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Disinformazione di guerra. Il caso Al Jazeera

Come è stato possibile far credere che un vecchio dittatore in declino, alle prese con un paese al collasso, potesse davvero costituire un pericolo imminente per la pace mondiale? E cosa ancora più singolare, come è stato possibile collegare questo personaggio con Osama bin Laden e gli attentati dell’11 settembre?
Guerra e informazione, disinformazione e guerra; la notizia nei contesti bellici e la sua distorsione sistematica sono le parole chiave intorno a cui ruota questa indagine. Ampio spazio, nella tesi, alla narrazione mediatica dei due conflitti iracheni. Cosa è cambiato e cosa è rimasto immutato rispetto all’operazione Desert Storm?
Il capitolo conclusivo, attua un cambio di prospettiva, focalizzando l’attenzione sulla rappresentazione della “guerra al terrorismo” vista attraverso lo sguardo dei mezzi di informazione arabi e in particolare del network satellitare Al Jazeera.
Vengono analizzate le implicazioni, i fattori positivi e le eventuali problematiche conseguenti alla diffusione di un punto di vista arabo autonomo e relativamente omogeneo, all’interno di un Mediascape non più interamente dominato dal monopolio occidentale dell’informazione.

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Introduzione Nonostante non sia mai stato efficacemente dimostrato che i rapporti intercorsi tra l'organizzazione terroristica Al Qaeda e l’Iraq siano stati diversi da quelli con lo Yemen, l'Arabia Saudita o lo stesso Pakistan, e dato ancor più sorprendente, nonostante lo stesso Bin Laden abbia più volte esternato attraverso i suoi minacciosi proclami l’odio profondo per il regime “infedele” di Saddam Hussein, secondo un sondaggio effettuato dalla CNN, alla vigilia dell’attacco all’Iraq il 76% degli americani era convinto che vi fossero prove attendibili di aiuti dell'Iraq ad Al Qaeda, mentre il 72% credeva che Saddam fosse coinvolto negli attentati dell'11 settembre. Le moderne armi di inganno di massa funzionano perché fanno affidamento su tecniche già sperimentate: la paura causata dal dopo 11 settembre, gli allarmi sul terrorismo e le deportazioni di massa; una coalizione di media che ripetono all'infinito le dichiarazioni ufficiali del Governo con scarsa analisi critica; l'uso di un linguaggio che nasconde o inverte i significati (ad esempio, “cambio di regime”, “liberazione”, “coalizione del Bene” e “asse del male”); e la sostituzione nella sfera pubblica degli intellettuali indipendenti con “esperti” autoproclamati istruiti da attrezzatissime agenzie di pubbliche relazioni, che applicano al “prodotto” “guerra” le stesse tecniche di marketing e comunicazione utilizzate per vendere un automobile o uno shampoo. La narrazione della guerra mostrata dai mass media americani, e di riflesso, come conseguenza del crescente processo di concentrazione del mercato editoriale globale, della maggior parte dei media occidentali, ci ha presentato una versione purificata del conflitto, asettica, quasi chirurgica. Le immagini trasmesse da tutte le televisioni presentavano per lo più visioni dall'alto, o da lontano, sui cieli in fiamme di Baghdad o sul paesaggio piatto del deserto solcato dalle sagome dei tank e dei blindati. Più un videogame che una guerra. 5

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