Il ruolo dell'inetto e il suo riscatto

2 INTRODUZIONE Alla fine di questo percorso di studi, come tutti gli studenti, mi trovo di fronte alla pagina bianca della tesi. Per mesi ho meditato su quale potesse essere l’argomento da trattare ed esporre, anche oppressa dal ruolo che mi trovo ad interpretare nella vita. Sono docente nella scuola primaria. Per mesi mi sono dibattuta nell’incertezza e mi sono lambiccata il cervello, pensando a quale potesse essere il titolo ed il soggetto che mi avrebbero permesso di fare “bella figura”. Titoli astrusi mi si sono presentati di fronte, come fantasmi, alle quattro del mattino. Come disse qualcuno “Gli esami non finiscono mai”. Inutile dire che ho cercato e letto altre tesi, che ho domandato a chiunque quale potesse essere il modo migliore di lavorare. Ho ricevuto mille risposte esaurienti ed inutili. Alla fine, mi ritrovo sola davanti a questo computer. Fuori piove, sono un po’ triste, quale momento migliore per cominciare? Mi rivolgo ad un caro amico, che mi ha accompagnato per anni, di cui ho letto e riletto i libri, sempre con il pensiero di non averlo conosciuto davvero a fondo. Italo Svevo lo conosco da tanti anni, ne ho imparato a scuola la bibliografia quando me lo hanno imposto a scuola, avevo sedici anni. Ettore Schmitz invece, mi è completamente sconosciuto. Ho ricontattato Enrico, Emilio e Zeno in mille pomeriggi malinconici e mi sono sempre chiesta, cosa ne pensassero del ruolo a loro attribuito. Un ruolo quasi senza parole, colmo di pensieri: il ruolo dell’inetto. Al loro fianco, se così vogliamo dire, in un ruolo di comparsa, di antagonista, quasi, appaiono le loro donne, vivide, sconosciute nei loro pensieri, solo descritte e pensate. Sappiamo bene