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Disturbi del comportamento alimentare: Obesità infantile - Rassegna di metodi e strategie d’intervento

La tesi si propone di far luce su una patologia dell'oralità ancora fuori dall'interesse mediatico. La sofferenza del soggetto obeso viene spesso ostracizzata e sminuita, risentendo di una lettura medico-nutrizionale centrata sulla riabilitazione di un comportamento alimentare scorretto e di un peso adeguato. Tuttavia il soggetto obeso vive una sofferenza silenziosa ed intima, minimizzata e oggetto di derisione, che rappresenta una ferita che colpisce l'individuo nella sfera più profonda del sé. La tesi ripercorre le tappe di eziologia di tale disturbo, propone strategie di intervento e metodologie in grado di restituire voce a questa sofferenza.

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4 Cap 1: L’obesità infantile: un fenomeno in crescita 1.1 Mangiare e comportamenti alimentari L’atto nutritivo, nonostante sia considerato da tutti banale, è quello che definisce maggiormente l’essere umano in quanto onnivoro e dunque perennemente incerto tra due stili alimentari diversi: mangiare poco e spesso come gli erbivori, oppure molto e meno spesso come i carnivori? (Apfeldorfer, 1991) Entrambi gli stili, secondo gli etologi, hanno condotto l’uomo preistorico a prediligere una forma di vagabondaggio alimentare oppure il commensalismo. Gli animali che praticano il vagabondaggio mangiano in solitudine, ogni qualvolta sentono di averne la necessità; viceversa, gli animali che praticano il commensalismo mangiano in gruppo, seguendo delle regole socialmente condivise, e risultano essere i primati più evoluti (Apfeldorfer, 1991). Inoltre la predominanza della caccia nel tempo ha implicato una sempre maggiore intesa tra i membri del gruppo e una vita comunitaria più ricca. L’atto nutritivo, dunque, è divenuto nel tempo sempre più un fatto sociale, che segue modalità e ritmi precisi. Il comportamento alimentare è carico di significati sociali e privati, e si inscrive in una rete di scambi e di mediazione tra gli individui. «I “compagni” sono coloro che condividono il pane. Offrire e ricevere il cibo, mangiarlo insieme, significa riconoscere e accettare reciprocamente i legami che si stabiliscono o che si riaffermano» (Apfeldorfer, 1991). Così come rifiutare il cibo che viene offerto può rappresentare un’offesa, assumendo una connotazione aggressiva (basti pensare al digiuno ad oltranza di Gandhi per attirare l’attenzione del mondo sul problema indiano). Tutto ciò dimostra come il mangiare non rappresenti una semplice azione che attiene alla sfera della vita privata, ma un fatto sociale, attraverso cui è possibile riconoscere o negare l’altro. «Mangiare è impegnarsi in un rapporto. Rifiutare il cibo è un atto di rottura» (Apfeldorfer, 1991). Le religioni stesse, nel corso del tempo, hanno costituito l’esempio più riuscito di ritualizzazione del comportamento alimentare. È un esempio la religione ebraica, le cui regole alimentari sono state complicate sempre più nel tempo dalla tradizione orale e dai commentari rabbinici accumulati nel corso dei secoli (Apfeldorfer, 1991). Inoltre è bene ricordare come la modalità

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