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Spirito e Polvere: Il Vitalismo nella poetica cinematografica di John Huston

Il temperamento indocile di John Huston si riscontra nei numerosi film che realizzò, attraverso il segno immarcescibile della sua particolarissima poetica: il Vitalismo. In tempi traumatici per il cinema, la deriva a cui tende auspica una duplice direzione: l’inclusione nelle anonime e stranianti forme della spettacolarità globale o una riformulazione profonda della sua coscienza artistica. Il Vitalismo di Huston fu anche la testimonianza di questo epilogo a cui strenuamente il cinema si trascina, e lo fu nella misura in cui diede dimostrazione della cessazione di un’epoca, del tramonto di un sole ormai irriconoscibile. L’era felice di una sana rissata in compagnia, di uno sguardo sornione ai fatti del mondo (si pensi al personaggio di Sam Spade, protagonista del Mistero del falco), di uomini agguerriti e leggendari è conclusa, come finito è il Vitalismo. Le storie, gli aneddoti, la spontaneità delle anime più pure, tradotta nei linguaggi estremi della parola, resta un miraggio, un’utopia per gran parte della civiltà contemporanea. Paradossalmente, il mondo attuale è molto più vitalistico di quello passato, ma solo se tale termine viene interpretato alla Bergson, in un’accezione non proprio hustoniana: la sua opera cinematografica non interroga il moto, la vitalità, l’impulsività irrefrenabile, l’euforia o l’esplosività umorale, ma si sofferma sulle rughe dei lavoratori, sulla passione dei padri per i figli, sul gioco tra fratelli, sul ruolo della morte nella vita, sulla vecchiaia, sulla terra, sullo spirito primigenio che sembra animare tutte queste posizioni dell’esistenza. Un grande slargo racchiude, in una sfera esterna alla nostra comprensione, l’arcano rapporto tra cinema e Vitalismo. Imprescindibilmente, una delle numerose linee di congiunzione è rappresentata dalla poetica cinematografica, dove il fare artistico di un autore assume un sublime significato, nutrendo e rigenerando il valore del dettame che lo assolve, lo contiene, cioè, il cinema stesso. Partendo, quindi, dalla necessita vincolante di ripensare l’abusato termine di “poetica” alla luce di questo nuovo intendimento finalizzato al recupero razionale di una rediviva “cultura cinematografica”, e costeggiando la riva di quella che non è solo una nozione esemplificativa del discorso (il Vitalismo), ci si appresta a scoprire la fondatezza dei rapporti qui dichiarati, la strategia sottintesa che li accomuna, l’uguale e sfortunato “destino” che, da sempre e incontrovertibilmente, li lega. La polvere, che per troppo tempo ha ricoperto l’evidenza di leggi naturali, richiede una sua rimozione: «il mutar delle cose c’è, ma non è in grado, oltre ad essere invisibile dall’esterno, di minare la corazza che lo custodisce. E’ comunque, non sarà l’arte a negare la strada delle “seconde idee”».

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5 INTRODUZIONE … Alla poetica cinematografica La poetica è la carta d’identità di un opera d’arte, precisamente è tutto quanto viene scritto nel campo “segni particolari”. La sua utilità è declamata:  La subitanea possibilità di farci largo e muoverci con agilità tra migliaia e migliaia di contenuti differenti e versatili.  L’aiuto fondamentale che ci consegna nello svolgere l’arduo compito del “riconoscimento”, dell’identikit di un testo (il termine è qui usato nella tradizionale accezione di “genericità” che ne dà la semiotica), di un autore, di uno stilema.  La sedimentazione, il fissaggio, come vero e proprio atto di memorizzazione solida, perspicace e ben schiarita, delle differenti monadi in cui vengono incastonati i vari “uomini dell’arte”.  L’inebriante convinzione di una sapientizzazione, ossia l’orgoglio e l’abilità di essere sempre pronti e preparati, in un modo che si prova a rendere più esteso e completo possibile, ad ogni chiamata in causa, ad ogni richiesta di chiarimento. Sembra trattarsi prima di tutto di un esercizio, di una facoltà mentale, e, di fatto, lo è. La sua primaria responsabilità consta nel permettere a chi la adopera di avere, in maniera lucida, ordinata, selezionata ed organizzata spazialmente, l’intera conformità ed enclosure di un sapere e di una cultura (cinematografica, nel nostro caso). In tutto ciò è però necessario non cadere e, soprattutto, non ricondurre le scoperte assimilate, ad una statica ed in-artistica fruizione di etichettature, un’attività categorizzante, un lavoro di stile, di cassetti e di pura mnemonica, ad una o più dottrine. La maggior parte dei critici 1 sostiene che le poetiche cinematografiche possano sorgere in qualunque periodo della storia di quest’arte; come tale potremmo assistere ad alcune poetiche cinematografiche che affiorano negli anni cinquanta, ad altre poetiche nuove e diverse che nascono nei novanta, ed altre ancora, mai viste e di rottura, destarsi negli anni duemila (le 1 I pochi nomi di poetica cinematografica “ufficialmente” diffusi e valorizzati (il montaggio delle attrazioni, il metodo dialettico di Ejzenštejn, l’empirismo eretico di Pasolini) provengono: o da una definizione diretta dell’autore (come negli esempi qui citati) o dalle riflessioni relative e personali di qualche critico o di un testo specifico, che per questo non vengono condivise unanimemente dal mondo degli addetti ai lavori, e dunque risultano prive di una seria e apprezzata scientificità.

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Informazioni tesi

  Autore: Enrico Caruso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Monica Dall'Asta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 90

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Parole chiave

cinema
neorealismo
irrazionalità
spirito
bertolucci
preghiera
vitalismo
john huston
cinema novo
poetica cinematografica

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