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La democrazia e il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni di interesse pubblico

1 La polisemia del termine ‘democrazia’

La maggior parte degli uomini sente oggigiorno che la democrazia (con tutta la vaghezza che il significato di questo termine può avere) è il minore tra tutti i mali; chi vive in uno Stato democratico, infatti, non accetterebbe facilmente di rinunciare a questa condizione, mentre chi è ancora sotto il giogo di regimi autoritari preferirebbe il passaggio alla democrazia. Un sentimento di questo tipo, però, non è sufficiente a porre le basi per un’analisi politica convincente.
Non sempre la democrazia è stata una forma di governo apprezzata: dall’antichità fino alle rivoluzioni settecentesche, il termine democrazia assume perlopiù una connotazione negativa. Già Platone distingue diverse forme di governo, tra cui la democrazia. Egli afferma che la democrazia è come una nave guidata da marinai che non hanno mai appreso come condurla, ciascuno sentendosi in diritto di governarla: per evitare un instabile governo del numero, a suo parere, è necessario che siano i filosofi, i quali posseggono la conoscenza del Bene e del Giusto, a dirigere le masse verso il Bene comune . Anche Aristotele nutre una serie di riserve nei confronti della democrazia, che considera una forma di governo degenere. Essa deriva, infatti, dalla politia, definita come il governo dei molti nell’interesse comune, ma se ne allontana nel momento in cui il giusto viene definito solo dal voto della maggioranza e non da criteri etici indirizzati al Bene comune .
Con le rivoluzioni francese e americana, invece, il concetto di democrazia assume una connotazione positiva (che è poi quella condivisa dal senso comune odierno) per cui si attribuisce al popolo la titolarità del potere statale e del suo (indiretto) esercizio. Montesquieu propone, pochi decenni prima, una nuova distinzione tra le varie forme di governo, non in base al numero dei governanti, ma in relazione alle qualità del governo. Egli distingue tra repubblica, monarchia e dispotismo. Inserisce, poi, la democrazia all’interno del governo repubblicano, insieme all’aristocrazia, ma conferisce solo alla prima la caratteristica imprescindibile della virtù, garantendole, dunque, uno statuto preferenziale rispetto a tutte le altre forme. Per virtù, come sostiene nelle Avvertenze a Lo spirito delle leggi, egli non intende alcuna prerogativa morale, bensì una prerogativa politica: “dunque virtù politica io ho chiamato l’amor di patria e dell’eguaglianza” ; la democrazia, a suo avviso, necessita della presenza di un forte senso civico e una dedizione per gli affari pubblici, a differenza dei governi monarchici o dispotici, cui “non occorre molta probità per mantenersi” , dal momento che possono, tramite la forza della legge o della violenza, imporre la loro volontà, qualsiasi essa sia.

2 Valore intrinseco o strumentale della democrazia

Le ragioni che sono state nei secoli addotte per supportare un ideale democratico si possono, per comodità, dividere in due categorie. Esse rappresentano, in definitiva, due diverse concezioni dell’importanza della gestione democratica dello ‘spazio’ pubblico, inteso come luogo di relazioni sociali (e spesso anche una ‘metafisica’ della natura e dei fini dell’essere umano); queste due impostazioni individuano modelli, anche pratici, totalmente diversi.
Vi è chi sostiene il valore intrinseco della democrazia; costoro ritengono essenzialmente che la partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche sviluppi le loro capacità, permettendo la realizzazione degli uomini in quanto esseri umani. Così Hannah Arendt: “Discorso e azione rivelano questa unicità nella distinzione. Mediante essi, gli uomini si distinguono anziché essere meramente distinti; discorso e azione sono le modalità in cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti fisici, ma in quanto uomini” .
Altri autori, invece, attribuiscono alla democrazia un valore puramente strumentale, ritenendo che tale forma di governo sia apprezzabile e auspicabile in quanto quella che meglio garantisce le condizioni necessarie alla libertà e al perseguimento dei fini dei singoli cittadini. Lo Stato democratico dovrebbe esistere al fine di salvaguardare i diritti dei cittadini, che sono comunque i migliori giudici dei propri interessi, e per questa ragione la sua azione deve essere limitata perché essa non invada la sfera privata.

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CAPITOLO 1 Cenni preliminari sul concetto di democrazia 1 La polisemia del termine ‘democrazia’ La maggior parte degli uomini sente oggigiorno che la democrazia (con tutta la vaghezza che il significato di questo termine può avere) è il minore tra tutti i mali; chi vive in uno Stato democratico, infatti, non accetterebbe facilmente di rinunciare a questa condizione, mentre chi è ancora sotto il giogo di regimi autoritari preferirebbe il passaggio alla democrazia. Un sentimento di questo tipo, però, non è sufficiente a porre le basi per un’analisi politica convincente. Non sempre la democrazia è stata una forma di governo apprezzata: dall’antichità fino alle rivoluzioni settecentesche, il termine democrazia assume perlopiù una connotazione negativa. Già Platone distingue diverse forme di governo, tra cui la democrazia. Egli afferma che la democrazia è come una nave guidata da marinai che non hanno mai appreso come condurla, ciascuno sentendosi in diritto di governarla: per evitare un instabile governo del numero, a suo parere, è necessario che siano i filosofi, i quali posseggono la conoscenza del Bene e del Giusto, a dirigere le masse verso il Bene comune 1 . Anche Aristotele nutre una serie di riserve nei confronti della democrazia, che considera una forma di governo degenere. Essa deriva, infatti, dalla politia, definita come il governo dei molti nell’interesse comune, ma se ne allontana nel momento in cui il giusto viene definito solo dal voto della maggioranza e non da criteri etici indirizzati al Bene comune 2 . Con le rivoluzioni francese e americana, invece, il concetto di democrazia assume una connotazione positiva (che è poi quella condivisa dal senso comune odierno) per cui si attribuisce al popolo la titolarità del potere statale e del suo (indiretto) esercizio. Montesquieu propone, pochi decenni prima, una nuova distinzione tra le varie forme di governo, non in base al numero dei governanti, ma in relazione alle qualità del governo. Egli distingue tra repubblica, monarchia e dispotismo. Inserisce, poi, la democrazia all’interno del governo repubblicano, insieme all’aristocrazia, ma conferisce solo alla prima la caratteristica imprescindibile della virtù, garantendole, dunque, uno statuto preferenziale rispetto a tutte le altre forme. Per virtù, come sostiene nelle Avvertenze a Lo spirito delle leggi, egli non intende alcuna prerogativa morale, bensì 1 Platone, La Repubblica, pp.201-202 (IV 487e-489d). 2 Aristotele, libro III, 9, 1279b.

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