l’emotività e il dolore). Proseguendo lungo il continuum si trovano poi, episodi dissociativi d’intensità per così dire moderata, come le lacune mnemoniche transitorie, gli stati di derealizzazione e depersonalizzazione attivi durante gli attacchi di panico, l’alterazione d’identità di alcuni pazienti psichiatrici (per esempio ossessivi o bipolari). All’altro estremo mettiamo i fenomeni dissociativi patologici che danno luogo ai disturbi dissociativi (amnesia, fuga, disturbo diss d’identità, dist di deperson.) e che svolgono un ruolo importante anche in altri disturbi come il PTSD, il dist. acuto da stress e il disturbo borderline di personalità.
Quindi di per sé la dissociazione è prevalentemente una difesa contro le emozioni eccessive derivanti da esperienze traumatiche impossibili da fronteggiare e integrare nella coscienza ordinaria. Quando diventa la modalità esistenziale primaria della persona, tuttavia essa perde le caratteristiche adattive e protettive per diventare una vera e propria patologia. Ma soprattutto la dissociazione patologica è una delle conseguenze più tragiche dell’abuso infantile. Molti autori (tra cui Putnam) sostengono che circa il 97% dei pazienti con DID ha subito un trauma infantile; partendo da questo impressionante ma significativo dato sul trauma, molti studiosi hanno costruito teorie e ipotesi eziologiche. Tra queste una delle più affascinanti è quella di Liotti, che ha proposto un ipotesi di collegamento tra disturbi dissociativi e attaccamento disorganizzato. Il bambino con attaccamento disorganizzato produce nella Strange Situation espressioni del volto e posture che assomigliano a quelle di persona in stato di trance. Partendo dal presupposto che i comportamenti in questa situazione sperimentale, riflettono una conoscenza procedurale (cioè il modello operativo interno che regola l’attaccamento e la separazione da Fda è frutto di esperienze che non saranno mai ricordate singolarmente ma sottoforma di rappresentazioni) e dal presupposto che, le madri di questi b. con attacc. disorg. hanno solitamente alle spalle un lutto o un trauma non risolto; Liotti sostiene che, una madre spaventata a causa di un lutto non elaborato, incute con espressioni nel volto, paura nel b. che per uscire da questa paura “non risolvibile” entra in uno stato simile alla trance. Secondo Liotti la disorganizzazione dell’attaccamento è un fattore di rischio nell’esposizione ad un trauma o ad un abuso infantile perché la risposta al trauma comporta l’attivazione dell’attaccamento e del MOI che lo regola.

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6 INTRODUZIONE Questo lavoro nasce dalla volontà di coniugare attraverso l’approfondimento del tema “dissociazione”, aspetti della psicopatologia con l’analisi delle funzioni difensive normali. Cos’é la dissociazione? Per rispondere a questa domanda potremmo utilizzare diversi approcci teorici: l’approccio “descrittivo del DSM”, un approccio “definitorio” o un approccio “dimensionale”. Prima di accennare a queste tre diverse prospettive, è però opportuno soffermarsi sull’origine del termine dissociazione, traduzione inglese di William James del termine originale di “desagregation” proposto da Pierre Janet nel 1889, per descrivere la concezione della mente umana come naturalmente frammentata, tale per cui il naturale senso d’individualità proprio dell’uomo sarebbe l’esito di una specifica attività sintetica. E’ altrettanto utile ricordare l’opera svolta da Morton Prince, che per primo considerò il meccanismo della dissociazione come un fenomeno del funzionamento psichico normale e non solo come un meccanismo di difesa utilizzato da soggetti con gravi disturbi psichici. E’ proprio questa interpretazione della dissociazione intesa come modalità di funzionamento psichico presente in tutti gli esseri umani fin dalla nascita, la più accreditata dalle teorie recenti (Putnam, 2005). Obiettivo di questo lavoro è descrivere l’approccio “dimensionale”, che studia la dissociazione dalla prospettiva di un continuum di esperienza che va dal normale al patologico. I fenomeni dissociativi in questa ottica, “possono essere disposti lungo un continuum di intensità che riflette un ampio spettro di esperienze e/o di sintomi: ad un estremo possiamo porre esperienze dissociative di lieve entità, presenti nella vita di tutti noi, come sognare ad occhi aperti, perdersi in un libro o in un film, attraversare piccoli momenti di distanziamento; all’estremo opposto vi sono gli stati acuti di dissociazione e le forme conclamate di disturbo dissociativo, condizioni patologiche connotate delle funzioni integrative dell’io” (Lingiardi, 2001). L’approccio “descrittivo del DSM”, come anche la maggior parte degli approcci “definitori” concettualizza la dissociazione come ad un processo psicologico in cui si osserva “un’alterazione temporanea delle funzioni integrative della coscienza e dell’identità che produce nella persona un mancato collegamento tra pensieri, memoria, sentimenti, azioni e identità” (American Psychiatric Association, 1994). L’individuo affronta conflitti emotivi e fonti di stress interne o esterne attraverso una frattura (improvvisa, graduale, transitoria o cronica) nelle funzioni di

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