Hikikomori, dal Giappone all'Italia
Il termine giapponese “hikikomori” significa ritiro sociale e indica una modalità con cui alcune centinaia di migliaia di giovani hanno “deciso” di esprimere il proprio male di vivere. Sono adolescenti, in prevalenza maschi, che si sottraggono a tutto e a tutti chiudendosi nella loro stanza: non vanno più a scuola e non frequentano più nessuno, spesso si rifiutano anche di parlare con i propri familiari. Gli hikikomori,sono espressione di una società fortemente competitiva che lascia poco spazio all’iniziativa personale, in cui l’insuccesso è vissuto come un’intollerabile fonte di vergogna ed è spesso causa di emarginazione sociale. Approfondire la dimensione socio-culturale nipponica è pertanto fondamentale al fine di portare alla luce il rapporto esistente tra psicopatologia e manifestazioni culturali, cercando dunque di individuare gli stressor sociali che determinano il manifestarsi di questo fenomeno in un soggetto vulnerabile. La cultura è vista come una struttura specifica di origine sociale che contiene e rende possibile il funzionamento dell’apparato psichico. A tal riguardo, Beguin, già nel 1952, affermava che “si è folli in rapporto ad una data società”. Non può esistere, infatti, alcun processo psichico senza l’esistenza di un filtro culturale che fornisca gli strumenti necessari per l’interazione della persona con il mondo (Aguglia et al., 2002 pag.2645-72).
La società giapponese si basa su due concetti fondamentali, quello di amae (dipendenza) e quello di wa (armonia). La solidarietà e la dipendenza dall’altro come forma di controllo sociale, a discapito della libertà individuale, risultano essere i maggiori punto di contrasto tra la cultura nipponica e quella occidentale.
Quella nipponica è una “società della prestazione”, all’interno della quale la devozione passiva, il senso di obbligo (giri) e la vergogna (aimai) sono usati al fine di incrementare la capacità realizzativa dei suoi membri, e in cui l’individuo viene considerato solo come un “essere sociale” (social self) privo di una propria identità personale. Ed è proprio da questo svilimento che possono nascere forme di ribellione, anche silenziose, come il fenomeno “hikikomori”. Il recente interesse in Italia per questa patologia si è manifestato in seguito alla scoperta di alcuni casi nel Sud del paese, dove la struttura familiare di tipo matriarcale ripropone quella familiare giapponese. Secondo gli studiosi giapponesi la cultura giapponese e quella italiana sono accomunate dalla tendenza dei genitori a “trattenere” in casa i figli oltre una certa età. Questo fenomeno favorirebbe l’espressione del disagio giovanile attraverso l’autoreclusione, caratteristica dell’hikikomori, piuttosto che attraverso modalità maggiormente aggressive come il bullismo o i “comportamenti di branco”.Credo inoltre sia necessario considerare la possibilità che il fenomeno hikikomori sia il primo segnale di un disturbo più ampio all'interno della società odierna in generale. Non può essere solamente un caso il fatto che milioni di adolescenti, che vivono a migliaia di chilometri gli uni dagli altri, manifestino contemporaneamente i medesimi sintomi. L’hikikomori viene presentato come una modalità di espressione di un disagio che può differire da cultura a cultura, ma che potenzialmente può riguardare i giovani di tutto il mondo.
Al fine di comprendere al meglio questo fenomeno è necessario pertanto analizzare, non solo la patologia individuale che affligge i giovani hikikomori, ma anche i fattori socio-culturali che ne sono alla base ed i possibili fattori che vi contribuiscono. Nelle pagine seguenti metterò a confronto la realtà giapponese con quella italiana, esplorandone lo scenario culturale, sociale e famigliare al fine di trovare affinità e differenze tra gli hikikomori di entrambi i paesi, cercando così di comprendere perché questo fenomeno possa ormai essere riconosciuto come universale, caratteristico della società moderna.
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Informazioni tesi
Autore: | Federica Pezzulla |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Pavia |
Facoltà: | Medicina e Chirurgia |
Corso: | Tecniche della Riabilitazione Psichiatrica |
Relatore: | Francesco Barale |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 122 |
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