Guerre e propaganda: media e PR nel conflitto mediorientale
Ben prima di avere delineato la struttura generale di questo lavoro, durante un giro di “perlustrazione” sulla rete, mi sono imbattuta in un video di una delle invettive che il comico Beppe Grillo aveva preparato per un suo spettacolo del 2007. Bersaglio del frammento di spettacolo era il MEMRI, Middle East Media Research Institute. Grillo mostrava, seppur sommariamente, come questo istituto “indipendente” provvedesse a tradurre dall’arabo alle principali lingue occidentali e non solo, articoli e videointerviste dal mondo mediatico mediorientale. “Per colmare il divario linguistico tra Occidente e Medio Oriente”, recita la prima pagina del sito ufficiale della fondazione. Senza naturalmente addentrarsi nell’aspetto prettamente linguistico della questione, se non ironicamente, il comico evidenziava come fondatore del MEMRI fosse un israeliano, e non un cittadino israeliano qualsiasi, bensì Yigal Carmon, ex capo del Mossad - servizio segreto militare israeliano - ed ex consulente per i governi Yitzhak Rabin e Yitzhak Shamir; quest’episodio ha richiamato automaticamente alla mia memoria un intervento di Noam Chomsky; in un colloquio con il giornalista David Barsamian, l’esimio intellettuale del MIT, discutendo sulle falle del sistema mediatico statunitense anche in relazione agli avvenimenti mediorientali, riportava un caso specifico avente come protagonista il quotidiano «Washington Post» :
Il Washington Post ha un inserto intitolato “Kids Post”, con le notizie del giorno scritte per i bambini. Qualcuno mi ha mandato un ritaglio dell’edizione di “KidsPost”, uscita subito dopo la morte di Yasser Arafat. Esprimeva in parole semplici quasi le stesse cose che negli articoli principali venivano dette in modo più complesso, ma aggiungeva qualcosa che negli articoli più complicati sapevano di non poter dire sperando di farla franca. Diceva che [Arafat] è stato un uomo controverso, amato dal suo popolo come simbolo della loro lotta per l’indipendenza. Ma per creare una patria palestinese aveva bisogno di quella terra che ora fa parte di Israele. Ha compiuto una serie di attacchi contro il popolo israeliano che gli sono valsi l’odio di molte persone. Che cosa significa? Significa che il «Washington Post» sta dicendo ai bambini che i Territori occupati fanno parte di Israele. Nemmeno il governo americano ha il coraggio di dire una cosa del genere. E neppure lo stesso Israele. Ma in questo modo i bambini vengono indottrinati a credere che l’occupazione militare portata avanti illegalmente da Israele non può essere messa in discussione, perché i Territori occupati fanno ormai parte di Israele .
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Dore |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Sassari |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Massimo Ragnedda |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 108 |
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