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La rappresentazione del ruolo femminile nei film e fiction di mafia: tra emancipazione e sottomissione

L’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di cercare di capire se esista o meno un cambiamento nel modo con cui vengono raccontate le donne in alcuni prodotti culturali sulla criminalità organizzata, cercando in particolare di capire come vengono rappresentate le donne e, se di emancipazione si può parlare, di che tipo di emancipazione si tratti.
La scarsità di studi che hanno analizzato la rappresentazione delle figure femminili nei prodotti culturali di mafia è ciò che mi ha spinto a prendere in esame questo aspetto, al fine di comprendere ancor meglio come le donne sono viste all’interno di un contesto criminale e come vengono rappresentate le dinamiche di genere interne a Cosa Nostra. Nella mia analisi ho fatto riferimento a diversi studi sul ruolo delle donne in contesto mafioso (Dino 1998, Siebert 1998, Ingrascì 1994, Puglisi 2005) che hanno messo in luce alcuni aspetti legati ai compiti che la donna ha nella famiglia e con i figli, oltre che i valori che è chiamata a rispettare in quanto appartenente a un contesto criminale ben preciso. Gli studi di Vegna (2017) e Buonanno (2013) sono invece stati utili perché hanno per prime osservato l’immagine delle figure femminili trasmessa in alcuni film e fiction di mafia.
I prodotti scelti in questo lavoro hanno tutti come soggetto Cosa Nostra e non altre forme di criminalità organizzata presenti sul territorio italiano: Camorra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita. Questa scelta è stata dettata sia dal fatto che i prodotti mediatici incentrati sulla criminalità organizzata generalmente rappresentano storie relative alla mafia siciliana, sia perché il binomio sottomissione/emancipazione che riguarda la donna di mafia è particolarmente interessante in Cosa Nostra (Vegna 2017), dove si possono trovare donne che in passato sembravano essere subordinate ma che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo e una posizione differente (Puglisi 2005). In Camorra e ‘Ndrangheta la situazione è peraltro diversa, in quanto le donne hanno in maggior misura ruoli di comando e prendono decisioni importanti al pari degli uomini (Saviano 2005; Pacifici 2015).

Nello specifico, nel primo capitolo vengono affrontate le diverse teorie e visioni che sono nate in relazione all’origine e allo sviluppo della mafia, dalle teorie “culturaliste” di Mosca, Schneider, Pitrè ecc., passando per le teorie economiche di Arlacchi, Gambetta e Catanzaro, fino alle teorie più recenti che hanno esaminato la mafia da un punto di vista multidimensionale analizzando diversi aspetti che hanno permesso di comprendere da un una prospettiva più competa il fenomeno. Successivamente è stato affrontato il ruolo della donna in contesto mafioso, i compiti e i doveri a cui deve adempiere, primo fra tutti l’educazione dei figli al fine di tramandare i valori di Cosa Nostra nel tempo, facendo riferimento agi studi compiuti dalle sociologhe già citate (Dino 1998, Siebert 1998, Puglisi 2005). Il capitolo si conclude con la metodologia utilizzata per l’analisi del binomio sottomissione/emancipazione femminile nelle figure osservate, andando a elencare le dimensioni a cui ci si è riferiti per l’analisi dei prodotti culturali.
Il secondo capitolo si occupa della subordinazione della donna in contesto mafioso attraverso l’analisi di alcune figure femminili tratte da tre prodotti culturali: “La siciliana ribelle”, “Placido Rizzotto” e “Angela” (2002). Dai primi due film in particolare sono state prese in esame le figure di Rosa Mancuso, Lia e la madre, che trasmettono l’immagine di donne completamente condizionate dal contesto in cui vivono. Con “Angela” invece è emerso un ruolo diverso della donna, più attivo e intraprendente, ma comunque sempre vincolata dall’autorità del marito mafioso.
Infine, nel terzo capitolo, dopo una breve introduzione sui cambiamenti che hanno riguardato la percezione della donna nella criminalità organizzata negli ultimi decenni, è stato trattato l’aspetto dell’emancipazione della donna di mafia, attraverso l’analisi di tre figure: Felicia Bartolotta (dal film “I cento passi”) e Rita Atria (dal film “La siciliana ribelle”), che, ribellandosi ai dettami mafiosi, hanno trovato un proprio affrancamento dalla morale di Cosa Nostra andando contro la famiglia di sangue, e Rosy Abate, dalla fiction “Squadra Antimafia”, in cui una donna è rappresentata ai vertici mafiosi con un ruolo e una posizione che sono al pari di quelli di un uomo d’onore.

