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La sessualità in scena

Questa tesi nasce da una sete di sapere legata a una fondamentale domanda di cui ignoravo la risposta: Proust conosceva i trattati medici dell’Ottocento sulla sessualità? Conosceva le opere di Kraff-Ebing, Charcot, Tardieu?
Non avevo risposte a queste domande e non sono sicuro di averle nemmeno ora, ma, avendo scelto la strada del contesto presupposto, nozione kristeviana, ho cominciato a interrogare i trattati e la Recherche in modo paziente e poi ordinato.

Nella Recherche c’è un continuo rimando all’universo medico, ben noto, e la descrizione degli invertiti in Sodome et Gmorrhe non lascerebbe dubbi sul fatto che Proust si fosse servito di quell’universo per la sua Opera.
La tesi, ho tentato di dirlo in questa introduzione, è costruita intorno a un ipotesi: se Proust ha letto, se Proust ha conosciuto; e ruota intorno a un altro se ancora più ipotetico: quale orizzonte d’attesa presuppone la Recherche, i primi lettori hanno recepito questi dialoghi che ho supposto? La nostra generazione è pronta per questo tipo di ricezione? Stiamo forse esagerando nell’applicare il metodo foucaultiano?
Questi, sono interrogativi che mi sono posto prima di iniziare questa tesi e che in parte, dissimulati, questa contiene.
Pochi critici hanno affrontato con rigore e serietà il dialogo tra Proust e i trattati medici dell’Ottocento; il loro disinteresse mi ha permesso così un po’ di libertà e forse qualche incoscienza.
Nella prima parte ho tentato di ripercorrere la complessa storia del discorso psichiatrico ottocentesco sull’omosessualità. Attraverso la lettura dei molti trattati sono riuscito a comprendere la portata sociale del discorso sull’inversione e la pericolosità della figura dell’invertito in un mondo che cercava di spiegare “sorvegliare” e “punire” ogni anomalia possibile. Questo soggetto a lungo cercato è infine identificato nell’omosessuale: anatomicamente anormale, socialmente inclassificabile, moralmente ripugnante.
Il soggetto omosessuale non è l’unica figura a-normale identificata dal sistema di potere psichiatrico: l’onanista, il sadico, il masochista e il feticista più di altri, sono soggetti da cui difendere la società. Attraverso la lettura di alcuni trattati e di alcuni momenti della Recherche ho potuto mettere in scena una doppia rappresentazione di queste figure perverse. Nella mia interpretazione, perciò, ho tentato di mettere in luce analogie e differenza tra il discorso medico e il discorso letterario.
Nella terza parte, infine, ho cercato di spiegare le molte figure che Proust utilizza per descrivere l’inversione; dai richiami biblici onnipresenti, al mondo della botanica fino al discorso medico che in Sodome et Gomorrhe sembra essere presente dappertutto.
Charlus e Albertine costituiscono due personaggi paradigmatici, esemplari creature proustiane, intaccate dal “vizio”, dalla bugia e dalla follia. La pazzia, rivelata nel Tempo, è la sola verità, forse, delle due infauste creature.

Questa tesi non intende concludere una ricerca che si vuole più lunga e approfondita ma rappresenta, invece, un primo momento, non per questo meno importante, di una riflessione che intendo allargare a campi del sapere tra loro apparentemente lontani che qui cerco di far “dialogare”.
Molte domande, forse, non hanno trovato risposte o forse ne hanno trovate tante e mi hanno talvolta disorientato ma, la mia tesi, lo ribadisco, non voleva forse trovare nessuna risposta: voleva discutere invece le molte domande che mi ero posto all’inizio delle mie ricerche e le altre che man mano che avanzavo nel mio lavoro mi ponevo.

Il corpo perverso è per Proust, come per la cultura del suo tempo, il corpo del male, del desiderio vittorioso; il suo erotismo è sempre colpevole così come i personaggi che incarnano la passione amorosa nella Recherche sono sempre delle vite mancate, bruciate dal fuoco della passione e della gelosia.
Scopriamo che non ci sono leggi generali, verità o bugie: ci sono invece tante scene che soltanto lette retrospettivamente possono acquisire un’unità chiamata Opera.
La sessualità in scena, poi, non è l’unità dell’opera, è solo uno degli aspetti che la attraversano, non mi sono illuso perciò di aver ritrovato le leggi di questa rappresentazione, ammesso che ce ne siano, ma di mostrarne alcuni esempi.
Ho tentato, in modo perverso, di contraddire le parole di Blanchot e di dare una possibilità all’interpretazione; di ritrovare una controfigura della sua unità.

La scrittura traccia, ma non lascia tracce, non autorizza il risalire, fondato su qualche relitto o qualche segno (…). In quanto tale, non è mai data, mai si costituisce o si riunisce in rapporto di unificazione con una presenza.
Vi è sempre qualche cosa che sfugge, che non permette il risalire e ritrovare l’unità dell’opera: nel mio caso a sfuggire era l’unità dell’opera proustiana e il soggetto perverso: opaco e marginale.

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