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Mito, Anima, Immaginazione, Cosmologia: un Itinerario in James Hillman

James Hillman era il maggiore allievo di Jung, direttore dell’omonimo istituto, e fondatore della “psicologia archetipica”, importante corrente psicanalitica (denominata anche “psicologia culturale”, per l’insostituibile importanza che tale indirizzo assegna alla “cultura”: letteratura, mitologia, religioni, filosofia, storia dell’arte) complementare e per molti versi contrapposta alla scuola “freudiana”, e collaboratore (spesso amico) di alcuni dei più stimolanti autori contemporanei di discipline umanistiche. Sorprendentemente, nonostante Hillman sembri essere un autore molto letto, scarsissime (per non dire nulle) sono le letture critiche a lui indirizzate, e spesso assai deludenti dal punto di vista teorico: sembra che Hillman venisse osannato in maniera pressoché acritica dai suoi fans (lettori comuni o psicoterapeuti) o pesantemente frainteso dai filosofi (o comunque dai lettori “colti”, che raramente ne conoscono tutta la proficua produzione, e che sembrano non prestare attenzione alle stimolanti e corpulente indicazioni bibliografiche che concludono i suoi lavori). Abbiamo quindi intrapreso un’indagine teoretica, conoscitiva ed interpretativa dell’opera di Hillman, sollecitandola, interrogandola e forzandola a rispondere a delle domande filosofiche, sia mettendone in relazione l’opera con altri autori, appartenenti a tradizioni diverse dalla sua, sia sviscerando i suoi presupposti filosofici, magari estremizzandoli o ricavandoli direttamente dagli autori che li hanno ispirati. Si è avuto così che l’iniziale, immediato, “disappunto” provocato dalla pagina hillmaniana derivava soprattutto dal fatto che lo stile di Hillman è, nelle parole stesse dell’Autore, polemico, fortemente critico nei confronti dell’intero impianto teorico (e pratico: psicologico) della tradizione razionalistica occidentale e, al tempo stesso (e proprio per questo), imagistico, metaforico, e ironico. In tale atteggiamento polemico e critico, Hillman affronta più o meno direttamente grandi temi (problematici) quali il destino (e la provenienza) della ratio (e la sua problematica derivazione dal mito, quindi la relazione possibile con questo), il nichilismo, l’umanismo (e la necessità del suo “superamento”), l’intero senso e possibilità globali della psicanalisi, la necessità di una “cosmologia”, una certa “fuga dall’Occidente” (con il relativo dilagare di “sotto-“ o “pseudo-“ culture: “pop”, “new age”, e orientalismi vari), il fondamento dell’etica. Certo, tali problemi vengono affrontati nello stile proprio (“psicologico”) dell’autore; ma, nel nostro lavoro, vedremo come questo stile, “metaforico” ed eclettico, di ampio respiro, sia, oltre che a suo modo affascinante, in un certo senso criticamente necessario dati i suoi stessi presupposti teoretici. Nessun autore dice “la Verità”, tanto meno un autore fortemente critico verso l’idea stessa di una verità; l’opera di Hillman, vedremo, si muove “di fianco” a varie posizioni filosofiche-critiche, che promuovono un ripensamento dei presupposti teorico-filosofici della nostra tradizione culturale, all’interno della quale identificano un filone principale1 (caratterizzato da aspetti diversi, a seconda dei punti di vista da cui lo si guarda, ma profondamente solidali tra loro: metafisico, teologico, tecnico, capitalistico); filone che, per lo più in maniera “inconscia”, pre-domina e pre-determina la nostra cultura (la nostra psiche), prima, e la nostra vita (individuale e comunitaria) poi. Allora, ad un certo punto, non si tratterà tanto di riconoscere dettagliatamente filiazioni o di determinare gerarchie di merito, quanto, con Hillman, attraverso e oltre Hillman, di articolare con una sufficiente profondità critica una trama di questioni e di domande ritenute da Hillman stesso radicali sul nostro presente. Tenderemo allora a leggere la costitutiva ambiguità, la continua oscillazione tra una dimensione “psicologica” ed una “ontologica” e “metafisica” del discorso di Hillman, piuttosto che come una “debolezza” dello stesso, come una “ricchezza”, come la cifra specifica di un’ottica critica proprio nei confronti degli eccessi dell’attività di “divisione” e di astrazione della razionalità “scientifico-oggettiva”; si avrà così una interconnessione ed uno scivolamento continui dalla soggettività (intimista) individuale, all’anima, al cosmo.