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4 Introduzione Per anni il ruolo delle donne all’interno della mafia è stato trascurato dagli studiosi che si sono occupati del fenomeno, considerando queste ultime come un soggetto debole, incapace di azioni criminali e assoggettate alla volontà dell’uomo d’onore. Si tratta di una visione che ha avuto delle conseguenze anche sul piano giudiziario, al punto che fino al 1982 infatti le donne appartenenti a contesti mafiosi hanno generalmente goduto dell’impunità giudiziaria. 1 Con il passare del tempo il ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni criminali è tuttavia cambiato, e con esso si è modificata anche la rappresentazione che nei prodotti culturali che si occupano di narrare storie e fatti di mafia, si dà delle donne. Questo è avvenuto soprattutto come conseguenza del fenomeno del pentitismo che ha portato molte donne, mogli o sorelle dei pentiti, a parlare per la prima volta per sostenerli o attaccarli per la loro scelta, e al numero sempre crescente di donne coinvolte in attività di stampo mafioso che sono state arrestate e condannate dalla giustizia (Dino 1998; Puglisi 2005). L’obiettivo di questo lavoro di tesi è quello di cercare di capire se esista o meno un cambiamento nel modo con cui vengono raccontate le donne in alcuni prodotti culturali sulla criminalità organizzata, cercando in particolare di capire come vengono rappresentate le donne e il loro percorso di emancipazione, se di emancipazione si può parlare, e di che tipo di emancipazione si tratti. La scarsità di studi che hanno analizzato la rappresentazione delle figure femminili nei prodotti culturali di mafia è ciò che mi ha spinto a prendere in esame questo aspetto, al fine di comprendere ancor meglio come le donne sono viste all’interno di un contesto criminale e come vengono rappresentate le dinamiche di genere interne a Cosa Nostra. Nella mia analisi ho fatto riferimento a diversi studi sul ruolo delle donne in contesto mafioso (Dino 1998, Siebert 1998, Ingrascì 1994, Puglisi 2005) che hanno messo in luce alcuni aspetti legati ai compiti che la donna ha nella famiglia e con i figli, oltre che i valori che è chiamata a rispettare in quanto appartenente a un contesto criminale ben preciso. Gli studi di Vegna (2017) e Buonanno (2013) sono invece stati utili perché hanno per prime osservato l’immagine delle figure femminili trasmessa in alcuni film e fiction di mafia. I prodotti scelti in questo lavoro hanno tutti come soggetto Cosa Nostra e non altre forme di criminalità organizzata presenti sul territorio italiano: Camorra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita. Questa scelta è stata dettata sia dal fatto che i prodotti mediatici incentrati sulla criminalità organizzata generalmente rappresentano storie relative alla mafia siciliana, sia perché il binomio sottomissione/emancipazione che riguarda la donna di mafia è particolarmente interessante in Cosa Nostra (Vegna 2017), dove si 1 Fino a questa data infatti non si hanno mai avuto casi di donne condannate per associazione mafiosa, a causa dello stereotipo in vigore sulla donna ignara degli affari e delle attività criminali che ha condizionato la magistratura. Si credeva in particolare che le donne di mafia, nei casi i cui venivano colte in fragranza di reato, agissero per motivi legati all’affetto nei confronti dei famigliari e quindi venivano assolte perché non erano loro a decidere in prima persona (Vegna 2017). Nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre verrà invece affermata e riconosciuta la piena punibilità della donna.

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film
emancipazione
mafia
criminalità organizzata
fiction
sottomissione
figure femminili
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