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La metamorfosi di Frankenstein. Adattamenti e trasposizioni dal romanzo di Mary Shelley.

Nell’immaginario collettivo il termine Frankenstein viene spesso associato all’idea di un mostro dall’intelligenza poco vivace, il cui aspetto terrificante (a causa di una sgradevole testa quadrata dalle cicatrici diffuse e dai singolari inserti metallici) ne giustifica la natura sanguinolenta. In realtà, nel romanzo di Mary Shelley (unica vera fonte delle vicende relativa alla “creatura”), Frankenstein è il nome di colui che osa eguagliare il potere divino sconfiggendo la morte, e che a tale scopo dona la vita a un essere composto da parti di cadaveri. Quest’ultimo, abbandonato dall’unico genitore che potrebbe mai riconoscere come tale e emarginato da una società che lo teme e lo disprezza per il suo aspetto, attraversa un processo di auto-educazione che, donandogli la coscienza della sua condizione, lo porta a soffrire delle ingiustizie subite e conseguentemente a desiderare la vendetta. Naturalmente, la Creatura descritta nel romanzo ha ben poco a che fare con il personaggio a cui pensa chi ignora gli avvenimenti descritti nel libro. Ma allora, se il libro non è conosciuto quanto ci si aspetterebbe, come mai il nome di Frankenstein è penetrato in modo così intenso nel nostro immaginario collettivo?
Il nostro lavoro ha preso spunto da tale interrogativo, nell’ipotesi che sia stato proprio il mezzo cinematografico a far conoscere al vasto pubblico dei media la storia del dottor Frankenstein e della sua Creatura. Partendo da un approfondimento sul rapporto tra letteratura e cinema che, nello specifico della trasposizione filmica, si focalizzi sulla questione della maggiore o minore fedeltà del film alla fonte originaria, si proseguirà concentrandosi su una importante distinzione linguistica che analizza il significato dei vocaboli “adattamento” e “trasposizione”. I due termini, spesso utilizzati erroneamente quali sinonimi, celano infatti un diverso atteggiamento degli autori cinematografici nei confronti dell’opera letteraria. Secondo tale distinzione, “adattamento” sottintende una scelta di maggiore aderenza al testo letterario, mentre “trasposizione” regala al regista la possibilità di reinventare l’opera nel linguaggio filmico, fermo restando il rispetto del messaggio principale, delle atmosfere e delle emozioni che caratterizzano il romanzo. Prendendo ad oggetto le principali produzioni cinematografiche riguardanti il soggetto della Shelley (con particolare attenzione ai due filoni delle case Universal e Hammer), si darà una valutazione che tenti di avvicinare le pellicole ora all’una, ora all’altra definizione. È nostra opinione che buona parte della filmografia che vede Frankenstein come protagonista non sia identificabile né con l’adattamento, né con la trasposizione, in quanto essa si è semplicemente limitata a prendere spunto dal romanzo originario per elaborarne una storia completamente diversa, che facesse presa sul pubblico per i suoi spunti horror. Solo alcune pellicole hanno tentato la strada dell’adattamento, così come esistono esempi limitati di vera e propria trasposizione cinematografica.
In particolare, il presente lavoro prenderà in considerazione due pellicole, Terror of Frankenstein (di Calvin Floyd, 1976) e Mary Shelley’s Frankenstein (di Kenneth Branagh, 1994) alle quali verrà dedicata particolare attenzione nel tentativo di verificare similitudini e differenze rispetto al testo originario. La nostra ipotesi, infatti, è che Floyd, pur essendosi trovato nella necessità di attuare numerose sottrazioni (proprie del procedimento di trasposizione cinematografica), sia riuscito a mantenere vivo lo spirito del romanzo della Shelley in ogni scena filmata. In particolare, verranno messe in evidenza le similitudini tra Victor Frankenstein e il capitano Walton, entrambi esploratori seppur in modo diverso, nonché la corrispondenza sia estetica, sia emotiva, del personaggio della Creatura ideato da Floyd con quello illustrato nel romanzo. Infine, mostreremo come Floyd faccia rivivere la struttura narrativa del romanzo della Shelley, mantenendo i tre livelli di narrazione da lei creati. Similarmente, metteremo in luce come anche la pellicola di Branagh possa essere definita come vera e propria trasposizione. Nello specifico, partiremo da una presentazione delle differenti valutazioni che sono state date sul film, per soffermarci poi sulla rappresentazione del forte legame familiare che unisce Frankenstein ai suoi genitori. Questo “schema” familiare assume nel romanzo una particolare importanza in quanto esso non solo non viene rivissuto da Victor nei confronti della Creatura, ma viene addirittura capovolto. Filmando le sequenze che illustrano l’infanzia di Victor Frankenstein, quindi, Branagh introduce la tematica del rapporto genitore-figlio che dominerà tutte le vicende all’interno dell’opera, nel pieno rispetto delle intenzioni della Shelley, ma soprattutto in perfetto ossequio alle regole che definiscono una buona trasposizione.

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1 INTRODUZIONE La nascita ufficiale del cinema risale al 28 dicembre 1895 a Parigi, con la rappresentazione pubblica a pagamento di alcuni minuti di pellicola girati dai fratelli Auguste e Louis Lumière. Grazie ad un apparecchio a manovella denominato cinématographe, nato da studi e sperimentazioni sulle pellicole fotografiche, i due riescono a suscitare stupore ed interesse fra il pubblico riunito nel seminterrato del Grand Café di Parigi sul Boulevard des Capucines. In realtà anche altri studiosi, tra cui l’americano Thomas Alva Edison, stavano sperimentando sistemi analoghi, ma l’invenzione del cinema viene attribuita ai Lumière perché furono i primi ad intuirne il potenziale commerciale, proponendo il nuovo spettacolo ad un pubblico pagante. Con i fratelli Lumière il cinema prende le sembianze di rappresentazione documentaristica della realtà: le loro proiezioni, infatti, non sono che il frutto della semplice osservazione della quotidianità e le immagini, girate con la macchina da presa fissa, hanno innanzitutto il considerevole pregio di garantire una buona visione d’insieme. Un esempio è lo spezzone intitolato Sortie des ouvries de l’usine Lumière, che riprende gli operai all’uscita dalle officine Lumière. In particolare, tra le proiezioni proposte al pubblico (della durata di circa un minuto ognuna), se ne distingue una, considerata generalmente la prima pellicola nell’intera storia della cinematografia con un “intreccio” volutamente pensato e girato allo scopo di suscitare ilarità. Si

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