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"The Red Shoes" - a production of The Archers

The Red Shoes è il film più conosciuto ed amato di Powell e Pressburger. Inglese il primo, ungherese emigrato a causa di Hitler il secondo, i due hanno costituito una sorta di eccezione all’interno del panorama del cinema inglese del secondo dopoguerra. Autori fin dalle loro prime esperienze insieme di film difficilmente classificabili nel consueto sistema dei generi cinematografici, gli Archers (questo è il nome che diedero alla loro società di produzione fondata agli inizi degli anni ’40) hanno sempre cercato di realizzare delle pellicole che fossero sia forme di intrattenimento popolare sia al tempo stesso film con alla base qualcosa che sfuggiva ai film inglesi loro contemporanei, cioè un costante rinvio a tematiche “alte” che andavano dal Mito all’Arte. Fra i diversi propositi che gli Archers si prefissavano, oltre a mantenere un’importantissima libertà creativa, c’era l’ideale di realizzare un film che costituisse una sorta di “partitura cinematografica”, idea fortemente influenzata dal Wort Ton Drama wagneriano, in cui il cinema fa da trait d’union fra arti e linguaggi diversi, come la danza, la musica e la pittura.
The Red Shoes è sicuramente il film che meglio riassume le idee che sono alla base del lavoro di Powell e Pressburger. Realizzato nel 1948, il film è tratto da una sceneggiatura dello stesso Pressburger che lui aveva scritto quasi dieci anni prima per Alexander Korda, che cercava un film di successo per sua moglie Marle Oberon. Questa prima versione dello script era decisamente più una tragica love story che non un film sulla danza e sull’Arte. Per una serie di motivi il progetto venne abbandonato, ma quando i neo costituiti Archers erano alla ricerca di un nuovo soggetto, si decise di riutilizzare questa vecchia sceneggiatura, attuando però una specie di cambio di segno: da storia d’amore con qualche inserto danzato di noti balletto di repertorio si passò ad un melodramma a forti tinte, in cui si mescolano arte, passione, sacrificio e morte.
Il punto focale di The Red Shoes è appunto la lunga sequenza danzata a metà film. Nel balletto, una Ragazza è invitata ad indossare delle bellissime scarpette rosse che però si rivelano essere stregate e che la costringono a danzare fino allo sfinimento e poi alla morte. Quello che nella favola di Andersen era simbolo di peccaminosa vanità , nel film diventa invece simbolo dell’ambizione che divora la protagonista. Nel corso del balletto si perde progressivamente la visione “teatrale” per passare a quello è stato definito un “balletto della mente”, che ad un certo momento diventerà soggettivo, dal punto di vista della psiche della protagonista, che si troverà a danzare con quelle che sono i suoi fantasmi e le sue paure. Alla fine la Ragazza morirà, anticipando quella che sarà la fine della protagonista del film, che si identificherà del tutto con il personaggio da lei interpretato. Questa anticipazione di morte si ha anche in altri momenti del film (questo gioco delle anticipazioni ritorna spessissimo nei film degli Archers con al centro protagoniste femminili fra gli anni ’40 e’50).
Tratto da una fiaba di Hans Christian Andersen, The Red Shoes è strettamente connesso con la Favola e con il Mito. La storia della fanciulla a cui vengono amputati i piedi inguainati nelle magiche scarpette rosse che la fanno danzare per punirne la vanità si rispecchia nel balletto omonimo che da il titolo al film e nella stessa vicenda della protagonista del film. Al tempo stesso l’essere divisa tra due mondi diversi rimanda in qualche modo al mito di Amore e Psiche (più volte presente nel film), che non è altro che una storia di un fanciulla mortale che, dopo aver superato numerose prove, è assurta nel regno degli dei. La dimensione mitica e fiabesca si ritrova anche nella messa in scena del film, in particolare nella sequenza dalla scalinata che conduce alla villa di Lermontov, in cui Vicky si trova profeticamente a salire una lunghissima scalinata che rimanda alla scalata che sta per compiere nel mondo della danza.
Come si è detto all’inizio, The Red Shoes è un film costruito secondo le forme e le strutture del cinema popolare, ma ha al suo interno una materia incandescente che lo eleva ben oltre il semplice melodramma cinematografico. Il messaggio del film è che l’Arte è qualcosa per cui si può morire; come dice Powell, “durante la guerra era lecito sacrificarsi per la libertà e per la democrazia, mentre ora The Red Shoes poneva l’Arte come valore degno di sacrificio. The Red Shoes è anche in qualche mondo un film sul cinema, sulla sua magia, che consente allo spettatore di andare oltre quelli che sono i limiti spazio-temporali del balletto teatrale.

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The Red Shoes: A production of The Archers Introduzione 1 INTRODUZIONE LERMONTOV: “The Ballet of The Red Shoes is from a story by Hans Christian Andersen. It is about a young girl who is devoured by an ambition to attend a dance in a pair of red shoes. She gets the red shoes and goes to the Ball. For a time all goes well, and she is happy. But at the end of the evening she is tired and wants to go home. But the red shoes are not tired. The red shoes are never tired. They dance her out into the streets, they dance her over the mountains and valleys, through fields and forests, through night and day. Time rushes by, love rushes by, life rushes by, but the red shoes dance on.” CRASTER: “What happens in the end?” LERMONTOV: “Oh! In the end she dies” 1 Come dice Michael Powell nella sua autobiografia, non c’è modo migliore di descrivere la trama di The Red Shoes se non con le parole del suo stesso creatore, Boris Lermontov. Undicesimo film del cineasta di Canterbury e dello sceneggiatore ungherese, e terzo con la dicitura “written, produced, and directed by Michael Powell and Emeric Pressburger”, The Red Shoes è certamente la loro opera più conosciuta ed amata, l’unica che abbia posto nelle varie storie del cinema. Il sodalizio creato da Powell e Pressburger non ha quasi eguali nella storia del cinema. 1 LERMONTOV: Il balletto delle Scarpette Rosse è preso da una fiaba di Hans Christian Andersen. E’ la storia di una ragazza che ha la suprema ambizione di andare ad un ballo con un paio di scarpette rosse. Ottiene le scarpette e va al ballo. Al principio tutto va bene e lei è felice. Ma alla fine è stanca e vuole tornare a casa. Ma le scarpette rosse non sono stanche. Infatti le scarpette rosse non sono mai stanche. La fanno danzare per le strade, la fanno danzare per monti e valli, per campi e foreste, la notte e il giorno. Il tempo fugge. L’amore fugge. Anche la vita fugge. Ma le scarpette rosse danzano ancora. CRASTER: E poi come finisce? LERMONTOV: Oh, alla fine lei muore. in: Michael Powell, A life in Movies, Faber and Faber, London, 2000, pp. 610-611

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Cecchini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze e tecnologie delle arti figurative, musica, spettacolo e moda
  Relatore: Veronica Pravadelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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Parole chiave

analisi del film
cinema
cinema inglese
danza
emeric
estetica del cinema
film drammatico
melodramma
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