Programmi di responsabilità sociale e immagine dell'impresa postindustriale
Se, come risulta da una recente ricerca, nel 2001 quasi la metà delle aziende italiane medio/grandi si è impegnata socialmente, e il livello complessivo delle elargizioni filantropiche ha oltrepassato i 1.500 miliardi delle vecchie lire, viene da chiedersi come mai oggi le imprese dedichino così tante risorse ad attività che travalicano la loro dimensione strettamente economica e le loro finalità utilitaristiche.
La rilevanza e la novità del tema meritano una risposta, che parta dalla definizione di “programmi di responsabilità sociale” attribuita dalla scienza economica a tutte quelle iniziative a sfondo sociale, umanitario, scientifico, culturale e artistico che le imprese sviluppano autonomamente o appoggiano per il tramite di istituzioni diverse, al fine di migliorare il livello di vita della collettività nel cui contesto esse sono inserite e operano.
L’interesse e l’attenzione per tali attività deriva dalla consapevolezza presente presso un numero sempre maggiore di aziende che il preoccuparsi di favorire lo sviluppo e il benessere della comunità sia oggi una necessità. Questo ruolo è sintetizzabile nel concetto di “buona cittadinanza d’impresa”, secondo cui l’operato aziendale va innanzitutto valutato come derivante da un membro della collettività e solo successivamente come frutto di un’unità produttiva. Nel quadro di tale visione, le imprese si pongono con le proprie risorse economiche, tecniche ed esperienziali al fianco di uno Stato che si ritira progressivamente dal sociale e di enti non profit, espressione di uno sviluppo senza precedenti del Terzo settore, per realizzare progetti di interesse pubblico nei più svariati campi, dalla sanità alla formazione, dalla salvaguardia ambientale all’assistenza, dalla tutela dei diritti umani alla soluzione delle problematiche sociali, dalla cultura all’arte.
Sono in primo luogo i consumatori, divenuti più “consumatori/cittadini” che semplici “consumatori/clienti”, a chiedere che responsabilità economica e responsabilità etico/sociale siano finalmente armonizzate nell’agire imprenditoriale, e ad accogliere quindi con grande favore l’idea che le imprese possano promuovere o partecipare a iniziative sociali all’interno della comunità, valorizzando anche il coinvolgimento delle cause sociali nel marketing dell’impresa.
L’apporto delle imprese verso la comunità può concretizzarsi in molte forme diverse, dalla semplice donazione al coinvolgimento del personale aziendale in progetti esterni di volontariato, dalla sponsorizzazione culturale e ambientale, al cosiddetto cause related marketing.
I programmi di responsabilità sociale non possono allora più essere equiparati alla beneficenza o alla semplice e disinteressata filantropia. Il tempo della carità e dell’assistenzialismo, o del mecenatismo usato quale sistema un po’ paternalistico per dar prova della propria potenza economica, ha lasciato oggi il posto a quello dell’investimento sociale, con ritorni certi sia per la società che per l’impresa.
Dall’impegno a favore della comunità essa può infatti trarre vantaggi diretti e indiretti, interni ed esterni. Nelle diverse circostanze la filantropia aziendale è in grado di assumere le caratteristiche di uno strumento strategico o tattico, permettendo la predisposizione di un “contesto facilitante” allo svolgimento delle attività dell’impresa e il conseguimento di un significativo vantaggio competitivo, soprattutto in termini di valorizzazione dello status sociale e dell’immagine dell’impresa.
La responsabilità sociale è destinata ad acquisire una crescente rilevanza ai fini di una buona immagine aziendale, e, a cascata, anche nelle scelte di acquisto dei prodotti.
I programmi di responsabilità sociale possono fungere, se ben utilizzati, da straordinari strumenti grazie ai quali costruire consenso attorno all’impresa e al suo operato, senza più i falsi ammiccamenti derivanti da quel far vedere quanto “sono bello, bravo e buono” con certe operazioni di facciata, dietro a cui si nasconde una “fedina sociale” sporca, o con certe comunicazioni slegate dalle pratiche concrete (quando in realtà “ti voglio fregare”). Il comportamento etico può essere un imbroglio, ma nel qual caso si ritorcerà contro chi lo mette in atto.
Detto questo, si può concludere affermando che è auspicabile che ciò che scorre sotto la superficie di questa nuova moda del socially correct non sia una corrente passeggera pronta a ritornare nei ranghi alla prima avvisaglia di insuccesso, buona finché permarrà la convenienza commerciale, ma una tendenza e un cambiamento così profondo, da influire in modo decisivo sulla società nel suo complesso, e sull’impresa, in particolare, nel momento in cui questa si trova a dover pensare alle sue politiche e alle sue scelte di intervento.
Tutto ciò è in parte una speranza, in parte una proposta, ma in buona parte anche una tendenza destinata a rafforzarsi sempre più e dare i propri frutti a coloro che sapranno coglierla.
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Informazioni tesi
Autore: | Paolo Facini |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della Comunicazione |
Relatore: | Marcello Morelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 172 |
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