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Variazioni sul fideismo: Montaigne e Pascal

Il presente lavoro (voto di laurea: 110 e lode) prende in esame il pensiero di Pascal e Montaigne mettendoli a confronto sui diversi piani filosofici (teoretico, politico, etico e religioso), con l'intento di mostrare un'ambiguità fondamentale all'interno del "cristianesimo del cuore" di Pascal che richiede una convergenza di fede e ragione, dalla quale deriva la frattura tra la sfera coscienziale\etica\religiosa da un lato, e quella politica dall'altro. Frattura ricomposta invece nel fideismo di Montaigne, nella sua "etica della coscienza" che, procedendo da uno scetticismo che sospende definitivamente il giudizio razionale, è complementare ad una religiosità basata unicamente sulla credenza, e in alcun modo sulla certezza razionale.

L’itinerario di pensiero di Pascal viene analizzato facendo costante riferimento alla sua presa di distanza dai Saggi di Montaigne in quanto presunta opera libertina e pagana, poiché è proprio dalle critiche rivolte alla figura dell’honnête homme, cara ai libertini, che trapela la tensione drammatica che attraversa la filosofia di Pascal e la lascia per certi versi irrisolta, dove il riscatto promesso nell’incontro con la grazia sembra prevedere un rinnovamento spirituale che non trova applicazione nella realtà mondana.
Nel primo capitolo si prende in esame il rapporto tra ragione e fede in Pascal, dividendo l’analisi in due sottocapitoli: il primo è relativo alla filosofia “atea”, rappresentata dagli indirizzi stoici e pirroniani, e ai paradossi ai quali conduce. A partire da ciò, si rende necessario l’esautoramento della ragione in favore della verità dell’antropologia cristiana, unica in grado di rendere conto della condizione di sproporzione e dislocazione dell’uomo, schiavo del divertissement. Si prende così in esame il rapporto tra ragione e fede in Pascal, la complessa questione delle diverse facoltà e modalità della conoscenza (il concetto di coeur, la dicotomia esprit de geometrie\de finesse, la lumiere naturelle…) in relazione alle caratteristiche del Dio cristiano e alla sua distanza dal Dio dei filosofi.
Il secondo capitolo tratta della politica di Pascal, a partire dal suo peculiare realismo cristiano e alla sua irriducibilità ai contrattualisti (Hobbes) o alla realpolitik (Machiavelli); si passa a valutare il suo “giusnaturalismo negativo”, nell’idea di una giustizia figurativa che prevede un’idea del “giusto” pur partendo da un profondo pessimismo (mutuato da Montaigne) che sancisce l’inconoscibilità della legge naturale. Il cap. si chiude con l’attestazione dell’inconciliabilità tra la religiosità del coeur e la giustizia figurativa, dove l’escatologia cristiana sembra destinata a risolversi in una sfera intima che condanna il “vero cristiano” ad un conformismo indifferente
Il terzo capitolo, relativo a Montaigne, inizia con l’analisi della sua antropologia scettica, anche alla luce del contesto storico e culturale. Si passa poi a mostrare come il pensiero di Montaigne appaia assolutamente irriducibile al lassismo libertino imputatogli da Pascal, dal momento che la fede cristiana si prospetta, piuttosto che adesione formale, come l’esito necessario dell’epochè scettica, prevedendo una complementarietà tra scetticismo filosofico e fideismo religioso, tra dubbio pirroniano e verità rivelata. Nel par. 3.3 si valutano le implicazioni etiche di questo pirronismo cattolico, mettendo in luce un’etica della coscienza e del possesso di sé, sostenuta dalla fede cristiana come credenza in un Essere distante, ma allo stesso tempo con un volto umano tale da potergli affidare il proprio destino. Si valuta, a partire da ciò, la tensione drammatica tra la ricerca introspettiva di una quiete nel possesso della coscienza e la consapevolezza del condizionamento sia in termini di costume e consuetudine che di collocazione ontologica nell’Essere. Tensione che rimanda all’ambivalenza del concetto di natura. Il par. 3.4 intende così dimostrare come, pur nel comune anti-giusnaturalismo, il pensiero di Montaigne permetta, diversamente da quello pascaliano, di rivalutare l’operato e l’impegno politico in virtù di un’etica sociale dove l’interesse per l’altro diventi il mezzo obbligato per acquisire e fortificare la propria coscienza.

La bibliografia conta 62 opere citate.

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3 INTRODUZIONE La crisi che attraversa i secoli XVI e XVII investe tutto il campo della cultura umana in forme così profonde che le istanze qui prodotte segnano l’arco intero del pensiero moderno e, a detta di molti studiosi, cercano ancora risposte nell’epoca contemporanea 1 . Il declino del Rinascimento coincide difatti con il tramonto di quella solidarietà tra valori politici, morali e religiosi, che caratterizza l’umanesimo in virtù di un fondamento religioso ancora avvertito come elemento condiviso che accomuna gli animi e gli intelletti della società europea. L’avvento della Riforma, causa e conseguenza della crisi rinascimentale, mette in discussione per la prima volta il metodo con il quale questo fondamento viene legittimato, aprendo di fatto quella che Popkin definisce la crise pyrrhonienne 2 . I dubbi insinuati da Lutero sul criterio di verità in materia divina, rappresentato fino a quel momento dalla tradizione ecclesiastica, porta a caricare la ragione e il libero arbitrio, ad essa correlato, di un peso insostenibile che, nella reazione di alcuni cristiani “ortodossi”, tra cui Erasmo, finisce per schiacciarli. Si spiega in questo modo il rinnovato interesse per l’antico scetticismo – conosciuto dagli intellettuali del ‘500 tramite l’edizione latina delle opere di Sesto Empirico – che sarà il tratto distintivo di un 1 Tra questi segnaliamo A.M. Battista, che rileva come la nascita dell’individualismo moderno, etico e politico, si debba alla crisi post-rinascimentale (Cfr. A. M. BATTISTA, Alle origini del pensiero politico libertino: Montaigne e Charron, Giuffrè, Milano 1966). 2 Cfr. R. POPKIN, La storia dello scetticismo. Da Erasmo a Spinoza, tr. it. di R. Rini, Anabasi, Milano 1995, p. 11.

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Parole chiave

politica
etica
cristianesimo
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libertinismo
pascal
montaigne
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