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3  INTRODUZIONE Il presente lavoro nasce, in un certo senso, come risposta ad una sfida. Ad una sfida lanciata, più esattamente, da un testo: un testo incontrato per caso sugli scaffali di una “bancarella” per la vendita dei libri. Il testo era Il codice dell’anima, di James Hillman, un autore allora a noi sconosciuto (e, abbiamo scoperto, tutto sommato à la page, vista la sua notevole visibilità editoriale). Sfogliando il libro, al primo contatto, ne abbiamo subito un certo fascino e, al tempo stesso, confessiamo, un certo senso di scetticismo: era infatti un periodo in cui dilagava una certa fastidiosa moda (commerciale?), nell’immaginario collettivo, di raffigurare “angeli”, putti (calendari, posters, agende, cartoline, etc.). Ora, proprio in tale libro, nonostante la bibliografia e le note di copertina, nonché una prima approssimativa lettura, mostrasse la “serietà” e la “profondità” dell’autore, il tema principale era proprio quello del daimon, del “genietto”, insomma dell’”angelo protettore”. E qui abbiamo ricevuto, quasi immediatamente, la “sfida”: approfondire un autore sconosciuto, il suo discorso e la sua “tradizione” di appartenenza (altrettanto sconosciuta: la “psicologia analitica”, nonché la “filosofia dell’immagine” e del “mito”), per verificarne la “consistenza” (ovviamente a partire dalle proprie conoscenze e preferenze filosofiche). Abbiamo così scoperto che Hillman è il maggiore allievo di Jung, direttore dell’omonimo istituto, e fondatore della “psicologia archetipica”, importante corrente psicanalitica (denominata anche “psicologia culturale”, per l’insostituibile importanza che tale indirizzo assegna alla “cultura”: letteratura, mitologia, religioni, filosofia, storia dell’arte) complementare e per molti versi contrapposta alla scuola “freudiana”, e collaboratore (spesso amico) di alcuni dei più stimolanti autori contemporanei di discipline umanistiche 1 . Sorprendentemente, poi, abbiamo scoperto che, nonostante Hillman sembri essere un autore molto letto, scarsissime (per non dire nulle) sono le letture critiche a lui indirizzate, e spesso assai deludenti dal punto di vista teorico: sembra che Hillman sia o osannato in maniera pressoché acritica dai suoi fans (lettori comuni o psicoterapeuti) o pesantemente frainteso dai filosofi (o comunque dai lettori “colti”, che raramente ne conoscono tutta la proficua produzione, e che sembrano non prestare attenzione alle stimolanti e corpulente indicazioni bibliografiche che concludono i suoi lavori). Abbiamo allora intrapreso un’indagine teoretica, conoscitiva ed interpretativa dell’opera di Hillman, sollecitandola, interrogandola e forzandola a rispondere a delle domande filosofiche, sia mettendone in relazione l’opera con altri autori, appartenenti a tradizioni diverse dalla sua, sia sviscerando i suoi presupposti filosofici, magari estremizzandoli o ricavandoli direttamente dagli autori che li hanno ispirati. Si è avuto così che l’iniziale, immediato, “disappunto” provocato dalla pagina hillmaniana derivava soprattutto dal fatto che lo stile di Hillman è, nelle parole stesse dell’Autore, polemico, fortemente critico nei confronti dell’intero impianto teorico (e pratico: psicologico) della tradizione razionalistica occidentale e, al tempo stesso (e proprio per questo), imagistico, metaforico, e ironico. In tale atteggiamento polemico e critico, Hillman affronta più o meno direttamente grandi temi (problematici) quali il destino (e la provenienza) della ratio (e la sua problematica derivazione dal mito, quindi la relazione possibile con questo), il nichilismo, l’umanismo (e la necessità del suo “superamento”), l’intero senso e possibilità globali della psicanalisi, la necessità di una “cosmologia”, una certa “fuga dall’Occidente” (con il relativo dilagare di “sotto-“ o “pseudo-“ culture: “pop”, “new age”, e orientalismi vari), il fondamento dell’etica. Certo, tali problemi 1 Ad esempio in quell’eccezionale ed affascinante koiné culturale creata dagli autori,di estrazioni diversa ma uniti da una “comunità di spirito” che si riunivano periodicamente negli incontri della fondazione Eranos di Ascona.

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