Profili costituzionali del diritto alla difesa nel processo penale
La presente tesi ha ad oggetto la disamina del diritto di difesa nel processo penale, quale principio inviolabile riconosciuto dalla Carta costituzionale all’art. 24. L’interesse verso tale tema scaturisce dalla posizione di garanzia di questo rispetto a tutti i diritti fondamentali dell’uomo sanciti nella Carta Costituzionale e di baricentro dei mezzi di garanzia dei diritti e delle norme organizzative destinate a dare concretezza alla tutela della libertà.
Le problematiche sottese, dunque, al primo capitolo concernono anzitutto la costruzione teleologica di tale principio durante i lavori in Assemblea Costituente, avendo riguardo da una parte ai fondamenti linguistici di una formulazione –quale quella dell’art. 24 Cost. – che si contraddistingue per la sua ampiezza ed genericità, e dall’altra, al contesto storico, giuridico, sociale entro cui veniva ad immettersi una norma, che considerate le caratteristiche sopra citate, già riecheggiava l’apertura verso un modello ordina mentale aperto all’introduzione dei canoni internazionali che contemporaneamente si andavano diffondendo nel mondo occidentale.
L'art. 24 Cost. ha funzionato da chiave di volta e da collante tra la garanzia di tutela del diritto di difesa e la realizzazione della giustizia, quale diritto incomprimibile della persona umana, edificando così una norma di pari contenuto rispetto all’art. 6 della C.E.D.U. – all’epoca ritenuto di forza eguale alle leggi ordinarie – ma interno al nostro ordinamento ed inserito tra i principi supremi dello stesso.
Dopo aver esaminato le garanzie sottese all’art. 24 Cost., nel secondo capitolo è stato dapprima attenzionato il periodo di transizione del sistema giudiziario italiano avutosi nel corso degli anni novanta, avendo particolare riguardo alle peculiari contingenze verificatesi in quegli anni, alla diatriba sorta tra dottrina (e avvocati) e giurisprudenza sul significato di giusto processo, in assenza di una norma costituzionale che lo esplicitasse ed infine all’introduzione del rito accusatorio.
Più specificatamente, sono state prese in considerazione le c.d. sentenze “additive”della Consulta che hanno fondato sulla ricerca della verità, intesa quale specificazione del principio di non dispersione delle prove raccolte, anche al di fuori del dibattimento, la decisione giusta, e quindi quel giusto processo avuto di mira dal modello internazionale che con sempre più forza chiedeva la sua osservanza.
Il primato riconosciuto dalle pronunce dei giudici costituzionali al principio di non dispersione della prova, e quindi a quello dell’efficienza giudiziaria, sulle garanzie imposte dal contraddittorio, e più in generale, dal diritto di difesa e dall’egalitès des armes risultava intimamente dissonante con la cornice costituzionale di riferimento, la quale – per specifico intento dell’Assemblea Costituente – aveva anteposto nella scala gerarchica dei diritti la persona e i suoi diritti inviolabili.
Per tali motivazioni si è addivenuti alla riforma sul giusto processo con la legge cost. nr. 2 del 1999, la quale non solo ha consentito l’ingresso delle disposizioni proprie della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ma ha altresì fatto assurgere il principio del contraddittorio tra le parti, anche nella formazione della prova, a fondamento di tutti i procedimenti giurisdizionali, dissolvendo, quindi, definitivamente le ostilità di parte della magistratura che mal si era adattata al metodo dialettico di formazione della verità processuale.
Da ultimo, si è analizzato il quadro internazionale entro cui viene ad inscriversi la disciplina costituzionale, nel pieno convincimento della rilevanza che hanno avuto nel processo di riforma costituzionale italiana le pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che, rinunciando alla posizione elitaria pur posseduta, ha saputo con gran maestria accogliere in se stessa il principio più coerentemente democratico del dialogo con le altre Corti, e quella di Giustizia e le singole Corti nazionali, andando così a comporre un sistema mobile di diritto processuale, che racchiude in sé le grandi tradizioni giuridiche europee, di civil law e di common law.
Tanto equivale a significare che la Corte europea non solo si è posta come suo fine ultimo la effettiva realizzazione di un diritto ad un processo equo, ma, con le sue sentenze, ha altresì tracciato il percorso mediante il quale raggiungere tale obiettivo; in particolare sul tema delle prove, ha intrapreso l’iter di lenta ma costante omogeneizzazione dei sistemi processuali di matrice inquisitoria e accusatoria, al fine di soddisfare contemporaneamente le diverse esigenze del garantismo della posizione dell’imputato/indagato e del pieno accertamento dei fatti costituenti reato.
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Siciliano |
Tipo: | Tesi di Dottorato |
Dottorato in | Diritti umani, globalizzazione e libertà fondamentali |
Anno: | 2008 |
Docente/Relatore: | Gaetano Dammacco |
Correlatore: | ValeriaSannoner |
Istituito da: | Università degli Studi di Bari |
Dipartimento: | istituzioni, amministrazione e libertà |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 187 |
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