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La ragionevole durata del processo nel contesto della multilevel protection

Il problema della “ragionevole durata del processo” affonda le radici in un tempo molto lontano se si pensa che già nel Medioevo si parlava di lites immortales, nonostante che un processo durasse in media dagli otto ai quindici minuti.
Cercando di non arrestarmi alla superficie di questa locuzione, l’obiettivo sarà quello di approfondire quella che si può definire, senza timore di essere smentiti, una della più gravi patologie di cui è affetta la giustizia italiana, e più in generale la società italiana (visto il ruolo che l’ ordinamento giudiziario svolge all’interno di una data collettività), cioè la lentezza del suo funzionamento.
Da molto tempo e da più parti, si è acquisita consapevolezza dell’importanza di trovare una soluzione al problema, nel fermo convincimento che la ragionevole durata del processo sia un valore fondamentale da perseguire, perdendo infatti ogni significato la soluzione di una controversia che arrivi a distanza di molto tempo e quando ormai non serve più.
Volendo impostare il lavoro nel dare al problema della “ragionevole durata del processo” un orizzonte visuale non ristretto entro i confini nazionali, quello che di seguito tenterò di realizzare sarà un percorso che logicamente parte da quella che è stata, ed è tutt’ora, la considerazione del nodo spinoso della “giustizia-lumaca” (riprendendo un termine che più volte viene utilizzato nel commentare le numerosissime condanne che la Corte europea dei diritti dell’ uomo ha inflitto all’Italia sotto questo profilo), in prima analisi a livello nazionale, per passare poi a una dimensione sovranazionale dell’aspetto controverso.
In questo modo, nel primo capitolo si dedicherò ampio spazio all’evoluzione che il tema ha conosciuto, nel modo di essere impostato e considerato nella sua rilevanza, dalla Carta fondamentale del 1948, passando attraverso l’operato dei legislatori che, dall’ avvento della Repubblica, si sono succeduti, per giungere infine a considerare l’orientamento della Corte costituzionale. Sarà invece il secondo capitolo quello in cui si darà conto diffusamente dell’inquadramento della “ragionevole durata” fuori dai nostri confini, seppur con notevoli riflessi pratici nella vita quotidiana anche del nostro Paese, soffermando stavolta l’attenzione dell’indagine in particolar modo su quanto accade nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e più in generale all’ interno del Consiglio d’Europa, e anche a livello di Unione Europea.
Il lavoro proseguirà andando a studiare, nel terzo capitolo, il rimedio che nel 2001 il legislatore ha previsto per diminuire l’esposizione dell’Italia a livello sopranazionale; si tratterà, come avremo modo di dire più diffusamente, di un intervento volto non tanto a rendere ragionevole la durata dei processi quanto a soddisfare a livello monetario le pretese di chi si ritenga pregiudicato da un iter processuale eccessivamente lungo.
Per cercare poi di dare maggior completezza al lavoro, nel quarto capitolo, la mia intenzione sarà duplice: in un’ottica comparatistica procederò in una prima fase ad analizzare, con l’ausilio di alcuni grafici, i dati relativi al funzionamento delle giurisdizioni convenzionale, comunitaria e nazionale, in una seconda fase invece cercherò di analizzare quali possibili rimedi potrebbero essere praticati per far sì che quello della “ragionevole durata del processo” possa non restare un vuoto proposito ma riesca a trovare un proprio corrispondente nella realtà concreta.
Infine troverà spazio una “concessione” a una breve digressione processual-penalista, non a caso in appendice, finalizzata a cercare di cogliere alcuni degli aspetti e degli istituti del processo penale che hanno conseguenze sulla durata del processo e che, per come nella prassi si sono sviluppati, pongono la necessità di una riflessione e di un loro ripensamento per far sì che l’imputato non sia costretto a scontare anticipatamente la “pena” derivante dalla sottoposizione a un processo dall’eccessiva durata, con la conseguente violazione pratica di tutta una serie di garanzie di livello costituzionale che assistono il processo penale, prima fra tutte quella del principio di legalità della pena, art. 25 Cost., traducendosi nella realtà dei fatti l’eccessiva durata del processo in una sanzione che, pur non essendo positivamente prevista da alcuna legge e anzi stigmatizzata dalla previsione costituzionale dell’esatto contrario (cioè della ragionevole durata), affligge di regola la persona che si trovi imputata nel processo penale.

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INTRODUZIONE In questo lavoro cercherò di analizzare quelli che ritengo essere gli aspetti di maggior interesse riguardanti il tema della “ragionevole durata del processo”. il problema affonda le radici in un tempo molto lontano se si pensa che già nel Medioevo si parlava di lites immortales, nonostante che un processo durasse in media dagli otto ai quindici minuti. Cercando di non arrestarmi alla superficie di questa locuzione, l’obiettivo sarà quello di approfondire quella che si può definire, senza timore di essere smentiti, una della più gravi patologie di cui è affetta la giustizia italiana, e più in generale la società italiana (visto il ruolo che l’ ordinamento giudiziario svolge all’interno di una data collettività), cioè la lentezza del suo funzionamento. Da molto tempo e da più parti, si è acquisita consapevolezza dell’importanza di trovare una soluzione al problema, nel fermo convincimento che la ragionevole durata del processo sia un valore fondamentale da perseguire, perdendo infatti ogni significato la soluzione di una controversia che arrivi a distanza di molto tempo e quando ormai non serve più. Volendo impostare il lavoro nel dare al problema della “ragionevole durata del processo” un orizzonte visuale non ristretto entro i confini nazionali, quello che di seguito tenterò di realizzare sarà un percorso che logicamente parte da quella che è stata, ed è tutt’ora, la considerazione del nodo spinoso della “giustizia-lumaca” (riprendendo un termine che più volte viene utilizzato nel commentare le numerosissime condanne che la Corte europea dei diritti dell’ uomo ha inflitto all’Italia sotto questo profilo), in prima analisi a livello nazionale, per passare poi a una dimensione sovranazionale dell’aspetto controverso. In questo modo, nel primo capitolo si dedicherò ampio spazio all’evoluzione che il tema ha conosciuto, nel modo di essere impostato e considerato nella sua rilevanza, dalla Carta fondamentale del 1948, passando attraverso l’operato dei 5

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