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L'autismo e i disturbi visuo-percettivi

Nella sindrome autistica si incontra un deficit della coerenza centrale: la percezione degli stimoli, così come anche l'azione, è frammentata e senza significato, in quanto non si riescono ad integrare le parti in un tutto coerente. Si è notato che la prestazione di bambini autistici in compiti visuo-spaziali è significativamente superiore rispetto ad altre prove. Questo fenomeno sarebbe generato dalla debole tendenza a integrare le parti di uno stimolo, o gli stimoli, e il loro contesto. Il primo capitolo di questo elaborato propone una panoramica generale sulla sindrome autistica, riassumendone le principali caratteristiche. Il secondo capitolo si concentra sulla percezione visiva e sulle ricerche più recenti riguardanti i disturbi visuo-percettivi dello spettro autistico. In particolare, verrà trattata la percezione di ombre, forme e volti, sottolineando la diversità tra processi globali e locali. In ultimo, verrà riportato un interessante studio del 2010 riguardante i neuroni specchio che confuta diverse teorie altrettanto recenti. Il terzo capitolo fornisce una sintesi delle teorie più accreditate sull'autismo e mette in luce gli elementi che le accomunano. Verranno poi presentate delle possibili terapie, come l'acquisizione della consapevolezza degli stati mentali, il rafforzo del controllo top-down e l'apprendimento per associazioni. Per concludere, l'ultimo paragrafo del capitolo si occuperà del talento savant, uno dei temi più affascinanti nella ricerca sull'autismo.

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2 Introduzione Introduzione Introduzione Introduzione Il bambino affetto da sindrome autistica appare, per la maggior parte delle volte, evidentemente diverso da bambini che presentano altri gravi disturbi dello sviluppo. La bellezza incantevole di cui spesso è dotato, che lo fa sembrare appartenente ad un altro mondo, nasconde in realtà un’anomalia neurologica devastante e di difficile individuazione. Autismo (dal greco αυτός, se stesso) letteralmente significa vivere nei termini del sØ, infatti, un osservatore può subito notare quanto un bambino in stato di autismo si mostri poco reattivo al mondo esterno e profondamente centrato su di sØ. Il paradosso, tuttavia, consiste proprio nella scarsissima consapevolezza del bambino autistico di essere un sØ. Il termine autistico venne introdotto all’inizio del ventesimo secolo da Eugen Bleuler (1911), uno dei fondatori della psichiatria moderna. Egli definiva con l’espressione chiusura autistica la difficoltà di relazione sociale delle persone colpite da schizofrenia, altro termine inventato dallo stesso Bleuler. I primi autori che ipotizzarono l’esistenza di una sindrome autistica furono lo psichiatra statunitense Leo Kanner (1943) e Hans Asperger (1944), anch’egli psichiatra che portava avanti i suoi studi a Vienna. L’articolo di Kanner (1943) intitolato Disturbi autistici del contatto affettivo è, a tutt’oggi, il riferimento piø citato in tutta la letteratura sull’autismo, mentre quello di Asperger (1944) Die autustischen Psychopaten im Kindesalter (Gli autistici psicopatici nell’età infantile), scritto in tedesco e pubblicato durante la seconda guerra mondiale, è stato in gran parte ignorato. Il tipo di bambino descritto da Asperger sembrava non avere nulla in comune con le descrizioni di Kanner, tuttavia le analogie sono progressivamente divenute evidenti. La definizione sindrome di Asperger è risultata clinicamente utile per identificare casi lievi di autismo. La sindrome di Asperger e l’autismo fanno parte di un insieme di disturbi che nei paesi di

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